Management

Personalizzazione, automazione e real-time: il Marketing ai tempi dell’intelligenza artificiale

Basato sui dati, potenziato dall’AI e accelerato dalle piattaforme tecnologiche: il nuovo real-time Marketing è realtà. Dall’esperto di Marketing strategico Mohanbir Sawhney, relatore al World Marketing & Sales Forum, preziosi e puntuali suggerimenti per i CMO che si trovano ad affrontare le sfide della trasformazione digitale. Contenuti, automazione e analytics: ecco il perfetto mix di competenze necessarie

Pubblicato il 05 Ago 2019

Manuela Gianni

Direttrice, Digital4Executive

real-time marketing

Il real-time Marketing è già di per sé una sfida, se poi le attività proposte non sono le stesse per tutti i clienti, ma personalizzate sul momento, potrebbe sembrare una missione impossibile. In realtà, è tutto già disponibile e ampiamente utilizzato, ci racconta Mohanbir Sawhney, docente alla Kellogg e autore di 6 libri, che lo scorso giugno a Milano è stato uno degli speaker del World Marketing & Sales Forum. Sawhney cita esempi di applicazioni che già hanno milioni di utenti, come Sephora, Levi’s, AirBnb e Netflix. E spiega che siamo nel pieno di una trasformazione che è complessa, ma al contempo entusiasmante, e che cambia anche il ruolo del Marketing manager. Un executive a cui è chiesto di usare il suo cervello in modo equilibrato e completo, combinando cioè le competenze dell’emisfero destro, quelle creative ed emotive, con quelle dell’emisfero sinistro, più razionali e analitiche. Il real-time marketing personalizzato è dunque un mix sapiente di fantasia e ingegneria.

Professor Sawhney, la grande sfida del real-time Marketing Multichannel è la personalizzazione, grazie all’AI. Se ne parla ormai da tempo: a che punto siamo veramente? E quali sono i migliori esempi oggi?

La personalizzazione supportata dall’intelligenza artificiale è davvero una realtà ormai. Molte aziende la impiegano su larga scala. Ad esempio Netflix, che fornisce raccomandazioni personalizzate sui film, in base ai like e ai trailer visti dai clienti. O Levi’s, che ha creato un “Virtual Stylist” per aiutare i clienti a scegliere il migliore paio di jeans, o AirBnb, che ha un servizio per suggerire agli host il prezzo a cui affittare le stanze.

Un ottimo esempio è quello della società di cosmetici Sephora, che ha utilizzato tecnologie intelligenti come il riconoscimento del parlato (Natural Language Processing), il Machine Learning e la Computer Vision per migliorare l’esperienza dei clienti sia in negozio che online. Nei suoi punti vendita Sephora personalizza la Customer experience attraverso partnership con società tecnologiche come Dynamic Yield, che ha sviluppato l’algoritmo di Machine Learning per fornire consigli personalizzati sui prodotti ai clienti. In pratica, assume il ruolo del commesso e fornisce suggerimenti in base a vari fattori, come la posizione nel negozio, gli acquisti precedenti, o i prodotti visionati in precedenza.

Per l’esperienza online, con l’AI il brand ha sviluppato altre applicazioni, come Sephora Visual Artist, un’esperienza 3D che permette di testare il make up virtualmente, attraverso un’App. O ancora Color IQ, un servizio che effettua la scansione della pelle e suggerisce un numero personale che può essere utilizzato nella selezione del fondotinta migliore per il proprio incarnato. Non sono certo esempi di nicchia. Sephora Visual Artist è stato utilizzato già 200 milioni di volte in 8 milioni e mezzo di sessioni.

Servizi di questo tipo non rischiano di essere troppo invadenti per i clienti? Quali sono i punti di attenzione che i brand devono considerare?

Per non essere invadenti e rispettare la privacy dei clienti, io suggerisco ai brand di seguire tre principi. Primo: raccogliere i dati personali in modo proattivo e sicuro ottenendo il consenso dai clienti stessi. Secondo: essere trasparenti, ovvero spiegare quali dati vengono raccolti e come verranno utilizzati. Da ultimo, fornire valore ai clienti in cambio dei loro dati personali, in termini di prodotti di qualità superiore ed esperienze migliori.

Un altro tema al centro del Marketing moderno è la gestione delle informazioni sui clienti: le aziende sono sommerse da enormi quantità di dati raccolti ma fanno fatica a creare profili che riflettano l’identità dei clienti. Le CDP (Customer Data Platform) sembrano essere la risposta tecnologica. Come utilizzarle correttamente?

I dati dei clienti sono diventati un asset chiave per i marketer, perché è con i dati che è possibile la creazione delle offerte personalizzate, oltre che delle comunicazioni mirate con i clienti. Tuttavia, per estrarre valore dai dati dei clienti in modo efficace serve raccoglierli in un repository unico, che contempli tutte le diverse tipologie e questo repository è chiamato CDP (Customer Data Platform, un’evoluzione delle DMP, Data Management Platform). Si tratta di un data base unico, gestito dal marketing, che deve essere robusto e accessibile da tutti i sistemi. La CDP sostanzialmente ha quattro funzionalità chiave.

Raccogliere i dati, ovvero deve avere la capacità di ricevere in real-time dati di prima parte, relativi ai singoli individui e provenienti da fonti diverse, offline e online.

Unificare i profili, ovvero l’abilità di consolidare i profili a livello individuale, collegando gli attributi alle identità. Ciò significa anche che deve essere possibile ricondurre dispositivi multipli a un singolo individuo, una volta cioè identificata la persona a cui appartengono.

Segmentare, ovvero avere la capacità di creare e gestire segmenti in base a regole predefinite, la discovery automatizzata dei segmenti, predictive analytics e modelli in base alle inclinazioni personali. Deve essere anche possibile importare e sviluppare modelli sui clienti creati in ambienti esterni, utilizzando advanced analytics o sistemi di data science.

Attivare: alimenta campagne email, messaggi su smartphone e advertising.

Parlando di organizzazione e competenze, come dovrebbe essere composto oggi un team di marketing ideale?

Il marketing team perfetto oggi ha bisogno di creare competenze di gestione in tre ambiti: contenuti, automazione e analytics. Per quanto riguarda la gestione dei contenuti, il team deve essere in grado non solo di crearli e curarli, ma anche di ottenerli dall’esterno da molteplici contributori. E questo per contenuti di tutti i formati, ad esempio video, case study dei clienti, blog post, immagini, white paper o infografiche.

La gestione dei contenuti deve essere modulare e ha bisogno di essere taggata e indicizzata in basa alla rilevanza per ciascun segmento di clientela, per ciascuna fase del customer journey e nelle diverse fasi d’acquisto.

La seconda importante area di competenza è legata all’adozione e utilizzo delle piattaforme di marketing automation. Il team deve essere in grado di gestire le Operations relative al design e alla Execution di campagne automatizzate di Marketing. Fra i più popolari sistemi di Marketing automation figurano Marketo (acquisito da Adobe), Pardot (acquisito da Salesforce) and Eloqua (acquisito da Oracle).

La terza importante competenza per il real-time marketing è relativa ai dati. Nel team servono professionisti di analytics e AI in grado di valorizzare i dati dei clienti, i contenuti e la marketing automation per ottimizzare le attività.

Il Marketing manager deve dunque diventare un esperto di tecnologie?

Il nuovo CMO è un executive che sa usare tutto il cervello, combinando cioè le competenze dell’emisfero destro –intuito, evidenze e creatività per lo storytelling- con quelle dell’emisfero sinistro –dati, sperimentazioni e analisi-. È uno scenario sfidante, ma allo stesso tempo è un momento molto entusiasmante per i CMO, perché davvero possono trasformare l’organizzazione di Marketing rendendola data-driven e potenziarla con l’AI per arrivare al real-time marketing personalizzato, preparandola a sfruttare tutta la potenza della tecnologia per accelerare la crescita e creare piacevoli esperienze per i clienti.

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