PMI italiane in ripresa: a raccontarlo l’ultimo rapporto stilato dagli analisti di Cerved Group, con la collaborazione di Confindustria, che illustra come i bilanci delle piccole e medie imprese italiane mostrino chiari segnali di miglioramento per il quarto anno consecutivo (qui avevamo raccontato del rapporto Cerved di due anni fa). Nell’edizione 2018 del Rapporto PMI Nord e Centro Italia, infatti, Cerved ha messo a fuoco lo stato di salute di questa realtà decisiva per l’economia italiana, evidenziando gli elementi di vitalità e di criticità, ma anche individuando le potenzialità di crescita.
PMI italiane in ripresa: la fotografia del Nord e del Centro Italia
Considerando, in dettaglio, il settore delle PMI del Nord e del Centro Italia, si parla di un totale di 3,4 milioni di imprese, di cui solo una parte limitata (circa 817mila) è costituito da imprese di capitali, che per lo più sono di piccolissime dimensioni (tra 1 e 9 addetti). Le PMI oggetto del rapporto, sono società di capitali con un fatturato compreso tra 2 e 50 milioni di euro e che hanno tra 10 e 250 addetti: sono 118mila, ma con un peso economico estremamente significativo, generando circa 740 miliardi di euro di fatturato, un valore aggiunto di 174 miliardi di euro ed occupando 3,2 milioni di addetti.
Da sole, dunque, queste 118mila imprese valgono circa il 13,5% del PIL dell’area Centro-Nord. 49mila sono localizzate nel Nord-Ovest (36mila nella sola Lombardia), 36mila nel Nord-Est e circa 29mila al Centro. Nell’ambito delle PMI, le piccole imprese (meno di 50 addetti e meno di 10 milioni di ricavi) sono prevalenti in termini numerici, ma non in termini economici. Nel Centro-Nord hanno sede 20mila medie società (di cui circa un terzo in Lombardia), che impiegano quasi la metà degli addetti, generando il 54% del fatturato e del valore aggiunto delle PMI dell’area. Il peso delle medie imprese è più alto nel Nord (oltre il 55% del fatturato) rispetto al Centro, che mostra un tessuto produttivo in cui prevalgono le imprese di minori dimensioni.
Al Nord abbiamo una maggiore diffusione delle imprese industriali, mentre al Centro (soprattutto per il peso predominante del Lazio) si osserva una quota relativamente più alta dei servizi. Rispetto alla media nazionale, emergono l’elettromeccanica in Emilia Romagna, il sistema moda in Toscana, Marche e Veneto, la lavorazione del metallo in Lombardia e in Piemonte, la logistica in Liguria e la filiera dell’informazione e dell’intrattenimento nel Lazio.
I ricercatori di Cerved evidenziano che la crisi economica ha prodotto una flessione del numero di PMI dal 2007 al 2014, con una perdita particolarmente marcata nel Centro (-12%) e comunque consistente anche nel Nord-Est (-7,9%) e nel Nord-Ovest (-5,5%). Dal 2015, invece PMI in ripresa: l’inversione di tendenza positiva, che ha acquisito slancio nel 2016, con un aumento del 4% su base annua nel Nord-Ovest, del 3,4% nel Nord-Est, del 2,8% nel Centro sta proseguendo al punto da tornare al di sopra dei valori pre-crisi. Mancano ancora all’appello più di mille PMI nel Nord-Est e ben 2.322 nel Centro.
«Le PMI italiane in ripresa vedono dunque aumentare i margini, avvalendosi anche di tassi di interesse ai minimi storici – racconta Guido Romano, responsabile Ufficio Studi Cerved – il che ha contribuito a ridurre ulteriormente gli oneri finanziari sul MOL, uno degli indicatori più spesso utilizzati dagli analisti finanziari per valutare la sostenibilità dell’impresa. L’indice scende al 12,7% tra le imprese del Nord (dal 14,5% dell’anno precedente nel Nord-Est e dal 14,2% nel Nord-Ovest) e al 17,6% tra quelle del Centro (dal 19%).
Migliora anche la puntualità delle PMI del Centro-Nord nei pagamenti delle proprie controparti commerciali: in tutte le aree analizzate, si riducono i giorni di ritardo, con le PMI del Nord-Est che si confermano più puntuali (7,5 giorni medi di ritardo, contro i 9,4 di quelle del Nord-Ovest e i 13,8 di quelle del Centro) e più rapide a liquidare le proprie fatture (68,2 giorni, contro 71,4 del Nord-Ovest e 71,6 del Centro). I progressi più consistenti si osservano nelle regioni centrali, che fanno registrare una riduzione di oltre 10 giorni in 5 anni».
Nel 2017, le PMI italiane in ripresa dell’industria, che si confermano più solide rispetto a quelle degli altri settori e per oltre il 70% nel Nord-Est e nel Nord Ovest (e per circa il 60% nel Centro) si collocano in area di sicurezza o di solvibilità. Non manca, anche nell’industria, un aumento di imprese anche nelle classi più fragili. Un segnale di attenzione da non sottovalutare. In sintesi comunque il sistema di PMI industriali del Centro-Nord ha subito un ridimensionamento numerico più forte, ma si conferma nelle imprese sopravvissute estremamente dinamico e competitivo. Il problema è la difficoltà a espandersi, sia in termini di numero di imprese sia di dimensioni medie.
PMI italiane in ripresa: la fotografia del Mezzogiorno
La buona notizia è che abbiamo PMI in ripresa anche al Sud. Le analisi Cerved evidenziano che su un totale di 1,7 milioni di imprese meridionali, solo circa 300mila sono imprese di capitali. Il Rapporto PMI Mezzogiorno 2018 racconta come per la maggior parte si tratta di imprese di piccolissime dimensioni (tra 1 e 9 addetti), ma è in crescita la componente con fatturato tra 2 e 50 milioni di euro e nella fascia 10-250 addetti, la più dinamica del tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno, su cui si concentra l’analisi del Rapporto. Si tratta di quasi 26mila imprese, con fatturato complessivo di oltre 130 miliardi di euro e valore aggiunto di quasi 30 miliardi: da sole, queste 26mila imprese valgono poco meno del 10% del PIL meridionale.
Rispetto alle imprese italiane, le PMI di capitali del Mezzogiorno sono il 18,5% del totale ma producono solo il 15% del fatturato e il 14,7% del valore aggiunto. A parità di numero, dunque, generano minore fatturato e minore valore aggiunto rispetto a quelle dell’intero Paese. È interessante tuttavia evidenziare che, rispetto all’anno precedente, aumenta in percentuale la quota di medie imprese rispetto alla quota delle piccole.
L’uscita dal mercato delle PMI più fragili, la maggiore capitalizzazione di quelle sopravvissute, il minor peso degli oneri finanziari, le abitudini di pagamento più virtuose: segnali univoci, che confermano il lento ma progressivo irrobustimento del tessuto imprenditoriale meridionale. Il gap, ancora evidente e per certi versi crescente con il resto del Paese, testimonia tuttavia, al tempo stesso, che la velocità con cui tale processo si compie non è sufficiente a colmare la distanza.
«Il sistema delle PMI meridionali è composto di numeri più contenuti, ma più robusto – spiega Romano -: anche grazie alla consistente capitalizzazione, le imprese sopravvissute alla crisi sono più solide e la loro affidabilità creditizia lo testimonia. Tra fine 2016 e fine 2017 salgono infatti dal 44% al 48,4% le imprese che, in base al Cerved Group Score, sono considerate sicure o solvibili, mentre scendono dal 39,9% al 35,4% quelle considerate vulnerabili.
D’altra parte, si registra un leggero aumento della quota più rischiosa (da 15,9% al 16,2%): le conseguenze della lunga crisi non sono ancora per tutti definitivamente alle spalle. Le PMI che migliorano la propria classe di rischio (35,6%) comunque sono significativamente di più di quelle che la vedono peggiorare (25,6%) e, ancor più significativamente, gli upgrade, al Sud, sono più frequenti della media nazionale».
Le PMI industriali del Mezzogiorno hanno fatto registrare performance migliori delle altre società meridionali e, per certi versi, anche delle PMI industriali dell’intero Paese.
«La crisi ha innescato una lunga fase di riduzione del ricorso al capitale bancario in favore del capitale proprio – ha proseguito Romano – . Questo apre importanti spazi finanziari per nuovi investimenti. In base al Cerved Group Score, esistono infatti poco meno di 7mila PMI meridionali con probabilità di default molto bassa (classificate in una delle classi di sicurezza o solvibilità) e con rapporto tra debiti finanziari ed EBITDA inferiore a 2. Se queste 7mila aumentassero il loro indebitamento di 9,4 miliardi, questo rapporto rimarrebbe entro la soglia del 2, mantenendo un livello di rischio comunque estremamente contenuto. Ma quei 9,4 miliardi sarebbero una cifra consistente, pari al 22,4% dell’attivo, che se trasformato in investimenti potrebbe aumentare significativamente la capacità produttiva del Mezzogiorno».
Come spiega l’esperto di Cerved Group, oltre la metà di questo potenziale, 5 miliardi di euro, è attribuibile a circa 6mila piccole imprese. È un complesso di società molto interessante per eventuali investitori, perché le PMI meridionali di minore dimensione pagano il denaro a costi elevati, più di quelli delle imprese medio-grandi, anche quando hanno un rischio di default basso: il costo mediano del debito di una piccola impresa del Sud sicura è del 3,6%, poco meno di una media impresa meridionale rischiosa (3,8%). Molte di queste piccole società (2.672 su 5.767) operano completamente in autofinanziamento. Valutare quanto di questa mancata opportunità sia dovuta a resistenze degli imprenditori ad accedere a finanza esterna, e quanto a una offerta limitata da parte del settore finanziario è fondamentale per sbloccare questo canale di crescita per il Mezzogiorno, soprattutto per le imprese di minori dimensioni.
Le previsioni di Confindustria e Cerved confermano come nel 2018 e nel 2019, fatturato e valore aggiunto delle PMI di capitali del Sud dovrebbero crescere a tassi non molto dissimili da quelli del resto del Paese. I margini si mantengono più bassi della media nazionale, a conferma del peso delle diseconomie esterne che pesa sulla profittabilità delle imprese meridionali.