INTERVISTA

I manager europei tra pandemia e guerra: priorità, urgenze e buone pratiche

La crisi energetica costringe a rinviare ambizioni “green”, l’inflazione mette in crisi aziende solide, il timore della guerra e le rivalità tra occidente e regimi autoritari spingono una forte ripresa degli interventi pubblici. Cosa ci riserva il futuro è difficilissimo dirlo. Ai manager spetta il compito di prendere decisioni pertinenti per l’impresa e garantire le basi del benessere collettivo. Il punto di Marco Vezzani, Team Manager Confederazione Europea dei Manager e Presidente Federmanager Liguria

Pubblicato il 11 Apr 2022

Laura Torretta*

Consulente di Trasformazione positiva CHO – Chief Happiness Officer - HR Innovation Manager - Counselor Organizzativo Sistemico Relazionale - Operatrice di Scienza del sè e respiro consapevole

Confederazione Europea Manager

Tra le questioni chiave al centro dell’agenda della Confederazione Europea dei Manager (CEC) per il futuro dell’Europa rientrano la transizione verso un futuro sostenibile, l’uguaglianza di genere, la reindustrializzazione per una nuova autonomia strategica dell’Europa e le nuove forme di lavoro. Sono, tutte quante, tematiche che si inseriscono perfettamente tra gli obiettivi dell’ONU e i progetti del PNRR.

Ed è da qui che quindi riprendiamo l’appuntamento della rubrica “Empower Sustainability” dopo aver focalizzato l’attenzione sugli obiettivi dell’Agenda 2030, sul contributo di ASviS e aver dato voce alla Scuola Etica Leonardo, a Start4.0 e a 4.Manager, Alla sesta tappa, ho pensato di riportare la testimonianza di Marco Vezzani un dirigente d’azienda di lunga esperienza, un contributore attivo al servizio dell’associazionismo europeo e italiano nei ruoli di Management Team CEC (Vice Segretario Generale, CIDA Italia) e di Presidente Federmanager Liguria.

Indice degli argomenti

Storia e missione della Confederazione Europea dei Manager

Un po’ di storia: nel 1951 le organizzazioni dirigenziali francesi, tedesche e italiane fondarono la CIC (Confederazione Internazionale dei Manager) con la volontà di partecipare più attivamente al dialogo sociale europeo e di poter esercitare un’influenza politica sul processo di unificazione; questa confederazione internazionale ha dato vita nel 1989 ad una confederazione europea. Oggi, dopo più di 30 anni la CEC (Confederazione Europea dei Manager), voce del management in Europa, rappresenta circa un milione di manager all’interno del dialogo sociale per creare connessioni attraverso le sue federazioni nazionali e settoriali. I manager svolgono un ruolo fondamentale, sia nelle aziende sia come facilitatori del dialogo nella società: si tratta di prendere le decisioni giuste per prepararsi a un futuro più sostenibile e inclusivo. È una delle sei organizzazioni intersettoriali delle parti sociali europee riconosciute dalla Commissione europea che ha l’obiettivo di alimentare il dibattito pubblico sui temi di gestione manageriale e di leadership organizzativa per contribuire fattivamente a trovare soluzioni globali alle sfide attuali. Un fattore centrale per i manager affiliati è quello di essere membri attivi e consapevoli della società in cui viviamo, dove il benessere comune è un prerequisito assoluto per una crescita economica sostenibile. A Maggio 2021 il neoeletto presidente Maxime Legrand ha dichiarato: «La responsabilità che i manager europei hanno affidato a me e ai miei colleghi è commisurata al ruolo che i manager svolgono nella società, fanno avanzare le nostre economie, prendendo decisioni pertinenti per consentire il cambiamento e garantire le basi del nostro benessere collettivo, in particolare riunendo tutte le parti interessate. Il loro impegno professionale è essenziale se vogliamo che le nostre società continuino a prosperare in tempi sempre più incerti. Ed è proprio nostra intenzione far sentire maggiormente la loro voce in Europa, e ovunque il loro lavoro abbia effetti concreti».

Come sta cambiando il modo di vedere le organizzazioni e di percepire il digitale da parte dei manager americani, europei, italiani

Va anzitutto, e purtroppo, tracciata una linea di demarcazione tra il “prima“ e il “dopo” della pandemia e della guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina. Nel “prima”, i manager, così come in generale il mondo del lavoro, erano impegnati a realizzare i cambiamenti necessari a fronte dell’emergenza climatica creando un’economia sostenibile, a proporre, almeno in Europa, modelli di leadership “gentile”, a cogliere le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale, a “cavalcare” una globalizzazione che sembrava essere solo positiva. Ora, purtroppo, le priorità si sono improvvisamente capovolte: la crisi energetica costringe a rinviare ambizioni “green”, l’inflazione mette in crisi aziende che sembravano solidissime, il timore della guerra e le rinnovate rivalità tra occidente da un lato e regimi autoritari dall’altro spingono a scelte autarchiche e a una forte ripresa degli interventi pubblici. Cosa ci riserva il futuro è difficilissimo dirlo; da Europeista convinto spero in un continente forte, capace di sostenere i propri “campioni” (tra le prime 100 aziende mondiali solo 3 sono europee, almeno come sede), di investire in ricerca e sviluppo, di fare tesoro di quanto può portare l’utilizzo intelligente dell’Agenda digitale e di forme di lavoro “smart”. Ma soprattutto, occorre una maggiore integrazione e collaborazione tra Aziende europee in campi decisivi come la difesa, i trasporti, i servizi. Se infatti per un lungo tempo a venire sarà difficile pensare a una globalizzazione estesa a Cina, Stati Uniti e Russia, come si pensava potesse avvenire, una maggiore integrazione tra le imprese europee servirà proprio a contrastare le spinte in atto verso una aggressiva competizione anche politica ed ideologica tra blocchi.

I pilastri dell’agenda della Confederazione Europea dei Manager

Sviluppo sostenibile, protezione dell’ambiente, invecchiamento attivo, autosufficienza energetica, apprendimento permanente, invecchiamento attivo, pari opportunità e diversità sono alcuni dei punti chiave della CEC. Ci sono obiettivi prioritari ed urgenti a sostegno dell’Agenda 2030? Su quali SDG si focalizzano le vostre attività?

Come CEC abbiamo deciso di concentrarci su 4 priorità, creando gruppi di lavoro composti da esperti e da manager con l’obiettivo di individuare le best practice e formulare proposte rispetto ai seguenti temi:

  • Leadership sostenibile: attraverso convegni, incontri e seminari stiamo delineando le linee guida di come il manager europeo del 2030 possa e debba essere un protagonista del cambiamento sostenibile.
  • Parità di genere: in campo manageriale, specie in alcuni settori più tradizionalmente maschilisti, si stenta ad ottenere risultati analoghi a quelli, pur insufficienti, registrati in altri settori della società; vogliamo studiare quali siano i fattori che ostacolano un pieno riconoscimento della parità di genere e proporre idee e iniziative anche politiche e sindacali in merito.
  • Intelligenza Artificiale: come detto più sopra, l’AI può essere una grande opportunità ma presenta incognite e criticità. Vogliamo approfondire quanto i manager possano fare per massimizzare le ricadute positive e come il loro ruolo debba cambiare di conseguenza.
  • “Smart change”: di cui sono coordinatore, e che si focalizzerà su energia, industria e cambiamenti nel mondo del lavoro.

Per ciascuno di questi “pilastri” coinvolgeremo colleghi ed esperti di tutti i paesi europei per raccogliere “le esperienze di successo” e indicazioni da mettere a fattor comune. Oltre a questo, stiamo intensificando i contatti con i partner sociali (imprenditori e sindacati dei lavoratori) e con le istituzioni europee per far conoscere i valori e le idee dei manager; in particolare sto partecipando alla conferenza sul futuro dell’ Europa che attraverso la consultazione di cittadini e partner sociali cercherà di indicare proposte per un’ Europa più prospera e coesa.

Quali sono le caratteristiche del futuro manager e leader “sostenibile”?

Sì, nel corso degli anni abbiamo voluto dare visibilità alla figura dei manager, individuandone caratteristiche, valori e ruolo attraverso documenti che sono stati recepiti dal Parlamento Europeo e diffusi tra i colleghi e tra i partner sociali. Quel che però mi preme sottolineare, è che mentre in tutta Europa, e direi in gran parte del mondo, tutti coloro che ricoprono ruoli di responsabilità all’interno delle aziende in forma subordinata, ma a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro, sono definiti semplicemente manager, in Italia purtroppo esiste ancora una vecchia e superata distinzione tra “Dirigenti” (un termine intraducibile in ogni altra lingua) Quadri, Professional, Temporary Manager. Tutto ciò è dovuto a vecchie logiche di micro potere sindacale, ma nuoce alle imprese e ai colleghi, specie quelli che operano in un contesto internazionale. Pensate, ad esempio, alla difficoltà di inquadrare nella stessa azienda figure che in Italia sono chiamate “dirigenti”, con un loro specifico contratto e che negli altri paesi europei sono semplicemente dei “manager” o degli “executive manager” nel caso svolgano mansioni apicali. Non parliamo poi dei problemi che sorgono quando, come spesso accade, queste figure si spostano nel corso della loro carriera da un paese all’altro. Quanto al “manager sostenibile” abbiamo organizzato molteplici iniziative in merito, rifuggendo dalle semplificazioni ed essendo ben consapevoli che il primo compito di un’azienda, oggi e domani, è produrre ricchezza. Tuttavia siamo convinti, e lo sono i nostri colleghi che hanno partecipato, che un manager possa e debba creare valore non solo per la sua azienda ma anche per gli “stakeholders” e per l’ ambiente che li circonda, facendo cioè sistema nella convinzione che in un mondo a risorse limitate solo modelli sostenibili possano portare ad aziende sane e durature.

Diffondete buone pratiche manageriali a sostegno della realizzazione dello sviluppo sostenibile: qualche best case? In quale nazione?

Come ho detto, saranno i gruppi di lavoro recentemente costituiti a studiare e diffondere le migliori best practice segnalate dai colleghi. A titolo di esempio, voglio ricordare il primo impianto siderurgico pilota interamente basato sull’utilizzo di idrogeno realizzato a Lulea, in Svezia, che produrrà acciaio “ecologico”. Altri esempi derivano dai rinnovati studi sull’energia nucleare pulita, argomento assai delicato e controverso, ma che i venti di crisi impongono di riconsiderare specie alla luce di importanti ricerche e innovazioni in atto in particolare in Francia e in Italia. Esistono poi svariate e ingegnose esperienze volte a ridurre i consumi energetici industriali, a sostituire fonti inquinanti con altre rinnovabili, e al centro di tutto ciò ci sono sempre manager. Un caso emblematico è quello di un noto CEO di una nota azienda che trasporta il metano in Italia il quale, con la curiosità tipica dei manager sta sperimentando come trasportare l’idrogeno assieme al gas naturale attraverso le attuali condutture. Un bell’esempio di transizione sostenibile!

L’esempio della Liguria: la transizione tra filiere di reti e nuova cultura del lavoro

Cambiamo lenti Marco e torniamo in Italia, nella nostra Liguria. Una terra stretta e lunga con poche grandi aziende e molte PMI. Cosa ci puoi raccontare: siamo ancora prigionieri delle rendite di posizione o vedi il rifiorire dell’imprenditorialità? Piccolo è bello o intercetti nuove filiere di rete più sostenibili?

Certamente la storia industriale ligure è sempre stata incentrata su grandi aziende e investimenti pubblici, anche se oggi, accanto alle grandi Aziende che peraltro sono delle SpA e devono quindi rispondere al mercato, si stanno strutturando realtà piccole ma altamente competitive dal punto di vista tecnologico. Gli esempi sono tanti e vedono anche importanti momenti associativi come il “Dixet”, progetti interessanti di collaborazione con l’Università come il parco tecnologico di Savona. Io, come il Sindaco Bucci, vedo in Liguria le condizioni per una armoniosa sinergia tra “campioni”, come Leonardo, Fincantieri e Ansaldo e realtà piccole ma dinamiche. Il tutto accanto al porto, al turismo e ai servizi. E del resto, anche aziende liguri medie e grandi stanno compiendo imprese straordinarie: basti pensare alla ERG, trasformatasi completamente e in breve tempo da azienda petrolifera ad azienda completamente “green”. Insomma, come si capisce facilmente non sono un “fan” del “piccolo è bello” che spesso vuol dire familismo, sottocapitalizzazione, sfruttamento e poca innovazione. Semmai l’Italia, così come la Liguria e l’Europa, deve favorire lo sviluppo di “campioni industriali” capaci di competere con i giganti USA e CINA. Detto ciò solo piccole strutture industriali possono avere l’elasticità e l’inventività necessarie a produrre innovazione. Insomma, “piccolo è bello” se si è integrati col sistema industriale complessivo e poi si cresce…

Rispetto al tuo ruolo in Federmanager Liguria, come state contribuendo alla realizzazione del PNNR sul territorio?

Rispetto al PNRR, che consideriamo una grandissima opportunità per il nostro Paese, abbiamo formulato proposte e vigileremo sulla loro realizzazione. Di certo però il protagonista deve essere il governo, ottimamente guidato da Mario Draghi. Il problema, come molti fingono di non ricordare, è che i quattrini arriveranno solo se faremo le riforme chieste dall’Europa e peraltro ultra necessarie comunque, ma quasi tutti partiti e molti cittadini fanno orecchie da mercante! Come manager siamo poi molto preoccupati per il rischio di ritardi dovuti a insufficiente “project management”; ricorderete quanto importanti siano stati, per il buon successo della ricostruzione del ponte S.Giorgio, la managerialità e la professionalità delle imprese coinvolte e della struttura di controllo. Il rischio è che nella molteplicità dei progetti del PNRR e nell’assenza di una struttura tecnica di project management, non voluta da alcuni partiti, si accumulino ritardi di cui ci si accorga quando sarà troppo tardi.

Quali rischi e opportunità vedi nella realizzazione dell’innovazione affinché sia sostenibile? Quale ruolo gioca l’evoluzione della cultura del lavoro e della leadership nelle organizzazioni locali?

A parte le difficoltà del momento, considero l’”innovazione sostenibile” un fattore non solo eticamente importante ma anche industrialmente indispensabile. Semmai il rischio che vedo è che a parole quasi tutti si dicono entusiasti e promettono investimenti “green” e sostenibili, anche perché oggi molti azionisti consapevoli sembrano chiederlo; occorrerà vedere se questo “trend” virtuoso sarà davvero sincero e duraturo. Quanto alla nuova “cultura del lavoro” non vedo particolari differenze a livello ligure, italiano ed europeo (in USA è un’altra musica, con i manager superstar che si travestono con poca credibilità da leader illuminati!): ovunque si stanno affermando forme di leadership più democratiche e capaci di indurre partecipazione e senso di appartenenza in organizzazioni sempre più orizzontali e altamente informatizzate. Per sostenere questa trasformazione il sindacato ligure dei manager sta facendo “cultura” attraverso cicli di incontri sui cambiamenti tecnologici, formazione e “network” volto a condividere questa visione moderna e soprattutto necessaria che mira a coinvolgere e ad avere visione. Per concludere uso un aneddoto personale. Sono stato più volte in passato testimone di mancanza di coraggio e di leadership anche da parte di grandi manager: negli anni novanta un nostro collega genovese aveva inventato Amazon dieci anni prima di Jeff Bezos, la “piattaforma on line”, del tutto identica a quel che sarebbe stato Amazon si chiamava “Go Italy” e necessitava di un miliardo di lire per essere avviata. Non gli fu dato, e ora per ogni oggetto comprato on line paghiamo il nostro obolo all’uomo di Seattle.

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