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Kumar: dalle quattro “P” alle tre “V”. Come cambia il marketing nell’era digitale

Ripensare la funzione Marketing in un’ottica più strategica è di vitale importanza per le imprese. È il concetto che da anni cerca di diffondere l’indiano Nirmalya Kumar, professore alla London Business School. Il classico approccio del marketing mix di Kotler non è superato, ma è ormai insufficiente a garantire la sopravvivenza nel lungo termine dell’azienda. Ecco perché

Pubblicato il 19 Lug 2016

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Dalla tattica alla strategia. Dallo spot TV alla comunicazione puntuale e personalizzata all’interno del punto vendita o sul web. Il Marketing sta vivendo un periodo di profondi cambiamenti. La comunicazione digitale pervasiva, con la possibilità di raggiungere in pochi secondi una platea sconfinata di persone, ha mostrato già da tempo i suoi limiti, così come il mercato di massa (mass market). In uno scenario globale come quello attuale, la concorrenza internazionale dei paesi in cui il costo della produzione è particolarmente contenuto spinge verso il progressivo assottigliamento dei margini. Occorre ripensare il business, cercando strade alternative per raggiungere il proprio cliente e offrirgli soluzioni, non più solo prodotti, altamente personalizzati e con un corredo di servizi puntuali. Occorre spostare il focus della concorrenza dal prodotto al valore aggiunto, alla differenziazione rispetto alla concorrenza, all’unicità dell’esperienza di acquisto. Occorre trovare nuove strade che siano percorribili, però, in modo economico e sostenibile nel tempo. Il ruolo del Marketing, in un contesto così dinamico, va necessariamente ripensato.

CMO e CEO insieme

Il tradizionale modello delle quattro “P” (o del “Marketing mix” – product, price, placement e promotion, ovvero prodotto, prezzo, distribuzione e promozione), introdotto dal professor Jerome McCarthy nei primi anni Sessanta e poi diffuso a livello planetario da Philip Kotler, è messo in discussione. Anacronistico pensare che la vera differenziazione dell’offerta di un’azienda si basi solo su elementi operativi. Più logico, invece, ricondurre anche il Marketing a una dimensione più strategica, come teorizza nel suo best seller “Marketing as strategy” l’esperto indiano di relazioni d’impresa Nirmalya Kumar. (qui il video pubblicato da WOBI).

Il suo lavoro parte dall’evidente necessità di coinvolgere in modo più diretto il CEO nelle attività di Marketing, con interventi che non devono più essere focalizzati sugli aspetti tattici, ma devono abbracciare un orizzonte temporale di lungo periodo. Solo così, sostiene Kumar, i CMO (Chief Marketing Officer) potranno ottenere l’attenzione dei CEO. Solo dimostrando che il Marketing non è fatto di “fronzoli” ma che il suo ruolo è produrre del concreto valore aggiunto per il cliente. Questo significa ragionare a un livello più alto di quello prettamente operativo, lavorando in sintonia con le altre Line of Business e, soprattutto, offrire una prospettiva bottom line – che si ottiene solo se il responsabile Marketing è in grado di dimostrare, dati alla mano, qual è il ritorno che le attività di comunicazione e promozione sono in grado di garantire rispetto agli investimenti sostenuti.

Ed ecco che, allora, gli aspetti da monitorare e su cui agire diventano tre, idealmente riconducibili a “3 V”. Il perno di questa teoria è, infatti, il VALORE (le V appunto) e il CMO dovrà sempre essere in grado di individuare i clienti “di valore” (valued customer), la value proposition (il valore dell’offerta) e il valued network, ovvero il canale attraverso il quale si assicura la diffusione presso i clienti del valore generato. Se l’obiettivo è riuscire a portare un’offerta di qualità a una pluralità di segmenti di mercato, allora il Marketing non può operare da solo. Deve, invece, necessariamente relazionarsi con altre funzioni come la Supply Chain (per assicurare un time-to-market in linea), il Finance – per costruire un modello economico sostenibile intorno all’offerta – e la Ricerca e Sviluppo (per plasmare l’offerta sulle necessità evidenti o inespresse della clientela).

Il responsabile Marketing, che all’interno del consiglio d’amministrazione non sempre è presente, deve invece finalmente acquisire una dignità pari a quella del direttore operativo o finanziario, sostiene il professore.

Le opportunità legate a mobile e social

I principali fattori di successo, oggi, secondo Kumar sono la velocità e l’ampiezza del mercato.

La prima è esemplificata nell’evoluzione delle comunicazioni in atto nell’ultimo decennio, ma anche nel progressivo accorciamento del ciclo di vita dei prodotti. Se si guarda al secondo aspetto, invece, non si può non comprendere come il mercato di riferimento sia ormai per tutti, anche per le PMI e le aziende più tradizionali, il pianeta, perchè la competizione è globale. Finora, spiega l’esperto, il Marketing ha cercato di individuare il cliente all’interno di ogni persona. Oggi, invece, deve essere in grado di identificare l’individuo che sta dietro ogni cliente, con le sue peculiarità, le sue abitudini, le sue amicizie e i suoi hobby.

L’abilità di comprendere CHI è il cliente, dov’è in questo momento – fondamentale, quindi, il ruolo delle tecnologie mobile e GPS –, chi sono i suoi amici e quali sono i suoi interessi (chiave, quindi, il ruolo dei social media) è destinata a cambiare in modo dirompente il Marketing a partire dalla pubblicità.

Dal modello dello spot televisivo “spray and pray” (inonda e spera), che per decenni si è fondato sulla probabilità che il nostro cliente potenziale fosse davanti alla TV a quell’ora e su quel canale, si passa a un’esperienza decisamente più individuale e unica, dove i messaggi di Marketing possono finalmente, grazie al web e alle tecnologie digitali, essere presentati alla persona giusta al momento giusto e nel posto giusto.

Chi, cosa, come

L’idea di Kumar, in sintesi, è di orchestrare le azioni di Marketing in un unicum strategico, crossfunzionale e bottom line. Strategico, perché deve superare la tradizionale ottica tattica. Interfunzionale perché il Marketing deve relazionarsi con tutte le altre funzioni aziendali e non può operare in autonomia. Bottom line perché il CMO deve essere in grado di produrre report e statistiche precise sul ROI (ritorno sugli investimenti) delle spese di Marketing, al pari di qualsiasi altra uscita finanziaria.

Tre sono gli obiettivi che il professore indica chiaramente come pilastri della sua teoria delle tre “V”:

Value segment (o valued customer)

La prima “V” risponde alla domanda: CHI stiamo cercando di fidelizzare? Oppure: CHI vogliamo riuscire ad acquisire come nostro cliente?

A questo livello viene analizzato tutto quel che sappiamo sul nostro cliente: comportamenti, ricerche di Marketing e qualsiasi altra informazione possa essere d’aiuto per farci conoscere meglio il target, i suoi bisogni e cosa sta cercando.

Value proposition

Questa “V” dovrà rispondere alla domanda: COSA vogliamo offrire ai nostri clienti? A questo livello si entra nel dettaglio del prodotto, con i suoi elementi di differenziazione rispetto alla concorrenza, e il team Marketing è coinvolto nel lavoro degli altri dipartimenti aziendali in attività di ricerca e sviluppo (R&D), progettazione e produzione. In questa fase rientra anche l’ideazione di tutta la componente di servizi accessori rispetto al prodotto o servizio principale (garanzie…).

Value network

L’ultima “V” deve rispondere alla domanda: COME andremo a garantire la value proposition del punto 2 ai nostri clienti? In questa fase, tutta l’azienda è coinvolta nella generazione di elementi di valore aggiunto per il cliente: logistica, vendite, ma anche finanza, risorse umane e acquisti.

Tutti devono lavorare all’obiettivo comune di erogare una customer experience originale.

La sequenza di queste attività, tuttavia, non riuscirebbe a far centrare al Marketing i propri obiettivi se non fosse correttamente concertata.

Kumar parla, a questo proposito, di “orchestrazione cross-funzionale”, a indicare la necessità che tutti i reparti lavorino sempre al meglio e abbiano ben chiaro in ogni momento qual è l’obiettivo comune: riuscire a portare al cliente l’offerta migliore.

Lo studioso arriva a ipotizzare la creazione in azienda di funzioni R&D, Marketing, acquisti, vendite… singolarmente dedicate a ciascun segmento di mercato, pur mantenendo in comune tutte le attività necessarie a garantire la sostenibilità del modello attraverso le economie di scala. Un esempio citato spesso da Kumar è quello di Starbucks, in cui tutto è stato pensato e sviluppato avendo come obiettivo il valore per il cliente finale: dalla fattoria del Centro America che fornisce i chicchi di caffè al layout del punto vendita, per arrivare fino alla cordialità “standardizzata” delle cassiere.

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Chi è Nirmalya Kumar

Classe 1960, Nirmalya Kumar è professore di Marketing alla prestigiosa London Business School e co-direttore dell’Aditya Birla India Centre della stessa università. Grande appassionato di arte indiana, è uno dei maggiori esperti mondiali di strategia aziendale e marketing. Ha insegnato discipline economiche alla Harvard Business School, all’IMD (International Institute for Management Development) di Losanna (Svizzera) e alla Kellogg School of Management della Northwestern University di Evanston(Illinois – USA). In qualità di consulente, coach e relatore, ha lavorato con una cinquantina di aziende delle Fortune 500 in 60diversi paesi. Ha ottenuto un Master in Business Administration(MBA) presso l’Università dell’Illinois di Chicago e un dottorato(PhD) in marketing alla Kellog Graduate School of Management e, dal 2013, siede nel Consiglio di Amministrazione del colosso indiano dell’automotive Tata Sons. Autore di alcuni dei più diffusi testi universitari di strategia al mondo, Kumar nel suo “Marketingas strategy” teorizza che il marketing delle aziende moderne deve essere sempre più strategico e meno tattico-operativo come, invece,sostenuto da Philip Kotler e insegnato per decenni in centinaia di corsi universitari.

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