Intervista

La rivoluzione digitale di Etro: un’onda d’urto potente, propagata con ascolto e collaborazione

In 9 mesi, il famoso brand del lusso ha implementato un nuovo e-commerce, un CRM, una piattaforma di Marketing Automation, un Order Management System e una soluzione di Digital Asset Management spalancando le porte a una dirompente trasformazione digitale. Il Chief Digital Officer Fabrizio Viacava spiega come è stato possibile attuare un cambiamento prima ancora organizzativo che tecnologico

Pubblicato il 02 Dic 2019

Patrizia Fabbri

etro

Ridare del tempo alle persone”, è con questa frase che Fabrizio Viacava, Chief Digital Officer di Etro, sintetizza il compito del digital di oggi. Incontrato al recente Dreamforce di San Francisco, il CDO concretizza questa affermazione spiegando che «questo significa essere seamless ossia fornire servizi sempre più articolati, che si basano su una tecnologia complessa ma trasparente per il cliente, al quale dobbiamo offrire un’esperienza sempre migliore, riconoscendo i suoi gusti e le sue esigenze, immaginando le sue aspettative in ogni canale Etro, nei negozi sparsi per il mondo così come nell’online». Se un cliente abituale della Etro Boutique di via Monte Napoleone entra nella Etro Boutique di Madison Avenue deve essere riconosciuto, e accolto, a New York come lo sarebbe nel negozio milanese. Una condizione possibile solo se il digitale entra a far parte del DNA di un’azienda e ne pervade tutte le attività: «La conoscenza del cliente, una relazione che va al di là della vendita, non è certo una novità, soprattutto nel mondo del fashion, ma questa conoscenza deve essere governata e sistematizzata per poter offrire un’esperienza customizzata di alto livello», aggiunge il CDO.

La rivoluzione digitale di Etro: si parte con una potente onda d’urto

E il primo passo per raggiungere questo obiettivo è stato per Etro partire da una gestione del dato diversa da quanto avveniva: «Raccogliere e gestire il dato in un modo che non sia artigianale, propagare queste informazioni in tutta l’azienda, nel pieno rispetto della privacy e delle autorizzazioni dei nostri clienti, è fondamentale. Come azienda, Etro è una splendida realtà, con una creatività pazzesca, ma sul digitale era più che un passo indietro rispetto ai competitor ed eravamo nella condizione di dover colmare un gap tecnologico importante», spiega Viacava. Un gap che poteva essere superato solo con una vera e propria rivoluzione digitale.

Brand famoso per le sue camicie a stampe, i disegni paisley, gli scialli in cashmere, le borse classiche impreziosite da particolari arditi e tanto altro ancora, Etro ha le sue radici a Milano (milanese è la famiglia del fondatore Gimmo Etro che crea l’azienda nel 1968 e continua a guidarla oggi insieme ai suoi 4 figli), ma il suo fatturato di oltre 300 milioni di euro deriva principalmente dall’estero: il Giappone è il primo mercato, seguito dagli USA, quindi l’Europa (con Germania e UK che fanno da capofila) e un grande interesse, come per tutti i brand del lusso, verso la Cina.

Chiamato dalla proprietà e dal direttore generale Francesco Freschi nel luglio del 2018, Viacava (manager con un’esperienza consolidata negli ambiti del Digital Marketing e dell’e-commerce per brand famosi come Costa Crociere, TOD’S, L’Oréal…) dà il via a un impegnativo progetto di digital transformation che, in 9 mesi, ha portato Etro a implementare una serie di tecnologie:

  • completo ridisegno del portale di e-commerce utilizzando la piattaforma Salesforce B2C Commerce con la possibilità di ricevere notifiche quando un prodotto torna in stock e una integrazione con il mondo offline che prevede la possibilità, al momento non ancora implementata, di visualizzare lo stock nei negozi di tutto il mondo. Questo consentirà ai clienti di mercati come quello cinese (il sito è disponibile in 7 lingue, comprese cinese e giapponese), dove Etro non vende online, di verificare se i prodotti che cercano ci sono o meno;
  • una piattaforma CRM, sempre targata Salesforce: «Come dicevo non è che non si raccogliessero i dati dei clienti per approfondirne la conoscenza: ci si basava su fogli Excel che venivano utilizzati al meglio delle capacità umane, ma non lo si può certo definire un CRM», dice il manager;
  • la piattaforma di marketing automation Salesforce Marketing Cloud. «Abbiamo scelto tre delle principali piattaforme Salesforce perché avere un unico partner ci avrebbe sicuramente facilitato dal punto di vista organizzativo e delle tempistiche e la sua leadership tecnologica ci assicurava di poter avere a disposizione le migliori tecnologie possibili. Naturalmente questo non significa che sia perfetto: ogni brand ha le sue specificità così come ogni settore, ma scegliere Salesforce ha significato partire da uno standard molto alto», ha sottolineato Viacava;
  • un OMS (Order Management System), dell’australiana Fluent Commerce, per gestire gli ordini con un approccio omnicanale;
  • una soluzione DAM-PIM (Digital Asset Management e Product Information Management): un repository degli asset digitali dell’azienda (dalle immagini dell’archivio storico, ai bozzetti dell’ufficio Stile, alle foto dei prodotti e delle campagne adverstising). Una soluzione che consentirà a Etro di avere il controllo e la governance di tutto quello che viene realizzato digitalmente, potendolo distribuire e rendere disponibile a chi, in azienda, ne sia autorizzato.

Insomma, una vera e potente onda d’urto che si basa su un business plan di 5 anni, «anche questa una cosa ormai atipica, ma per noi indispensabile per colmare il gap» riconosce Viacava, e nel quale si affacciano temi come blockchain e IoT.

A settembre, in occasione della Fashion Week milanese è stato lanciato il nuovo sito di e-commerce ed è stato fatto il roll out del CRM in Europa, che verrà seguito, entro i primi mesi del 2020, dal roll out completo in America, prima, e da quello in Giappone e Cina, poi: «Salesforce CRM è integrato con i dati dell’ERP, quindi già oggi cattura i dati provenienti da queste aree geografiche, ma per il momento non ritorna loro la stessa esperienza che è già live nelle boutique europee dove è attivo».

La tecnologia non è un solver, lo sono le persone

Il supporto della tecnologia è determinante e, soprattutto in un caso come quello di Etro protagonista di un’accelerazione da Formula 1, rappresenta un importante abilitatore, ma le rivoluzioni non si fanno con la tecnologia: «La differenza la fanno sempre le persone sia, naturalmente, per quanto riguarda la creatività sia nelle relazioni one to one con i nostri clienti», e se le persone non sono protagoniste del cambiamento e non lo fanno proprio è impossibile portare avanti con successo un progetto di questo tipo.

«Non si può pensare che un cambiamento culturale così importante non incontri problemi. Il primo passo è stato trasferire internamente una visione di pervasività digitale nel modo corretto a tutte le aree aziendali, dagli altri membri del board agli altri manager e via via a tutto il personale Etro», spiega Viacava che poteva contare su una forte sponsorship della proprietà e del direttore generale: «La figura del digital officer non esisteva in Etro e tantomeno una struttura come la mia [fatta oggi di 15 persone, tra cui un architect designer e un digital development manager, alla quale si affianca una struttura IT, con un suo responsabile. Sono stato chiamato perché la direzione aveva la percezione che un divario doveva essere colmato». L’azienda si era quindi resa conto di avere un problema, che doveva entrare nel mondo digitale, ma sul come si è affidata a Viacava, al quale ha però sicuramente trasmesso un forte senso di urgenza. «Il mio compito è stato quello di trasferire, comunicare nel modo più semplice possibile a una realtà che era lontana dal digitale, cosa significasse farlo diventare parte del proprio modo di lavorare».

Il secondo passo ha riguardato il day by day: «Se nella fase precedente bisognava saper comunicare le cose nel modo giusto, nel day by day bisogna saper ascoltare perché è chi vive nella realtà il negozio e ha il contatto quotidiano con il cliente che sa come vanno esattamente le cose, quello che funziona e quello che richiede delle modifiche», spiega il digital manager che specifica come sia necessario che venga fatto proprio un altro messaggio culturale importante: «Il digitale è qualcosa che non funziona per definizione, che deve essere sempre ottimizzato: il digitale è un qualcosa di vivo che richiede continue verifiche, revisioni, miglioramenti. Anche questo è un cambiamento culturale non di poco conto». Il continuous improvement non può però essere fatto in maniera anarchica: «È necessario pensare a un piano strutturato di rilasci continui e per alimentare questo piano la capacità di ascolto è indispensabile».

Collaborazione e inclusione: due approcci vincenti

L’urgenza era tale e la cultura digitale in azienda così poco presente che Viacava ammette che per partire è stato utilizzato un approccio meno in linea con le metodologie di progettazione condivisa: «Dovevamo partire molto rapidamente ed essere molto impattanti quindi, anche se riconosco che questo non sia l’approccio migliore, il progetto è nato all’interno della mia struttura e poi è stato propagato in azienda». Ma da quel momento “collaborazione” e “inclusione” sono state le parole d’ordine: «Abbiamo fatto subito workshop con le diverse figure aziendali, con tutte le linee di business, poi siamo entrati sempre più nel dettaglio portando a bordo tutto il personale e per l’adozione del CRM abbiamo fatto workshop molto approfonditi con la struttura retail, con i buyer, i business analyst ecc. Per noi era di importanza strategica coinvolgere e includere tutti, avere subito il loro feedback, poter contare sul loro supporto per implementare quella logica di continuous improvement di cui ho parlato prima».

E anche in questa fase la comunicazione è dirimente: «Si, perché insieme alla capacità di ascolto bisogna anche essere in grado di trasmettere correttamente il senso di certe decisioni, della priorità che viene data ad alcune modifiche rispetto ad altre ecc.», già perché se la comunicazione difetta si rischia la delusione e, di conseguenza, lo scarso successo di un progetto: «Dietro a ogni richiesta di modifica, a ogni segnalazione c’è un problema e se non si comunica correttamente l’eventuale decisione di dare priorità secondaria alla sua risoluzione si possono creare dei problemi; se, viceversa, si mettono le persone nelle condizioni di essere informati non si creano equivoci».

I risultati? «Uno, importante, riguarda proprio le persone perché c’è tanto entusiasmo e tanto orgoglio nel vedere che l’azienda ha deciso di fare un investimento così importante e che oggi, anche sul digitale, possiamo competere con gli altri brand. L’altro è un risultato significativo dal punto di vista economico: il fatturato netto che realizziamo dal sito di e-commerce è aumentato del 75%. Risultati che senza la collaborazione di tutti non avremmo ottenuto».

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