L’emergenza sanitaria, tra lockdown e restrizioni agli spostamenti, ha sicuramente favorito il maggior ricorso dei consumatori agli acquisti online. I dati dell’Osservatorio eCommerce B2C della School of Management del Politecnico di Milano dello scorso anno hanno evidenziato come il numero degli eShopper fosse cresciuto di oltre 2 milioni di unità nel corso del 2020, con un picco di +1,3 milioni durante i due mesi del primo lockdown. Ed oggi, sebbene ad un ritmo più rallentato quasi alla ricerca di un proprio equilibrio nel new normal che ci avviamo a conquistare, i numeri dell’ecommerce in Italia continuano a crescere. A confermarlo è l’Osservatorio eCommerce B2C 2021 secondo il quale nel 2021 gli acquisti online hanno raggiunto il valore di 39,4 miliardi di euro (+21% rispetto al 2020)”, e senza il drastico calo del settore Turismo e Trasporti indotto dall’emergenza sanitaria, ritengono i ricercatori, probabilmente il mercato online avrebbe chiuso il 2021 con 3,5 miliardi di euro in più. Nuovamente positivo il segno sugli acquisti di prodotto che registrano un +18% (sebbene inferiore allo scorso anno quando in questo periodo la crescita registrata un bel +45%), ma segno positivo ora anche per gli acquisti online di servizi che, dopo un -52% dello scorso anno, sono nuovamente in crescita con un +36%, che tuttavia non è ancora sufficiente a compensare le perdite generate dall’emergenza sanitaria.
Nuove abitudini, nuovi comportamenti d’acquisto
Le nuove abitudini quotidiane si riflettono in percorsi d’acquisto sempre più complessi e variegati: l’omnicanalità è diventata la normalità del customer journey e il consumatore utilizza in media, secondo diverse ricerche, 6 touchpoint prima di perfezionare l’acquisto. La tendenza degli anni passati a cercare sul web le informazioni sui prodotti prima di recarsi in negozio ad acquistarli (il cosiddetto webrooming) si sposa sempre più spesso, in quest’epoca di restrizioni, con l’abitudine di finalizzare anche l’acquisto online. Poco importa che l’ultimo miglio del customer journey sia un account PayPal attivato su un marketplace oppure una carta di credito strisciata sul POS del punto vendita. L’obiettivo dei brand, quindi, è riuscire a intercettare il cliente ovunque si trovi, nel momento esatto in cui è più propenso ad acquistare, accompagnandolo e sostenendolo in tutto il percorso di maturazione della decisione d’acquisto.
Dall’eCommerce all’mCommerce
Per chi vuole vendere online, quindi, è sempre più cruciale riuscire a intercettare le nuove abitudini del consumatore e le sue aspettative nei confronti del brand. Se si guarda ai mesi a venire, un’analisi condotta da The European House Ambrosetti per conto del consorzio Netcomm mette in luce come le aziende che vendono online mettono in cima alle priorità d’investimento il miglioramento della User eXperience (22% delle risposte), seguito dalla creazione di maggior valore dai dati di vendita (19%) e dallo sviluppo dell’omnicanalità (16%). Per il primo aspetto, quello della UX, un grosso lavoro deve essere ancora fatto sulle piattaforme mobile, per far evolvere quelli che spesso sono siti consultabili da smartphone e tablet in veri e propri siti mobile friendly e, soprattutto, responsive. Il mobile, infatti, è al centro dei nuovi percorsi d’acquisto. Basta pensare che, secondo l’Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano, nel 2020 nel nostro Paese ben il 51% degli acquisti online è stato perfezionato attraverso lo smartphone.
eCommerce trend: il ruolo (traversale) dei marketplace
«L’evoluzione dell’eCommerce vede un ruolo sempre più rilevante dei marketplace, luoghi di acquisto che di fatto sono l’equivalente digitale dei department store – premette Federico Vittadello, Business Development Director di Kipcast, che ha sviluppato una piattaforma utilizzata da più di 200 brand per integrare le diverse fonti di dati al fine di incrementare le vendite dei siti di commercio elettronico. – I marketplace si stanno distinguendo per la capacità di attrarre gli utenti e offrire servizi che molti brand da soli non sarebbero in grado di sostenere. Oggi il 50% delle revenue eCommerce sulla vendita di prodotti viene realizzato attraverso i marketplace. Food, design, arredamento casa, fashion sono i settori più attivi su queste piattaforme, con il ricorso non solo agli store online generalisti ma anche a marketplace di nicchia che, specie nel mondo del luxury e della moda, stanno avendo molto successo».
Who's Who
Federico Vittadello
eCommerce marketing: le 5 tendenze da monitorare
Ma quali sono i principali trend eCommerce che cambieranno lo scenario del mercato quest’anno? Vittadello, da profondo conoscitore della materia, ne ha individuati in particolare 5:
- Contenuto: «C’è la necessità di accompagnare la proposizione di prodotto non solo con dati freddi ma anche costruendo uno storytelling. Questo significa integrare nell’offerta del prodotto una componente descrittiva fatta di testo, video interattivi e, sempre più spesso, anche di contenuti vocali, che aiuti a dare una miglior percezione del prodotto, facendolo conoscere in modo più approfondito al cliente e contestualizzandolo all’interno di un’esperienza d’acquisto certa. La certezza dell’acquisto è legata al fatto che le condizioni del reso negli acquisti online non sono sempre ottimali, quindi il consumatore vuole essere sicuro che il prodotto acquistato sia quello che vuole, per non doverlo restituire magari pagando un extra. L’ultima “Brand content survey” di Adobe evidenzia il fatto che i consumatori che cercano informazioni su un marchio lo fanno attraverso fonti diverse contemporaneamente. Il 48% sul sito web dell’azienda, il 40% nel punto vendita fisico, il 38% sui comparatori online e i siti di recensioni, il 22% sui social media e il 19% sulle piattaforme video. Il panorama è piuttosto variegato, quindi, e la capacità di presidiare i canali in una logica non solo di completezza di informazioni ma anche di completezza di contenuti è un elemento su cui i brand dovranno lavorare in futuro».
- Social commerce: I social media sono un potentissimo strumento di marketing, ma i brand da qualche tempo hanno compreso le potenzialità di questi touchpoint come canale di vendita aggiuntivo. Anche se Facebook e Instagram non hanno ancora integrato nelle proprie piattaforme la possibilità di finalizzare direttamente sul canale social l’acquisto, il sentiero è tracciato. Instagram, per esempio, ha recentemente esteso le funzionalità one click allo shopping in reels, i video brevi della durata massima di una quindicina di secondi che spopolano tra gli utenti della Generazione Z. TikTok, invece, ha affilato le armi in questo comparto grazie alla partnership siglata con Shopify, integrando al meglio gli elementi tecnologici che di fatto favoriscono gli acquisti d’impulso: link in bio, fast checkout e integrazione con gli strumenti di social payment. «I social sono utilizzati in modo sempre più rilevante non solo come piattaforma di ricerca delle informazioni, ma nell’ambito di un processo di acquisto integrato. Negli USA, il 35% degli utenti tra i 25 e i 34 anni compra già attraverso i social e il 25% ha già utilizzato le funzionalità shop now», precisa il manager.
- AI e analytics: «La possibilità di elaborare in tempo reale le tracce digitali lasciate dal cliente nel suo percorso d’acquisto, attraverso tecnologie di Machine Learning e intelligenza artificiale, assicura una personalizzazione dell’offerta sempre più efficace. Accanto a questo, l’analisi a posteriori della moltitudine di informazioni che i touchpoint producono, attuata attraverso gli algoritmi matematici, permette ai marketer di operare nella direzione della miglior efficienza, individuando e anticipando i trend di vendita nelle diverse geografie e indirizzando in modo mirato la proposizione marketing del brand».
- Retargeting: Il percorso di conversione non è quasi mai lineare. Più spesso, invece, è un percorso molto variegato ed eterogeneo, influenzato sia dal momento del funnel in cui il brand riesce a intercettare l’utente, sia dalle diverse modalità di fruizione del messaggio pubblicitario. L’efficacia del retargeting risiede proprio nella capacità del brand di riuscire a intercettare le esigenze di un utente che ha già interagito con l’azienda, attraverso uno o più punti di contatto, in momenti propedeutici all’acquisto vero e proprio. «La capacità di organizzare i canali in modo sinergico assicura la miglior efficacia delle azioni di marketing, con una conversione che arriva ad essere superiore del 70% per gli utenti ritargettati rispetto a quelli che non lo sono», sottolinea Vittadello.
- Local Inventory Ads: «Gli annunci dei prodotti disponibili localmente sono l’espressione dell’uso del digitale a servizio del mondo fisico. Le campagne LIA si traducono nella capacità di mettere insieme le informazioni di disponibilità di un prodotto in un determinato punto vendita con la propensione di un utente a recarsi in quel negozio. La gestione ottimizzata degli stock locali si realizza attraverso un drive to store fatto di messaggi personalizzati. Messaggi che offrono un’ottima possibilità di convertire, in virtù del fatto che sono realizzati sulla base di comportamenti espliciti dell’utente, che magari in passato ha cercato online quello specifico prodotto, oppure sui comportamenti impliciti, perché magari l’utente si trova in quel momento nella catchment area del punto vendita e quel prodotto potrebbe effettivamente essere di suo interesse».
eCommerce trend, perché servono dati di qualità
Ma a che punto sono oggi le aziende? «Oggi le organizzazioni sono divise in due – ci spiega il manager –. C’è chi considera l’omnicanalità come un’opportunità e chi invece è indietro di anni luce e questa polarizzazione è legata più che altro alle dimensioni dell’azienda. L’omnicanalità richiede un’architettura tecnologica piuttosto complessa alla base. C’è bisogno di far parlare tra loro canali che sono nati e si sono sviluppati in epoche e con approcci strategici diversi, quindi spesso prevale ancora la logica dei silos. Un altro tema importante è la cultura aziendale. L’omnicanalità richiede che i responsabili degli store fisici siano in grado di parlare con i referenti del business online, ma la verità è che oggi queste due aree sono in competizione tra loro per il fatto che l’azienda fissa internamente degli obiettivi di vertical revenue. Per garantire un’omnicanalità vera ci vuole un management illuminato e non è sempre facile trovarlo in azienda. Tutto questo, poi, si scontra con le aspettative di un consumatore sempre più evoluto, che pretende di relazionarsi con il brand in modo fluido attraverso touchpoint sempre più sofisticati».
Ed è proprio qui che entra in gioco Kipcast. «Il nostro è un ruolo di abilitatore tecnologico, perché grazie a noi il cliente riesce a distribuire tutte le informazioni di prodotto ai soggetti esterni all’azienda e ai canali marketing di terze parti. La nostra peculiarità è risolvere le problematiche tecnologiche legate alla qualità del dato: deduplicare e uniformare i dati presenti nelle diverse applicazioni e backend, integrarli ed eventualmente arricchirli con funzionalità video e vocali, rendendoli più accurati e affidabili. Questo significa creare un ponte tra i diversi elementi dell’architettura risolvendo i problemi dall’esterno, quindi senza contraccolpi sull’operatività quotidiana dei marketer». Ci sono vantaggi evidenti soprattutto sul time-to-market «con la possibilità di accelerare i percorsi omnichannel senza dover aspettare i tempi lunghi dell’IT. Ma anche sui costi, perché la nostra esperienza ci ha permesso di industrializzare e standardizzare molti processi complicati». Un’offerta, quella di Kipcast, alla portata dei grandi brand come delle piccole insegne, che vendono online non solo attraverso i canali eCommerce ma anche sui marketplace che, oggi, rappresentano un potente amplificatore dei business di nicchia e di prossimità.