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Integrazione delle applicazioni in contesti ibridi, la ricetta di Axiante per performance sempre al top

Definire insieme una data strategy e riprogettare sulla base delle esigenze del cliente tutti i flussi, all’insegna del miglioramento continuo. Così le aziende possono affrontare la proliferazione di fonti, formati dati eterogenei e workflow complessi, per ottimizzare le performance di business anche in momenti di forte discontinuità. La parola all’AD, Romeo Scaccabarozzi

Pubblicato il 18 Mar 2022

hybrid integration concept

Le aziende si trovano a vivere un momento storico molto complicato, che se non affrontato nel modo giusto ne mette realmente a rischio la sopravvivenza. La pandemia prima, la crisi energetica poi, ora i conflitti in Europa. Le poche certezze di business ricostruite negli ultimi mesi rischiano di sbriciolarsi sotto il peso di un’escalation di eventi difficilmente controllabili dai singoli, ma che si riflettono pesantemente sui mercati obbligando le aziende a rivedere in corsa i propri piani per il futuro. «A mio avviso la parola chiave è velocità – commenta Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante –. Non è che prima le aziende e il mercato fossero statici. La discontinuità, in realtà, fa parte della natura stessa del business. Quello che è cambiato è la durata dei cicli di cambiamento. Prima si protraevano per venti o trent’anni, oggi invece per due o tre al massimo. Posto che nulla rimane immutabile, le aziende non solo devono cambiare rapidamente ma anche farlo più velocemente dei propri competitor. Ecco perché bisogna creare e promuovere una vera e propria cultura del cambiamento».

Le sfide per i CIO (e non solo per loro)

La possibilità di “anticipare” le mosse dei clienti e dei concorrenti è un aspetto cruciale per il successo del business, che richiede la capacità di presidiare tutti i dati, i flussi di informazioni e i processi significativi per l’organizzazione. Una sfida importante per i CIO, alle prese con un aumento senza precedenti delle richieste che provengono dalle business line. La diffusione dello Smart Working e dei modelli di lavoro ibrido, l’aumento della mole di record prodotti quotidianamente dentro e fuori l’azienda – per esempio dai business partner e dai provider di servizi – genera una complessità tecnologica che va gestita e indirizzata, spesso purtroppo con poche risorse a disposizione. Una situazione cui, forse, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) riuscirà a porre rimedio. «Quello che è cambiato negli ultimi mesi – sottolinea il manager – è che finalmente è tornata la voglia di investire per prepararsi meglio al cambiamento, con la consapevolezza che su alcune cose, anche quando la pandemia sarà solo un lontano ricordo, non si tornerà più indietro. In questo senso, il PNRR sicuramente sta contribuendo ad accelerare percorsi di innovazione che dovevano necessariamente essere intrapresi, forse molto prima di quanto non stia avvenendo».

Come e perché si diffondono le architetture ibride

Le soluzioni digitali di nuova generazione promuovono un’innovazione pervasiva, che arriva al cuore dei modelli di business e porta risultati economici tangibili. Il rovescio della medaglia, però, è la proliferazione di fonti, formati dati eterogenei e workflow complessi, che finiscono per penalizzare le performance aziendali. «Il miglior governo degli ambienti ibridi non è una scelta come molti pensano – tiene a precisare Scaccabarozzi –. È, piuttosto, una necessità e le ragioni a mio avviso sono principalmente tre. La prima è che applicazioni e ambienti vecchi e nuovi devono necessariamente convivere. I dati per l’onboarding del cliente di una banca, per esempio, risiedono spesso su sistemi legacy che difficilmente comunicano con i CRM di nuova generazione. Oggi, invece, con l’aiuto degli strumenti giusti è possibile azionarli meglio per ingaggiare in modo più efficace l’utente dei servizi bancari, proponendogli prodotti finanziari o assicurativi aggiuntivi, a vantaggio del business. La seconda ragione è che i fornitori di software sempre più spesso offrono le proprie applicazioni solo attraverso un cloud proprietario. Il risultato è una sovrapposizione di ambienti on premise, in cloud privati, in cloud pubblici difficile da governare. C’è, poi, un’altra questione spinosa, quella legata alla proprietà del dato. Sì perché ci sono i dati che l’azienda produce e possiede e che può gestire come vuole. Poi ci sono altri dati non suoi, che magari l’azienda consulta solo sporadicamente. Anche questi sistemi esterni devono essere accessibili e i dati che vi risiedono devono essere interpretabili e confrontabili con quelli prodotti internamente». Diventa essenziale, dunque, disporre di piattaforme che permettono di gestire in modo omogeneo tutti i domini delle diverse applicazioni, on premise e in cloud. L’Hybrid Integration è, dunque, sicuramente una necessità, ma se ben concepita e realizzata si trasforma anche in una formidabile opportunità.

Dalla data quality alla data usefulness

La possibilità di assicurare un “dialogo” tra ambienti operativi e soluzioni di vendor diversi permette di trasformare i record che transitano quotidianamente in azienda in veri e propri asset di valore. Informazioni strategiche e operative che semplificano i processi decisionali garantendo quella data usefulness che è oggi imprescindibile in azienda. «A mio avviso – conferma Scaccabarozzi – è corretto parlare di utilità del dato più che di data quality. Utilità significa che l’informazione rilevante che mi arriva in ritardo non ha valore per me. Perché il dato sia utile deve avere un senso e deve essere fresco e questo è possibile solo se a monte c’è un’integrazione ben concepita ed eseguita che permette di azionare i dati utili a comprendere la genesi delle iniziative di successo».

Come massimizzare i benefici dell’hybrid integration

Per massimizzare i benefici dell’hybrid integration spesso il punto di partenza è creare le giuste sinergie con il provider. Questo significa definire insieme la data strategy, per comprendere quali dati l’azienda vuole avere a disposizione nei prossimi due o tre anni, e con quale livello di integrazione, progettando insieme il percorso ottimale per realizzarla. «Noi di Axiante siamo specialisti della Business Innovation Integration e in questa definizione sono racchiuse le nostre tre anime – spiega il manager –. Quella più propriamente business, in grado di comprendere e parlare il linguaggio delle LoB lavorando fianco a fianco con i manager funzionali, i direttori vendite, marketing e HR. Quella più legata all’innovazione vera e propria e alle tecnologie IT di ultima generazione, che si realizza nella collaborazione con il CIO e il suo team. Infine, quella che crea un legame col passato, attraverso l’integrazione di applicazioni e ambienti già in uso in azienda», che con l’aiuto di Axiante possono finalmente essere modernizzate. Strategy execution, planning finanziario, data intelligence, Corporate Performance Management e molto altro… L’expertise di Axiante valorizza l’integrazione intelligente e personalizzata di processi, dati e flussi che hanno rilevanza per i risultati di business, con un approccio di miglioramento continuo. «Quello che sicuramente ci differenzia rispetto alla concorrenza – conclude Scaccabarozzi – è il nostro realismo, la capacità che abbiamo di procedere allo stesso passo del cliente con un approccio incrementale, per cui ogni successo rappresenta il punto di partenza per lo step successivo in ottica di miglioramento continuo. In pratica, più operiamo sul campo e più siamo in grado di risolvere situazioni complesse e questo genera una forte attitudine al risultato anche in un periodo di forte volatilità come quello che stiamo vivendo. L’altro elemento che ci distingue rispetto al resto del mercato è la convinzione che debba esserci un continuo travaso di conoscenze tra noi e il cliente, per evitare che uno dei due sia un freno per l’altro».

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