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I CEO di fronte alle sfide del 2023, visioni a confronto

Due ricerche appena pubblicate, realizzate da Arthur D. Little e PwC, sondano la percezione di un campione significativo di amministratori delegati di grandi e grandissime aziende italiane e globali sulle principali sfide da affrontare nei prossimi mesi. Gestione dell’incertezza degli scenari macroeconomici e geopolitici, resilienza del business, sostenibilità, engagement e fidelizzazione dei migliori talenti le aree oggetto di maggior attenzione

Pubblicato il 07 Mar 2023

sfide CEO 2023

Quali sono le sfide che i CEO ritengono prioritarie per il 2023? Nell’era della volatilità e dell’incertezza, dominata ancora dai postumi della pandemia e con un conflitto nel cuore dell’Europa che non accenna a placarsi, non è facile trovare delle risposte. Per questo acquistano particolare valore le previsioni di figure come quelle degli amministratori delegati il cui ruolo in azienda li colloca in una posizione privilegiata per anticipare i possibili scenari futuri. Sono stati pubblicati in questi giorni gli esiti di 2 survey in cui i CEO vengono interpellati su quali sono, a loro giudizio, le sfide che le aziende sono chiamate ad affrontare. Ecco, di seguito, una sintesi dei principali risultati emersi.

Le sfide dei CEO secondo l’indagine di Arthur D. Little

La prima ricerca è quella condotta da Arthur D. Little nel suo CEO Insights Study 2023. È basata su quasi 250 interviste ad amministratori delegati di tutto il mondo (Europa, Nord America, Asia, Middle East e Africa) che guidano aziende con un fatturato di oltre 1 miliardo di dollari. Con una rappresentanza dei settori chiave dell’economia globale, il 55% delle organizzazioni coinvolte ha più di 10mila dipendenti. Le domande alle quali gli interpellati sono stati invitati a rispondere sono le seguenti:

  • In che modo i CEO percepiscono la situazione e le prospettive del mercato?
  • Qual è la loro opinione sulla strategia giusta? C’è spazio per la crescita?
  • Quali sono i nuovi requisiti e i suggerimenti da attuare in materia di organizzazione e leadership?
  • Quali sono le sfide per le risorse umane?
  • Qual è la rilevanza dei parametri ESG (Environmental, Social and Governance) nel contesto attuale?

Le risposte a queste domande delineano una propensione diffusa all’ottimismo, con il 63% dei CEO che prevede prospettive economiche globali stabili o positive nei prossimi 3-5 anni. Le avversità contemporanee, in sostanza, sono viste come opportunità, sebbene l’area geografica di appartenenza rappresenti un fattore chiave di differenziazione. Come si ricava dai 5 trend che sintetizzano il punto di vista generalizzato del campione, ma con i dovuti distinguo.

I 5 trend del CEO Insights Study 2023

  1. Un atteggiamento positivo, anzi resiliente

Se c’è un termine che dalla pandemia è entrato prepotentemente nel vissuto delle persone, e quindi anche delle organizzazioni, è la parola resilienza. È quella che i CEO dello studio di Arthur D. Little considerano essenziale. Soprattutto in Europa, 4 su 10 si aspettano una crescita globale nel medio termine, nonostante la congiuntura non certo semplice (o proprio in virtù di essa). La metà dei CEO degli Stati Uniti, invece, non prevede alcuna crescita nello stesso periodo di tempo, probabilmente perché, a differenza di quelli del vecchio continente, non identifica delle opportunità al di fuori dei confini nazionali.

Nel complesso, gli interventi governativi, gran parte dei quali attuati per contrastare la crisi sanitaria, sono visti con favore. Il 58% dei CEO, infatti, sostiene che abbiano fornito un utile supporto alla crescita nel breve o lungo periodo. Si intuisce che la globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta finora, con un mercato che si espande senza alcuna ingerenza da parte delle istituzioni, è destinata a tramontare.

  1. La strategia vincente dell’innovazione

Il punto di vista dei CEO sembra contravvenire all’approccio tradizionale che si ha di solito per risolvere le sfide dovute a un periodo di recessione. Invece di tagliare i costi e concentrarsi sull’attività core dell’azienda, una percentuale rilevante degli intervistati pone l’accento su innovazione e diversificazione come leva per la crescita, insieme all’ottimizzazione delle operation. Prevalgono, ad esempio, i programmi per entrare in nuove aree geografiche, lo sviluppo di nuovi prodotti e l’intenzione di esplorare diversi modelli di business. Il 26% considera l’innovazione tecnologica come il fattore più strategico. Insieme alla supply chain, assume un valore molto più importante rispetto ai costi delle materie prime e dell’energia.

  1. L’importanza di saper attrarre i nuovi talenti

Ben il 91% dei CEO ritiene che la configurazione in essere nella propria organizzazione sia sufficientemente solida da soddisfare le priorità aziendali. L’attenzione, semmai, si sta spostando sull’automazione da una parte e sull’adozione di modalità di lavoro agili dall’altra. Questo secondo aspetto deve fare i conti con la demografia del capitale umano, che vede una sostituzione massiccia dei baby boomer in pensione da parte delle nuove generazioni.

In generale, c’è soddisfazione per il mix di competenze presenti all’interno della propria organizzazione, con un’esigenza poco marcata alla riqualificazione delle figure interne. Ciò non toglie che ci sia preoccupazione nell’attrarre in modo organico nuove capacità e talenti. Motivo per il quale i cacciatori di teste rappresentano l’opzione preferita dal 29% delle aziende.

  1. Tecnologie sempre più legate al business

Se l’innovazione è uno dei driver della crescita, le tecnologie che la abilitano sono fonte di grandi aspettative. I CEO si attendono che intelligenza artificiale, machine learning, automazione, robotica e sostenibilità vengano integrati sempre di più nel business tradizionale. Infatti, il 60% desidera esplorare almeno una di queste e il 27% pensa che il Metaverso e la realtà virtuale avranno un impatto sulla loro attività.

  1. Sostenibilità come risorsa le aziende

I parametri ESG ormai sono entrati nell’agenda dei CEO, e non soltanto per ragioni di convenienza. Se due terzi degli intervistati ammettono di perseguire questi obiettivi per motivi di compliance, l’80% vede la sostenibilità come una fonte di vantaggio competitivo e il 67% cita l’attrazione dei consumatori come ulteriore motivo per perseguire strategie di questo tipo. Tra i settori che considerano prioritaria la loro adozione, spicca quello manifatturiero rispetto ad altri, come quello sanitario, in cui la gestione dell’impronta di carbonio è ovviamente inferiore.

La ricerca sui CEO italiani condotta da PwC

L’Annual Global & Italian CEO Survey di PwC prende le mosse proprio dal tema della sostenibilità, seppure inteso in senso lato. La prima domanda del report infatti pone al cuore delle sfide dei CEO la sostenibilità economica delle aziende da qui ai prossimi anni. Domanda alla quale circa il 45% dei 112 amministratori delegati italiani interpellati, su un totale di 4.410 a livello globale, si dice convinto del fatto che se le aziende continueranno a percorrere la strada attuale, smetteranno di essere economicamente sostenibili entro i prossimi 10 anni.

Tra gli elementi che molto probabilmente influenzeranno la redditività dei diversi settori in questo arco di tempo, al primo posto i CEO italiani collocano le modifiche alla regolamentazione. A seguire, tra le sfide maggiori indicano la variazione nelle preferenze dei clienti e la carenza di competenze aziendali.

Metà dei CEO del nostro Paese, invece, guarda alla transizione verso nuove fonti energetiche e alle tecnologie disruptive come ai fattori chiave per la redditività. Il 27%, infine, vede questi fattori suscettibili di cambiamento a causa dei potenziali nuovi ingressi di competitor dai settori adiacenti al proprio.

Tra rischi climatici e minacce informatiche

Se gli elementi evidenziati sopra si concentrano sul lungo periodo, il rischio climatico rappresenta al contrario una preoccupazione nei prossimi 12 mesi. In particolare, il 67% dei CEO italiani, superiore alla percentuale globale del 50%, si aspetta un impatto significativo sui costi proprio a causa del cambiamento climatico. Il problema è sentito soprattutto dagli amministratori delegati che stanno prendendo più iniziative in merito. Anche perché le azioni tese alla decarbonizzazione e gli sforzi per innovare prodotti e servizi in modo da renderli rispettosi dell’ambiente non è detto che siano in grado di apportare benefici significativi nel breve termine. Da qui la situazione italiana caratterizzata da un 22% di CEO che ha già sviluppato una strategia aziendale per ridurre le emissioni basata sui dati e un 14% che attualmente non prevede di farlo.

Più che il Climate Change, i cui effetti si scopriranno sulla lunga distanza, i CEO italiani sono preoccupati nell’immediato dall’inflazione (32%), dalla volatilità macroeconomica (21%) e dai conflitti geopolitici (17%). Tre fenomeni tra loro intrecciati, se si pensa che le banche centrali hanno dovuto rivedere i tassi al rialzo proprio in seguito alle tensioni geopolitiche dovute al conflitto in Ucraina. Conflitto che si è aggiunto, facendol aggravare, al problema di approvvigionamento delle materie prime che aveva innescato la dinamica inflattiva sin dalla fine del 2021.

Spostando in avanti il periodo di osservazione, i CEO del nostro paese aggiungono alle sfide da superare anche quella dei rischi informatici. Il che, secondo gli analisti di PwC, è una sottovalutazione eccessiva delle minacce a cui un’organizzazione può essere esposta in assenza di misure adeguate di cybersecurity.

Per i CEO italiani il futuro non è roseo

A paragone dei risultati dello studio di Arthur D. Little, il 63% dei CEO italiani non è ottimista e prefigura un calo della crescita economica globale nei prossimi 12 mesi. Un dato comunque leggermente migliore del 73% dei CEO intervistati da PwC.

Le aspettative meno rosee sono frutto dello scatenarsi del più grande conflitto in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale e dai suoi effetti a catena, tra cui l’aumento dei prezzi energetici e l’incremento dell’inflazione. Le uniche eccezioni si registrano nei CEO di Africa, Brasile, Cina, Giappone e Medio Oriente che si dimostrano fiduciosi nelle prospettive di crescita dei ricavi a 3 anni.

Per affrontare le sfide di questo scenario, il 55% dei CEO italiani dichiara di aver già avviato un taglio dei costi. E se la prima voce di solito posta sotto i riflettori è quella del personale, solo il 9% afferma di aver bloccato le assunzioni e solo l’11% di aver ridotto il numero dei propri dipendenti. Percentuali molto diverse da quelle del 2008, quando circa il doppio dei CEO aveva previsto riduzioni del personale a breve termine. Senza contare che allora la Great Resignation non si era ancora manifestata come meccanismo tipico odierno di penuria e non di esubero del personale.

In definitiva, la diversità e la complessità delle sfide contemporanee spingono i CEO italiani a cercare collaborazioni con istituzioni accademiche, imprenditori, start-up e governi. Questa propensione a stringere alleanze con le istituzioni è uno dei tratti presenti anche nella ricerca di Arthur D. Little. In quella di PwC, si enfatizzano gli scopi sociali sottesi a questa tipologia di partnership. Se non altro, si tratta di un’ipotesi di lavoro che potrebbe contribuire a far ripartire il motore delle imprese.

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