C’è una consapevolezza sempre più diffusa, all’interno di organizzazioni pubbliche e private, dei riflessi legati ai danni reputazionali in termini di rischi che hanno un impatto diretto sul business e sull’assetto finanziario, passando per gli aspetti anche strettamente assicurativi. Sono numerosi i casi di cronaca di questi giorni che portano a considerare l’importanza della reputazione in tutti gli aspetti connessi.
Il rischio reputazionale nell’ERM
Nell’ambito di qualunque strategia ERM (Enterprise Risk Management, ovvero quel modello di mappatura e analisi dei rischi dell’azienda) viene censito il rischio reputazionale con più o meno dettaglio, considerandolo ormai un “inquilino” standard nel condominio dei rischi aziendali.
La complessità che si nasconde, però, all’interno di questa valutazione è esponenziale, perché pervade molti processi/attività, alcuni dei quali non percepiti ex ante come potenziali aree di rischio.
Inoltre, mentre la consapevolezza aumenta, negli ultimi anni sta diminuendo la fiducia nei sistemi di gestione del rischio e nella capacità di risposta alle crisi. Questo è quanto rivela il Reputational Risk Readiness Report 2023 di WTW, che ha intervistato 375 Risk Manager di multinazionali di 20 Paesi, appartenenti a diversi settori, incluso il non profit.
La resilienza è messa a dura prova
Lo studio ha rilevato che i rischi ESG rientrano tra le cinque maggiori preoccupazioni in materia di reputazione: nel 2023 la reputazione ha rappresentato il terzo rischio più importante per il 26% del campione analizzato (rispetto al 18% nel 2021%).
Solamente il 10% delle aziende si confronta mensilmente con gli stakeholder su questioni di reputazione – un dato in calo rispetto al 37% di tre anni fa – mentre il 14% del campione associa a KPI a livello di consiglio di amministrazione un processo di governance per i rischi reputazionali (contro il 23% del 2021).
Si riduce anche la resilienza, ovvero la capacità di resistere alle crisi reputazionali, considerata molto buona dal 13% degli interpellati – era il 23% tre anni fa. Il dato confortante è che ben il 95% del campione ha un budget specifico per gestire le crisi reputazionali.
Peggiora la capacità di gestire le crisi reputazionali
I risultati riportati evidenziano un declassamento delle capacità di gestione del rischio reputazionale da parte delle aziende. Tuttavia, questo fattore viene considerato sempre più spesso attraverso una lente finanziaria ed ESG (anche per via della recente direttiva UE sulla CSR, che obbliga ad una rendicontazione su questi aspetti anche le imprese non quotate), ed è quindi probabile che le valutazioni di preparazione al rischio siano più rigorose in futuro.
Tutto ciò ha generato un cambiamento nella gestione della reputazione, che richiede sempre più di frequente il coinvolgimento della direzione Finance delle aziende. Oggi, tre aziende su cinque hanno a disposizione una squadra dedicata alla gestione delle crisi reputazionali. Si tratta di un aumento di quasi il 50% rispetto al 2021.
Gli impatti strategici e finanziari
La gestione della reputazione sta cambiando. Le aziende più mature e meglio preparate a gestire eventuali situazioni di crisi sono quelle in grado di comprendere e prevedere quando una criticità rischia di evolvere in un danno reputazionale. Sono, inoltre, quelle che comprendono a fondo i potenziali impatti strategici e finanziari di questi incidenti, considerando anche il contesto dei parametri ESG e dei Social Media in continua evoluzione.
I consigli di amministrazione dovrebbero confrontarsi regolarmente sul rischio reputazionale, valutando in modo proattivo non solo le minacce, ma anche le opportunità che possono derivare da una crisi. È infatti possibile subire una crisi e uscirne in modo ancora più positivo.
A prima vista, i risultati dello studio sembrano affermare che le aziende stanno facendo dei passi indietro, ma la realtà è molto più sfumata. Col crescere della rilevanza dei parametri ESG, soprattutto sui Social Media, le aziende hanno iniziato a valutare il rischio reputazionale in modo più attento. Questo le ha spinte a considerare la reputazione come un rischio finanziario e non solo come un problema di immagine, e le ha portate ad aumentare i budget per affrontare questo tipo di crisi. Allo stesso tempo, però, cresce la preoccupazione per i potenziali contraccolpi sui social, che potrebbero far perdere numerose opportunità di business. È, dunque, necessario un nuovo approccio a questo tema e le aziende se ne stanno rendendo conto.
Individuare, quantificare e trasferire il rischio reputazionale
Quindi, come potremmo definire il danno reputazionale? La risposta non è scontata, perché la perdita di fatturato è solo uno degli elementi, non sempre presente. Per quanto paradossale possa apparirci ci sono casi in cui ad un’onda di biasimo collettivo per un comportamento è corrisposto un aumento del fatturato. Quale sia la dinamica sottostante è argomento degli specialisti delle scienze umane. Resta però il fatto che il danno potrebbe non essere sul fatturato. Molti anni fa si diceva “purché se ne parli”, oggi, probabilmente, il messaggio è “purché se ne clicchi”.
L’individuazione e la quantificazione del danno sono due passaggi necessari per trasferire il rischio (ad esempio mediante una polizza assicurativa) e, come abbiamo visto, di difficile approccio. I temi da affrontare sono quindi vari e su piani diversi: il danno da reputazione che ingenera l’interruzione del business proprio o di terzi; la responsabilità degli amministratori; l’operatività della polizza D&O (quella concepita specificamente per i quadri dirigenziali); gli extra costi legali e di campagne pubblicitarie per rispondere alla “crisi”.
Infine, è importante rispondere a queste domande: il risk appetite è stato formalizzato e monitorato così da rendere la volatilità da rischio reputazionale confinata in limiti ritenuti accettabili sulle varie linee di business? Come viene svolto il de-risking contrattuale lungo la catena del valore? Per questo, è importante individuare soluzioni dedicate alla gestione di questo particolare rischio, sia per la parte di rischio trasferito alle compagnie assicuratrici sia per la parte di rischio ritenuto, in un’epoca in cui le dinamiche della comunicazione impattano sempre di più sulla costruzione di valore.