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Philip Kotler: ecco il futuro del Marketing

Il più importante “guru” di marketing al mondo ripercorre l’evoluzione della funzione Marketing dalle origini ai giorni nostri, evidenziandone il ruolo sempre più rilevante nello spingere un’azienda verso il successo e garantirne la sopravvivenza futura. E mette in evidenza i più comuni errori da evitare

Pubblicato il 18 Ott 2012

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Philip Kotler

La funzione Marketing ha subito una profonda trasformazione all’interno delle aziende moderne, passando da un ruolo del tutto marginale a inizio del secolo scorso ad uno di assoluto protagonismo nel successo di alcune delle più grandi aziende presenti oggi sul mercato.

Seppure il termine e l’idea del concetto di “mercato” siano sempre esistiti e siano insiti nella cultura umana fin dalle epoche più remote, il termine “marketing” (letteralmente “operare sui mercati”) è molto più recente.

Agli inizi del ‘900 la funzione marketing nemmeno esisteva, i suoi precursori erano due o tre venditori – che si potrebbero oggi definire “marketer”, operatori di marketing – che si prendevano incarico di alcuni compiti extra di supporto alla funzione vendite.

La sua nascita si deve al fatto che alcuni economisti universitari a inizio ‘900 si resero conto che l’economia non aveva niente a che fare con il mondo reale, che era per la maggior parte fatta di formule matematiche e concetti astratti. In particolare, nella loro opinione, gli economisti che li avevano preceduti avevano trascurato tre importanti aspetti. In primo luogo, avevano una teoria semplicistica riguardo il comportamento del consumatore.

Sostenevano che il consumatore cerca sempre di massimizzare la sua utilità, qualunque cosa ciò significhi, mentre oggi sappiamo che il comportamento degli acquirenti è molto complesso e stratificato. In secondo luogo non parlavano molto di distribuzione e di canali di distribuzione.

I loro manuali recitavano: “il prezzo è stabilito dalla domanda e dall’offerta”, ma trascuravano totalmente di fornire indicazioni su come un produttore, un grossista o un distributore dovessero agire per fissare dei prezzi. In terzo luogo, le prime teorie economiche non prendevano assolutamente in considerazione la forza della pubblicità: davano per scontato che essa funzionasse, generasse più vendite, ma non scendevano più nel dettaglio.

Decisi così nel 1967 di cercare di riorganizzare la disciplina ponendomi come obiettivo di ribaltare con i miei studi il Marketing da una descrizione di forze di mercato ad un sistema analitico, per cercare di aiutare le imprese ad ottimizzare i propri sforzi con il supporto di evidenze empiriche, creando un manuale che fosse più orientato ad aiutarle a prendere delle decisioni sensate che alla mera descrizione di un sistema.

La prima questione fu quella di identificare cosa si intendesse esattamente con “Marketing”, in che cosa questa funzione differisce dalle vendite con cui è tuttora spesso confusa? Ad un certo punto si scoprì che il Marketing aiutava le vendite a fare meglio il loro lavoro, a vendere meglio e di più.

Questo perché un venditore, dovendosi occupare del suo, non poteva occuparsi di altre attività e probabilmente non ci era nemmeno portato. Attività come fare ricerche di mercato, sondare le prospettive e arrivare a scoprire dove cercare per trovare nuovi potenziali clienti, più altre come la realizzazione del materiale di comunicazione, che si trattasse di spot televisivi, brochure o altro.

Accadde quindi che gradualmente le attività di marketing si intensificarono fino ad assumere una complessità rilevante. Aziende come Procter&Gamble iniziarono a sviluppare molti brand diversi e ad associare a ciascuno di essi un Brand Manager, incaricato di sviluppare un piano per quel particolare marchio. L’ufficio marketing si distinse quindi chiaramente da quello delle vendite.


Due tipi di Marketing
Al giorno d’oggi le cose si sono complicate ulteriormente e credo esistano nelle aziende due tipi di Marketing.

  • Il primo si occupa di vendere ciò che l’azienda ha in produzione al momento, la merce che viene prodotta e messa nei magazzini. Il suo compito è aiutare la forza vendita a smerciare la produzione attuale, dato che non si può fermare una fabbrica, e adotta un approccio chiaramente orientato al prodotto.
  • Un secondo tipo di Marketing, che si potrebbe definire avanzato, deve invece occuparsi di studiare che tipo di prodotti e con quali caratteristiche l’azienda dovrebbe mettere in produzione in futuro. Deve insomma occuparsi di elaborare la strategia aziendale da seguire affinchè l’azienda possa, tra 3 o 5 anni, avere un’offerta che permetta di ottenere risultati di mercato positivi.

Ho maturato questa idea dopo essere venuto a conoscenza del fatto che la General Electrics aveva assunto una persona per aiutarli a capire quello che sarebbe accaduto alle cucine nei seguenti 3 o 5 anni. Si erano posti domande del tipo: le cucine saranno più grandi? La gente vorrà frigoriferi e fornelli diversi? Quali caratteristiche dovrebbero avere? Lo sviluppo successivo è stato invece quello della posizione del CMO, il Chief Marketing Officer, o Direttore Marketing, che al pari del Direttore Finanziario, Tecnico, della Comunicazione, Operativo ecc. concorre alla definizione di una strategia aziendale.

Ai nostri giorni negli Stati Uniti si contano circa 2.200 Direttori Marketing. Aziende come General Electrics ne hanno circa una decina, uno per ogni divisione. Il loro compito è quello di aiutare l’intera azienda a volgere verso un approccio orientato al cliente, piuttosto che al prodotto.

Devono aiutare il resto dell’azienda a guardare al business secondo una nuova prospettiva che passa per la comprensione dei desideri e delle aspettative dei clienti. Il loro ruolo è anche quello di trovare un nuovo modo per valutare i prodotti che compongono il portafoglio aziendale, individuare quelli a “luce verde”, che vanno bene e così continueranno in futuro perché sono graditi ai clienti, quelli a “luce gialla”, che sono una sorta di via di mezzo, e quelli a “luce rossa”, che dovrebbero essere eliminati perché non hanno futuro, anzi sprecano le risorse dell’azienda.

È necessario fare un salto culturale e superare la concezione dell’ufficio marketing visto come un centro di costo, o un centro di assistenza, iniziando a capire che è in realtà la forza motrice che rende un’azienda di successo e costruisce il futuro della stessa, è in questo il ruolo del Direttore Marketing è fondamentale.

Tempo fa ho collaborato con una nota azienda farmaceutica e, una volta chiesto in che modo utilizzassero il Marketing, mi sono reso conto che questo interveniva solo al termine del processo, quando un nuovo farmaco era già stato ideato e prodotto, per questioni come decidere di che colore fare la pillola. Come se facesse una grande differenza se la pillola fosse blu o verde.

È un esempio di uso banale del Marketing, che deve invece intervenire fin dall’inizio con il ruolo di individuare opportunità di mercato, misurarle e testarle. Perché non era stato interpellato prima? Prima di tutto si sarebbe dovuta misurare la dimensione e diffusione della malattia, il potenziale ritorno finanziario, il formato del prodotto (pillola, liquido o forse cerotto?), e solo dopo l’azienda avrebbe potuto prendere una decisione pienamente consapevole.


Gli errori più comuni
Tendenzialmente le aziende non compiono grandi errori nella progettazione di una strategia di Marketing, quanto in fase di attuazione, quando questa viene messa alla prova sul mercato.

A tal proposito è stato fondamentale il contributo di Thomas Bonoma, un professore di Harvard che compiendo degli studi sull’attuazione delle strategie di Marketing individuò molti casi in cui il problema era l’accettazione della stessa da parte della forza vendita. Esistevano bellissimi piani di marketing ma i venditori non ci credevano, inseguivano più le loro provvigioni e decidevano quindi di conseguenza di spingere questo o quel prodotto a proprio vantaggio.

Altro errore tipico è una non corretta considerazione dei tempi. È necessario pianificare con attenzione i tempi di una campagna pubblicitaria, calcolando eventuali imprevisti che potrebbero farla slittare e vanificarne l’effetto. Ma ancora più importante è l’organizzazione interna: non è possibile iniziare a pubblicizzare un prodotto che non è ancora disponibile per i clienti nei negozi.

Si devono poi considerare anche altri fattori esterni che potrebbero vanificare il lavoro fatto da una campagna ben strutturata. Di recente, per esempio, mi sono recato in un negozio per acquistare una macchina fotografica. Desideravo una Sony, probabilmente perché la pubblicità che avevo visto mi aveva convinto che fosse la migliore.

Sono però uscito dal negozio con una Sharp, perché? Altri fattori influenzano la scelta del consumatore all’interno del punto vendita: totem informativi, formazione specifica fatta ai commessi del negozio, esposizione dei prodotti studiata per invogliare e preferirli o mettere in evidenza le caratteristiche positive di un modello evidenziando le mancanze di un altro. Ci troviamo nel campo dello Shopper Marketing, che racchiude tutto quello che riguarda l’esperienza d’acquisto all’interno del punto vendita. Spesso i brand manager elaborano una strategia perfetta per invogliarci a preferire il loro prodotto, ma poi si dimenticano di uscire dai loro uffici per andare a vedere cosa accade nei punti vendita.


Investire nei Social
I Social Media rivestiranno un ruolo sempre più importante all’interno del Media Mix che le aziende utilizzano per comunicare coi propri clienti. Ma questo non significa che i mezzi su cui si è investito fino ad oggi – Tv in primis – siano da abbandonare: è necessario un approccio cauto e ragionato.

La pubblicità sui mezzi tradizionali funziona ancora, ma è necessario iniziare a considerare nuove prospettive se non si vuole essere lasciati indietro da aziende più all’avanguardia. Assolutamente da evitare è di imitare il caso di una famosa azienda che non citerò, che presa dall’entusiasmo ha deciso di spendere la metà del budget pubblicitario sui Social, su Facebook, Twitter, LinkedIn e tutte le altre piattaforme esistenti. Hanno buttato troppa carne al fuoco senza saperlo gestire, e niente ha funzionato come speravano, non sapevano come interagire con questi canali, come popolarli.

Un’altra società di mia conoscenza ha invece iniziato investendo il 10% del budget e ha assunto un giovane esperto di Internet, un cosiddetto “netizen” (citizen of the net), provando a fargli costruire una community su diversi Social Media. In un secondo momento, quando le cose hanno dimostrato di funzionare bene, il budget è stato portato al 15% sui media più performanti. Questo è sicuramente il modo più sensato di agire e non può che portare i risultati migliori.

Negli ultimi anni gli studiosi hanno poi teorizzato la disciplina della “comunicazione integrata”, che consiste nel fare in modo che gli sforzi comunicativi intrapresi dall’azienda su canali diversi creino delle sinergie con l’obiettivo massimizzare i risultati. I media tradizionali possono quindi essere usati per influenzare i Social Media, e viceversa.

Per esempio, uno spot in Tv può, date le caratteristiche intrinseche del mezzo, essere utilizzato per creare un’emozione, un sentimento, impressionare, e poi rimandare sui Social per una funzione più di stampo informativo, un mezzo più “ricco” perché è in grado di comunicare molte più informazioni.


Estratto dall’intervento di Philip Kotler in occasione del World Business Forum 2012. Il World Business Forum riunisce annualmente i maggiori esperti mondiali di management e i leader del nostro tempo per riflettere sui temi strategici per il futuro del business. La nona edizione italiana si terrà il 6 e 7 novembre 2012 a Milano: Philip Kotler, Nouriel Roubini e Parag Khanna tra gli speaker più attesi. Tutti i dettagli su www.wbfmilano.com


*Chi è Philip Kotler
Il più importante esperto di marketing al mondo, Kotler è autore di oltre 50 libri, incluso il bestseller Marketing Management, considerato da tutte le business school del pianeta la bibbia del marketing. Kotler è stato insignito di numerosi riconoscimenti per il suo contributo al marketing e al management. Nel 2005 è stato nominato dal Financial Times il quarto guru più influente al mondo in fatto di marketing, mentre nel 2008 il Wall Street Journal l’ha messo al sesto posto della classifica delle personalità più influenti nel mondo del business. È professore alla Kellogg School of Management e lavora come consulente per aziende come General Electric, IBM, AT&T e Merck.

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