Fino ad alcuni anni fa, nei meeting strategici si parlava di mission. Oggi questo concetto è stato sostituito da quello di purpose. La differenza tra i due termini è sostanziale. La mission, infatti, rimanda all’obiettivo principale dell’azienda, è una tag cloud, un concetto che si espande man mano che l’organizzazione è chiamata a rifocalizzarsi e intervenire sulla sua strategia. Il purpose, invece, rappresenta l’essenza stessa del business, la ragione per cui l’azienda esiste, un assunto che travalica l’aspetto puramente economico e la capacità di generare profitto e si estende all’impatto che l’azienda ha sulla società e l’ambiente in cui è inserita. Lo scopo rappresenta infatti l’insieme dei valori più alti che ispirano l’organizzazione, come sostenibilità, equità sociale, parità di genere, diversità, inclusione, etica… Volendo darne una definizione compiuta, il purpose è la capacità dell’azienda di distinguersi sul mercato generando valore di lungo termine per tutti i portatori di interesse (stakeholder). Non solo i clienti e gli azionisti, quindi, ma anche i business partner, i dipendenti e la collettività.
Profit with purpose
I clienti chiedono in modo sempre più insistente che le aziende prendano posizioni chiare su temi etici di rilevanza ambientale e sociale, che siano dunque più vicine alle questioni che toccano gli individui nel profondo. Per i brand non si tratta semplicemente di scegliere una causa da sposare (anche se spesso è necessario scegliere su cosa focalizzarsi) ma piuttosto di aderire a principi etici superiori che siano, però, ed è qui il punto più critico, legati al business. Per farlo è importante lavorare su tutti e tre i livelli del purpose, integrando i principi che guidano l’esistenza stessa dell’azienda nei valori distintivi del brand, plasmandoli in experience per il consumatore.
I tre livelli del purpose
Il concetto di purpose può essere definito rispetto a tre dimensioni:
- Big Purpose (purpose aziendale): identifica il ruolo dell’azienda nel mondo, i valori fondamentali su cui si fonda il business e che condivide con i suoi clienti.
- Medium Purpose (brand purpose): identifica la promessa fatta dall’azienda ai suoi clienti e il ruolo che l’azienda ha nelle loro vite. Allineare questa dimensione alla precedente è fondamentale per evitare di cadere nella trappola dell’etica di facciata e del Greenwashing (ma anche del Pinkwashing o del Blackwashing), garantendo quell’autenticità che permette al cliente di identificarsi nei valori che l’azienda promuove, realizzando con i suoi brand una connessione più profonda e duratura.
- Small Purpose (customer purpose): identifica l’insieme dei bisogni e dei valori che spingono un cliente a entrare in contatto con l’azienda. È la dimensione che influisce di più sulle performance aziendali, perché ogni volta che il cliente realizza il suo scopo grazie a un’azienda, per quest’ultima si genera dell’extra valore in termini di fatturato, Customer Lifetime Value, passaparola positivo…
Gli errori più comuni che commettono le aziende che non riescono a gestire in modo efficace la comunicazione e la condivisione del loro scopo sono sostanzialmente due: identificare un Big Purpose troppo distante dai valori condivisi dai consumatori oppure non riuscire a trasferire lo scopo aziendale nelle promesse di brand.
La sostenibilità che guida le scelte d’acquisto
La pandemia ha cambiato le priorità degli investitori che oggi, secondo una recente indagine di UBS Investor Watch, nel 68% dei casi sono guidate dal purpose personale, con un occhio di riguardo particolare per i temi della sostenibilità. Molti big internazionali del risparmio gestito da qualche anno hanno cambiato la prospettiva con cui valutano le potenzialità di un investimento, passando da logiche “profit first” a logiche “profit with purpose”.
Uno studio recente dell’Osservatorio Internazionale per la Coesione e l’Inclusione Sociale ha evidenziato che ormai da diversi anni ben 6 consumatori su 10, in media, praticano nel loro quotidiano scelte di consumo responsabile. Un report Accenture conferma la crescente attenzione dei big spender del futuro, ovvero Millennials ed esponenti della Generazione X (età compresa tra i 18 e i 40 anni, circa 5 milioni di persone), per l’impatto ambientale e sociale delle proprie scelte di consumo. L’indagine evidenzia che la metà degli esponenti di questi cluster ha smesso di acquistare i prodotti di un brand perché delusa dalla posizione dell’azienda rispetto a temi sociali per loro rilevanti. Un terzo, invece, sarebbe disponibile a pagare un premium price per acquistare un prodotto o un servizio da aziende che si dimostrano più in linea con i suoi valori. Anche sui tavoli della finanza il tema purpose inizia a essere molto dibattuto.
Purpose e performance di business
Le aziende che collegano le strategie di crescita all’innovazione sociale, etica e ambientale realizzano performance di business migliori nel medio-lungo periodo. Hanno clienti più fedeli, e come anticipato spesso disposti a pagare un premium price per acquistare prodotti e servizi realizzati in modo più etico e circolare e plasmati su modelli esperienziali. Non solo. Hanno anche accesso a una platea più ampia di investitori e attraggono i migliori talenti. Per ottenere benefici tangibili, però, è fondamentale riuscire a integrare i valori più alti dell’azienda nel core business e andare oltre, promuovendo una vera e propria cultura del purpose. Una strategia che richiede che le persone si riconoscano e si sentano parte attiva di un progetto che ha finalità più alte e siano in grado di trasferire anche all’esterno dell’azienda questo sistema di valori. Il purpose è, dunque, un credo che va costruito attraverso una connessione profonda con il dipendente prima ancora che con il consumatore.
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