Il lavoro che cambia

Smart Working: che cos’è, a cosa serve, perché è importante per il business

Il fenomeno dello Smart Working è ormai una realtà per le aziende e le PA italiane. Ma di che cosa si tratta, come funziona, a che punto siamo in Italia, qual è il quadro normativo e quali proroghe ha previsto il governo, da ultima quella che ha esteso il regime semplificato senza obbligo di accordi tra le controparti a fine agosto e che fa intravedere un cambio di rotta da settembre? Ecco tutto quello che c’è da sapere

Pubblicato il 08 Set 2022

Smart Working

Capire il significato dello Smart Working non è immediato e nemmeno così intuitivo. Ma quello che sappiamo oggi è che è destinato a rimanere. Se fino al 31 agosto 2022 c’è ancora la possibilità per i datori di lavoro privati di ricorrere al lavoro agile in forma semplificata senza necessità di prevedere un accordo con i dipendenti, da inizio settembre le aziende dovranno adeguarsi a regole diverse.

Lavoratori di aziende private, piccole, medie e grandi, e dipendenti pubblici hanno sperimentato negli ultimi due anni e mezzo un diverso modo di lavorare, e adesso stanno cercando di capire che strada prendere in questo New Normal che piano piano si sta delineando. Quello che è certo è che sebbene durante la Pandemia si sia trattato di Telelavoro, l’esperienza di lavoro a distanza ha aperto interessanti prospettive per un’adozione più diffusa dello Smart Working nel nostro Paese. Oggi sono molte le realtà che si interrogano se proseguire con un regime di full Smart Working o Smart Working ibrido, che prevede un regime misto tra presenza in ufficio e remote working.

Cos’è lo Smart Working

Ma che cosa è lo Smart Working? Se in italiano il significato di Smart Woking è “lavoro intelligente”, per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, «lo Smart Working (o Lavoro Agile) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività».

A livello normativo, lo Smart Working è definito all’interno della Legge 22 maggio 2017, n.81, dove l’articolo 18 comma 1 recita:

Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Questa definizione pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Come sottolinea Emanuele Madini, Associate Partner di P4I-Partners4Innovation ed esperto di Smart Working ed HR Transformation, «lo Smart Working è un modello organizzativo che interviene nel rapporto tra individuo e azienda. Propone autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati e presuppone il ripensamento “intelligente” delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa, open space e ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità».

Cos’è lo Smart Working?

Cos’è lo Smart Working?

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Lo Smart Working in Italia

Durante la fase più acuta dell’emergenza, come ha rilevato la ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019. A marzo 2021, a un anno dal primo lockdown, l’Osservatorio ha stimato che erano 5,37 milioni gli smart worker italiani, di cui 1,95 milioni nelle grandi imprese, 830mila nelle PMI, 1,15 milioni nelle microimprese e 1,44 milioni nella PA. Nel secondo trimestre il numero ha iniziato progressivamente a diminuire fino a 4,71 milioni, con il calo più consistente nel settore pubblico (1,08 milioni), seguito da microimprese (1,02 milioni), PMI (730mila) e grandi aziende (1,88 milioni). A settembre il numero degli smart worker si è attestato a 4,07 milioni, contando complessivamente 1,77 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle PMI, 810mila nelle microimprese e 860mila nella PA..

Osservatorio Smart Working 2021

Nel 2022 in Italia il lavoro da remoto continua a essere utilizzato in modo consistente, sebbene in misura minore rispetto allo scorso anno. I lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella PA e nelle PMI, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi. Per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di Smart Working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico. Questo è un segnale molto importante da cogliere perché di fatto quello delle piccole e medie imprese e delle microimprese in Italia è un comparto molto forte e quindi questo fa un po’ riflettere rispetto all’opportunità che si sta un po’perdendo.

Smart Working

«La pandemia ha accelerato l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti e ha cambiato le aspettative di imprese e lavoratori, anche se emergono delle differenze fra le organizzazioni che rischiano di rallentare questa rivoluzione. Le grandi imprese stanno sperimentando nuovi modelli di lavoro, con la ricerca di nuovi equilibri fra presenza e distanza capaci di cogliere i benefici potenziali di entrambe le modalità di lavoro», ha affermato Mariano Corso, Docente di Leadership e Innovation al Politecnico di Milano, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working e di P4I – Partners4Innovation.

Diffusione dello Smart Working: l’Italia frena, ed è ultima in Europa

Lo Smart Working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo Smart Working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. A frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo Smart Working come una soluzione di emergenza. Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro, ma per il futuro si prevede un nuovo aumento.

Ma se i dati dell’ultimo Osservatorio rilasciati a novembre 2021 lasciavano ben sperare per la diffusione dello Smart Working in Italia, non si possono tralasciare i risultati dello studio recentemente pubblicato da Randstad Research secondo il quale nell’ultimo periodo nel nostro Paese si è assistito ad una frenata nell’applicazione di questo paradigma di lavoro: dal 2019 al 2020, infatti, la percentuale degli occupati che lavorano almeno la metà delle ore da casa è salita dal 3,6% al 12,2%, per scendere poi all’8,3% nel 2021. Attualmente in Italia infatti solo un terzo dei lavoratori potenzialmente abilitabili al lavoro agile opera in questa modalità (2,9 milioni di lavoratori su 8), un dato che fa balzare il Belpaese in ultima posizione rispetto ai vicini Stati europei dove invece la diffusione dello Smart Working continua a registrare un trend positivo costante.

Smart Working Italia

Smart Working: l’evoluzione della normativa in Italia

È di giugno 2017 la legge nata per disciplinare il lavoro agile in Italia. Il Jobs Act sul lavoro autonomo (legge 81/2017) riportava in particolare le «misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato». Inoltre, il 10 maggio 2017, il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva il testo del Disegno di legge AC. N. 2233B che disciplinava lo Smart Working, definito, “l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.

Con la legge di Bilancio 2019, n. 145 del 30 dicembre 2018, è stato modificato l’articolo 18 del Jobs Act, inserendo il comma 3-bis secondo cui il datore di lavoro che stipulava accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile, doveva dare priorità alle richieste di Smart Working formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo obbligatorio di maternità e a quelle dei lavoratori con figli in condizioni di disabilità.

Le regole cambiano con l’arrivo del Coronavirus: i decreti sullo Smart Working

Il decreto attuativo del 23 febbraio 2020 n. 6 ha previsto “la sospensione delle attività lavorative per le imprese […] ad esclusione di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza”. Come si leggeva sul testo pubblicato in Gazzetta ufficiale, la decisione era stata presa dalla Presidenza del Consiglio “ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, adottando misure di contrasto e contenimento alla diffusione del predetto virus”.

Anche in ambito PA, il Governo ha emanato un decreto legge (n.6 del 23 febbraio 2020) che incentivava e agevolava l’accesso allo Smart Working e a seguire, con il Decreto Cura-Italia, il lavoro agile è diventato la regola nella PA per tutta la durata dell’emergenza.

A seguire il DPCM dell’8 marzo 2020 recitava all’articolo 2, comma 1, lettera r: “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, puo’ essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti“.

Infine, il DPCM dell’11 marzo 2020 ha raccomandato che “in ordine alle attività produttive e alle attività professionali fosse attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che potevano essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”.

A seguire ci sono state diverse proroghe relative all’adozione di un regime semplificato del lavoro agile: con il Decreto n. 105 del 23 luglio 2021 la data di scadenza per il settore privato e per la PA era stata fissata al 31 marzo 2022, per poi essere spostata al 31 agosto 2022. Allo stato dei fatti, dunque, le imprese private potranno ancora per i prossimi mesi decidere arbitrariamente come organizzare la modalità di lavoro guadagnando del tempo utile per organizzarsi in maniera più strutturata. Tra parentesi, questo tempo potrebbe essere sufficiente per l’approvazione della nuova legge sul lavoro agile. La Commissione Lavoro della Camera ha, infatti, approvato il disegno di legge sullo Smart Working, che potrebbe andare in aula entro il 30 maggio e dunque essere convertito in legge per la fine dello Smart Working semplificato (in questo articolo i principali punti del nuovo disegno di legge).

Come funziona lo Smart Working: le leve di progettazione

Un progetto di Smart Working è quindi un processo di cambiamento complesso che richiede di agire contemporaneamente su più leve e che deve partire da un’attenta considerazione degli obiettivi, delle priorità e delle peculiarità tecnologiche, culturali e manageriali dell’organizzazione.

Inteso come nuovo modo di lavorare che consente un miglior bilanciamento tra qualità della vita e produttività individuale, è quindi anche il risultato di un sapiente uso dell’innovazione digitale a supporto di approcci strategici che puntano sull’integrazione e sulla collaborazione tra le persone, in particolare, e tra le organizzazioni, in generale. In tutto questo la tecnologia gioca un ruolo chiave, perché quando si parla di Digital Transformation nei luoghi di lavoro si pensa anche all’applicazione di tecnologie avanzate per connettere persone, spazi, oggetti ai processi di business, con l’obiettivo di aumentare la produttività, innovare, coinvolgere persone e gruppi di lavoro.

Bisogna comunque sempre tener presente che adottare lo Smart Working non vuol dire soltanto lavorare da casa e utilizzare le nuove tecnologie, lo Smart Working non è il telelavoro: è anche, e soprattutto, un paradigma che prevede la revisione del modello di leadership e dell’organizzazione, rafforzando il concetto di collaborazione e favorendo la condivisione di spazi. Nell’ottica smart, il concetto di ufficio diventa ‘aperto’, il vero spazio lavorativo è quello che favorisce la creatività delle persone, genera relazioni che oltrepassano i confini aziendali, stimola nuove idee e quindi nuovo business.

«Per poter dare concretezza ai principi organizzativi dello Smart Working, occorre creare iniziative congiunte e coerenti afferenti a quattro leve di progettazione che hanno interlocutori aziendali diversi. Le iniziative più mature di Smart Working richiedono di agire su tutte e quattro le leve, tuttavia la priorità con cui vengono attivate dipende dalle esigenze e dalle motivazioni che portano le organizzazioni a intraprendere il percorso verso lo Smart Working», sottolinea Madini.

Secondo il modello proposto da P4I, una delle leve è quella legata alle policy organizzative, ovvero le regole e linee guida relative alla flessibilità di orario (inizio, fine e durata complessiva), di luogo di lavoro e alla possibilità di scegliere e personalizzare i propri strumenti di lavoro. Poi ci sono le tecnologie digitali che, in funzione della loro qualità e diffusione, possono ampliare e rendere virtuale lo spazio di lavoro, abilitare e supportare nuovi modi di lavorare, facilitare la comunicazione, la collaborazione e la creazione di network di relazioni professionali tra colleghi e con figure esterne all’organizzazione. Anche il layout fisico degli spazi di lavoro, inteso come configurazione degli spazi, ha un impatto significativo sulle modalità di lavoro degli individui e può condizionarne l’efficienza, l’efficacia e il benessere delle persone nel contesto lavorativo: la progettazione degli ambienti è fondamentale per garantire loro di lavorare in un luogo che soddisfi le necessità professionali, perché lo Smart Working non è praticabile solo fuori dall’ufficio (con Copernico abbiamo trattato questo argomento nell’ebook “Smart Working: 4 aziende a cui ispirarsi“). Infine, come già accennato, ci sono i comportamenti e gli stili di leadership, legati sia alla cultura dei lavoratori e al loro modo di “vivere” il lavoro, sia all’approccio da parte dei capi all’esercizio dell’autorità e del controllo. Se da un lato infatti il “sottoposto” deve prendere responsabilità, dall’altro per i capi diventa prioritario il tema della gestione dell’ansia (in particolare l’ansia da prestazione) e capire come misurare le performance dello staff.

Come poi ricorda Giulia Airaghi, Project Leader BCG, quando si pensa allo Smart Working è necessario fare attenzione “alla spaccatura tra mondo remoto e in ufficio: esistono diverse sfumature di grigio, diversi modelli ibridi (ufficio/casa o altro luogo), che devono essere disegnati in base alle attività specifiche di ciascun profilo. Ovvero, per le diverse funzioni aziendali si dovrà pensare a un modello diverso in base alla natura delle attività che svolgono”.

Il punto di partenza è quindi capire chi può lavorare in Smart Working, in quale misura e chi proprio per la natura della sua mansione non può farlo, e disegnare di conseguenza modelli diversi per popolazione in target con esigenze diverse, come il full Smart Working e lo Smart Working ibrido.

Esistono infatti, come ha sottolineato Airaghi, differenti modelli di lavoro ibrido che si posso adattare alle diverse categorie di lavori: lavori che prevedono principalmente l’interazione con i colleghi, per cui tendenzialmente sarebbe preferibile un giusto mix tra tempo passato in ufficio e in remoto; lavori che prevedono principalmente l’interazione con i consumatori, che in generale difficilmente prevedono la possibilità di adottare politiche di lavoro agili, tranne nei casi in cui ad esempio il contatto tra consumatore e azienda avvenga completamente online, caso questo che permette alle persone che supportano il servizio di svolgere le loro attività da qualsiasi luogo; lavori che prevedono principalmente l’interazione con macchinari o strumenti, in questo caso ovviamente la categoria si presta poco all’adesione a politiche di Smart Working.

New call-to-action

Lavoro da remoto: ecco come impostare velocemente una strategia a distanza

Quando si pensa di portare avanti un progetto di Remote Working è importante pensare sia al punto di vista dell’azienda sia a quello delle persone, come suggerisce un articolo pubblicato su Intense Minimalism.

Il punto di vista dell’azienda

1. Approntare una Setup Checklist per capire cosa serve per mettere le persone nelle condizioni di lavorare da casa. Capita molte aziende abbiamo già in casa gli strumenti giusti e quindi di fatto sono “remote ready”: in questi scenari il cambiamento sarà quindi strutturale, ma bisognerà agire soprattutto su cultura e policy. In particolare bisogna verificare di avere:

  • uno strumento di comunicazione sincrona, per permettere alle persone di confrontarsi, porre domande veloce o chiedere un chiarimento. Si tratta per esempio di strumenti come Slack, Microsoft Teams, Hangout, Skype;
  • uno strumento di comunicazione asincrona, che consenta di scrivere contenuti più strutturati, generalmente pubblicati in ordine cronologico. Si tratta per esempio di strumenti come Basecamp, WordPress, Yammer, Workplace by Facebook;
  • uno strumento che consenta l’archiviazione di documenti, immagini, file, ecc.. Si tratta di strumenti come Dropbox e Google Drive;
  • uno tool per le videoconferenze, come Zoom, Hangouts Meet, Skype;
  • una lista delle attività che generalmente richiedono la presenza per comprendere se e come “remotizzarle”;
  • una lista delle policy di sicurezza e ripensarle aggiornandole in chiave remote working.

2. Pensare alla dotazione IT per tempo, per fare in modo che tutto funzioni senza problemi per i dipendenti che lavorano da casa.

3. Comprendere come passare dalle riunioni fisiche alle call e ai meeting virtuali.

4. Indennità: workspace e Internet. È importante prevedere per chi lavora da casa dei rimborsi per esempio per Internet, la babysitter, le sedie e le scrivanie, le webcam, le cuffie, ecc..

5. Task e Project Management. È necessario capire come le attività sono assegnate e qual è l’organizzazione del lavoro. C’è chi usa ad esempio utilizza in ufficio delle lavagne: tutto questo deve diventare digitale. Fortunatamente, ci sono già molti strumenti che possono aiutare nell’assegnazione dei compiti: GitHub, Trello, Asana, Pivotal Tracker sono solo alcuni di quelli disponibili sul mercato.

6. Raccogliere e sistematizzare le richieste di chi lavora da remoto: avere visibilità di tutti i problemi che le persone stanno avendo in remoto dà modo alla società di trovare il modo per risolverli.

7. Gestire le paure del management, rassicurandolo sul fatto che la produttività dei lavoratori da casa non è inferiore, anzi. Di fatto, uno dei motivi principali per cui le aziende non consentono il lavoro a distanza è che il management teme che le persone non lavorino se sono a casa. Da una prospettiva puramente gestionale, questo è un grosso problema per almeno due motivi: da un lato, la mancanza di fiducia che farà stare male il dipendente indipendentemente da quanto sia bravo e, dall’altro, il fatto che si sta misurando il tempo trascorso in ufficio invece dei risultati. Queste paure sono in gran parte legate alla cultura aziendale. Per cambiare mindset si potrebbe innanzitutto trovare un modo per condividere, anche in forma anonima, queste paure e poi procedere in modo mirato facendo leva su formazione manageriale, cambiamento dei processi, cambiamento delle politiche, ecc. Inoltre può essere d’aiuto rendere più trasparenti le attività, ricorrendo ad esempio a una combinazione di messaggistica personale e assegnazione di attività su strumenti aperti e condivisi.

Il punto di vista dell’individuo

1. Impostare lo spazio di lavoro in Smart Working. Allestire una parte specifica della casa aiuta a concentrarsi. In particolare si può pensare di dedicare una stanza al lavoro (questo aiuta la mente a connettersi e disconnettersi facilmente, creando una sana separazione), ritagliarsi un angolo con un tavolo, ipotizzare una configurazione della stanza che lo connoti come spazio di lato, basta per esempio acquistare una luce da tenere accesa solo quando si lavora (il cervello assocerà quella configurazione al “lavoro”, aiutando così di nuovo a creare una distinzione).

2. Definire dei rituali di inizio e fine. Questo serve per impostare i ritmi della giornata, non perdere la cognizione del tempo e non lavorare oltre le ore di lavoro previste. Per esempio si può decidere di fare una passeggiata mattutina, prendere un te o un caffè a metà mattina e a metà pomeriggio, fermarsi per il pranzo, e mettere un allarme che ricordi che la giornata di lavoro in Smart Working è terminata.

3. Configurare e posizionare bene la fotocamera, per rendere più efficaci le videochiamate.

4. Limitare le distrazioni e le interruzioni. Innanzitutto è importante che lo spazio di lavoro sia quanto più isolato nel caso in cui si condivida la casa con altre persone, inoltre, in questo specifico caso, è importante anche definire le modalità con cui gli altri individui possono interagire con noi. È altresì importante non avere elementi di distrazione sulla scrivania, fare ogni tanto delle pause, preparare pasti semplici, essere vestiti comodi (prendendosi però cura di se stessi), avere profili “personali” e “di lavoro” separati sul computer.

5. Ricordarsi di tracciare quello che è stato deciso.

6. Ridurre il numero di riunioni, per evitare di passare tutto il giorno al telefono o in videochiamata.

7. Individuare degli spazi di socializzazione, per preservare le interazioni sociali che rendono il lavoro più umano ed efficace. Di solito le persone non socializzano nelle chat perché “la chat è per lavoro”. Un buon modo per socializzare è creare dei canali ad hoc, come un gruppo di Whatsapp o di Telegram. Inoltre, quando si ha una videochiamata, la si deve considerare anche come una delle poche situazioni in cui si interagisce dal vivo con qualcuno, e quindi vale la pena di considerare anche il suo aspetto “sociale”.

8. Far sentire la propria presenza e la disponibilità all’interno del team. Una buona tecnica è, quando si inizia a lavorare, scrivere nella chat del team quello che si è fatto ieri e quello che si pensa di fare nel corso della giornata. Inoltre, si può anche aggiungere qualcosa di personale, non legato al lavoro.

I 6 step per gestire al meglio lo Smart Working

Lo storico broker assicurativo Mansutti ha poi stilato il seguente vademecum che aiuta le aziende ad assicurarsi continuità operativa, rendimenti, protezione degli asset e mitigazione dei rischi:

  1. Verifica della contrattualistica assicurativa in atto; mappatura e trasferimento dei rischi;
  2. Negoziazione e redazione di accordi di Smart Working collettivi e individuali;
  3. Assessment e implementazioni in ambito data protection e cybersecurity;
  4. Analisi degli spazi e relative destinazioni d’uso per produrre proposte progettuali inerenti lo Smart Working;
  5. Elaborazione di un Piano di Business Continuity strutturato da aggiornare ogni anno;
  6. Coordinamento di tutte le attività dedicate ai lavoratori: la formazione, la comunicazione interna ed esterna, le azioni di change management per realizzare e supportare l’evoluzione culturale e organizzativa aziendale.

Nuova call-to-action

Perché lo Smart Working conviene alle imprese (e non solo)

Per quanto detto in precedenza, lo Smart Working è una nuova dimensione del lavoro che da un lato favorisce la produttività individuale e la continuità operativa dell’utente (e quindi del business), e, dall’altro, permette una significativa flessibilità rispetto al posto di lavoro. La chiave di volta? Cambiare i concetti di fruizione del tempo e dello spazio per favorire nuovi modelli di lavoro più efficaci ed efficienti.

Come si è accennato in precedenza, una della principali caratteristiche dello Smart Working è il forte cambiamento culturale. Secondo Madini: «Lo Smart Working presuppone un profondo cambiamento organizzativo e culturale necessario per superare modelli di organizzazione del lavoro tradizionali. Restituire alle persone una maggiore flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari di lavoro e degli strumenti da utilizzare per svolgere le proprie attività lavorative significa creare organizzazioni più flessibili, introdurre approcci di empowerment, delega e responsabilizzazione delle persone sui risultati, favorire la crescita dei talenti e l’innovazione diffusa».

Le persone sono oggi pronte al cambiamento, complice anche la diffusione dello smartphone che consente di comunicare, lavorare, rimanere connessi in mobilità. Il livello di disponibilità all’interazione digitale ha innescato una nuova curva di apprendimento spontanea delle persone, che oggi arrivano in azienda con un livello di preparazione e disponibilità all’innovazione un tempo inimmaginabili.

Entrando più in dettaglio, l’adozione di un modello “maturo” di Smart Working può favorire un incremento di produttività pari a circa il 15% per lavoratore, secondo le più recenti rilevazioni dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Volendo proiettare l’impatto a livello di Sistema Paese, considerando che il lavoratori che potrebbero fare Smart Working sono almeno 5 milioni (circa il 22% del totale degli occupati) e che gli Smart Worker ad oggi sono 305mila, l’effetto dell’incremento della produttività media in Italia si può stimare intorno ai 13,7 miliardi di euro, ipotizzando che la pervasività dello Smart Working possa arrivare al 70% dei lavoratori potenziali.

Ma i benefici non sono solo per le imprese: per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di remote working può far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti e per l’ambiente, invece, determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno, considerando che in media le persone percorrono circa 40 chilometri per recarsi al lavoro e ipotizzando che facciano un giorno a casa di lavoro da remoto.

La tecnologia che abilita lo Smart Working

A rendere possibile lo Smart Working sono le tecnologie digitali che permettono di scegliere il dove e quando lavorare, sia all’interno sia all’esterno dell’organizzazione. Le tecnologie che supportano il lavoro da remoto sono già diffuse.

Di fatto, gli italiani oggi comunicano attraverso una pluralità di dispositivi proprietari e aziendali: il Bring Your Own Device (BYOD), un tempo avversato in azienda, è diventato il driver principale del lavoro agile. Anzi, non c’è Smart Working senza Enterprise Mobility Management. La business continuity, infatti, dipende sia dalla governance dei sistemi e dalla loro messa in sicurezza, sia dalla garanzia dei servizi che assicurano massima produttività individuale alle persone che lavorano.

In termini di dotazione tecnologica, quella standard per consentire il lavorare da remoto generalmente si compone di PC portatile (con microfoni e webcam), VPN, connessione, software aziendali e servizi di social collaboration. Solo quando necessari vengono introdotti device mobili come smartphone e tablet.

Le piattaforme di collaborazione per lo Smart Working

Sul mercato oggi ci sono varie piattaforme per lo Smart Working. Offrono funzionalità diverse: dal vedersi al condividere contenuti, all’intervenire in contemporanea sullo stesso documento.

Di seguito una carrellata di quelle più adottate, in ordine alfabetico.

1. Cisco Webex Meetings

È una piattaforma che permette di organizzare riunioni online e video conferenze, registrarle e conservare l’audio. Nel corso degli incontri è possibile anche condividere contenuti, sia testi che file audio/video.

2. G-Suite

Si tratta di una suite che ingloba software e strumenti di produttività e collaboration, tra cui Gmail (per la posta elettronica), Google Drive (il servizio in cloud per archiviare e caricare contenuti, dando la possibilità di sincronizzarli online), Google Hangouts (il sistema di videoconferenza che funziona accedendo alla piattaforma Meet, e che permette anche di usufruire dei servizi di messaggistica istantanea e Voip), Google Calendar e Documenti.

3. Microsoft Teams

È una piattaforma unificata di comunicazione e collaborazione che combina chat, videoconferenze, integrazione di applicazioni e archiviazione di file.

4. MindMeister

È un tool pensato per fare brainstorming e generare mappe mentali. Permette di prendere appunti e pianificare progetti in modo creativo, stabilire le priorità, assegnare i compiti ai diversi collaboratori del progetto e indicare i progressi delle attività.

5. Miro

Si tratta di una piattaforma che mette a disposizione una lavagna virtuale interattiva per attività di brainstorming e costruzione di mappe mentali.

6. Multipartner

È una virtual data room, uno spazio di lavoro in cui cooperare a distanza scambiandosi dati. La soluzione permette di condividere e archiviare qualsiasi file, con la massima sicurezza delle informazioni e il controllo sulle attività dei singoli utenti.

7. Skype

Si tratta di una soluzione Microsoft per fare videochiamate, chattare e condividere documenti e file. Dà anche la possibilità di creare canali per l’organizzazione dei lavori in team.

8. ShareFile

La soluzione di collaboration di Citrix permette di condividere documenti e inviarli in maniera sicura (grazie alla crittografia “bank-level”), avere feedback, approvazioni e anche firme digitali su qualsiasi file, in maniera veloce. ShareFile consente di accedere ai file ovunque, in qualsiasi momento e con una capacità di storage su cloud illimitata.

9. Slack

Si tratta di un software di collaborazione aziendale che permette di inviare messaggi in modo istantaneo, sfruttando topic e canali specifici dedicati. All’interno della piattaforma è possibile usare Google Drive, Trello, GitHub, Google Calendar e tanti altri applicativi tra i più diffusi e utilizzati.

10. Trello

È un software che permette di creare schede che indicano le attività di cui occuparsi e chi ne ha la responsabilità.

11. TeamViewer

È una piattaforma che consente l’accesso da remoto al proprio computer o ad altri dispositivi mobile da qualunque device mediante qualsiasi browser.

*Articolo pubblicato originariamente a febbraio 2018 e sottoposto a successive revisioni e aggiornamenti.

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