Innovation management

IoT, 10 trend 2020 da conoscere per portare l’Internet of Things in azienda

Cresce l’adozione, ma anche la pletora di opzioni disponibili. Ecco una check list degli aspetti da tenere in considerazione prima di avviare un progetto IoT, dalla scelta del partner fino all’applicazione di sensori, all’analisi dei dati con l’intelligenza artificiale, alle tecnologie di rete e ai device

Pubblicato il 05 Dic 2019

Giovanni Viani*

Partner, YourGroup

Trend iot 2020

Quali saranno i trend IoT per il 2020? L’Internet of Things è uno dei comparti in crescita più accelerata (+35% in Italia l’anno scorso), che si prevede continuerà ad essere sostenuta nei prossimi anni. Questo sviluppo è alimentato da tre fattori.

  • Crescente domanda di dati: il nuovo petrolio fa parte da tempo dei KPI di due diligence, è quindi un asset primario non più solo operativo ma finanziario.
  • Avvicendarsi delle tecnologie: i budget a disposizione crescono – “anche x5 in un anno” ha dichiarato l’Innovation Manager di una grande azienda al recente incontro presso gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano – con la consapevolezza che il grado di aggiornamento tecnologico è la metrica della sostenibilità del business di un’azienda. La vita punisce chi arriva tardi. E così non possiamo rimanere esclusi dai dibattiti sulle reti LoRaWAN, 5G, NB, BLE e molte altre, messe a terra in soluzioni a volte ibridate, per applicazioni sui più svariati device e ecosistemi dedicati alla persona, alle città, alle filiere industriali.
  • Incessante servitizzazione: i nuovi business sono abilitati dal passaggio da prodotto a servizio, in modalità sempre più creative.

I trend IoT 2020

IoT vuol dire molte cose oggi. In modo estremamente pragmatico è l’applicazione di sensori, il rilevamento dei dati da essi individuati, l’abbinamento con tecnologie di rete per la loro diffusione e, infine, l’output attraverso una piattaforma di raccolta, presentazione, e magari comunicazione e attuazione, che può essere connessa a modelli di intelligenza artificiale o analytics.

Gli ambiti di applicazione vanno dai piccoli o grandi prodotti consumer, ai servizi, alle fabbriche e ai sistemi di logistica che in questo modo diventano smart, per non parlare delle intere città. Tutto ciò che cresce cambia, e allora ecco i trend IoT 2020 che non puoi perderti.

1 La filiera continua ad articolarsi

Al contrario di quanto succede in altri ambiti, dove lo sviluppo porta a una semplificazione del numero di interlocutori, nell’IoT sembra accadere il contrario: si moltiplicano categorie di fornitori di sensoristica, device di rete, produttori di software a diversi livelli, integratori, nonché società di consulenza, telco e produttori di elettronica industriale e consumer. In molti casi queste società sono impegnate nella creazione e promozione dei loro ecosistemi, a volte rafforzati mediante marketplace. Questo avviene sia nell’IoT sia negli ambiti correlati: è il caso ad esempio di PTC nel mondo del software industriale, di Milestone nei network video recorder (NVR) per sorveglianza, di Retelit nel cloud, per non parlare dei big del software. Quindi, l’IoT è davvero esteso e in espansione anche dal un punto di vista della struttura industriale.

Proviamo a tracciare la filiera a ritroso, partendo dal cliente finale, che può essere, ad esempio, un’azienda che produce un bene strumentale, di cui desidera monitorare l’impiego. Ciò può essere finalizzato in una prima fase a sapere quando effettuare interventi di manutenzione sul parco installato; in una seconda fase a servitizzare il modello di business. È il caso di Compressori Veneta, che sta passando dalla vendita/affitto del compressore al più moderno business model di vendita dell’aria compressa erogata, quindi offrendo i propri macchinari in pay per use.

Come nasce allora un progetto IoT? I progetti possono essere originati da diversi interlocutori primari. Partiamo dalla classe più visibile, le grandi società di telecomunicazioni come Vodafone. “Vodafone ha completato la copertura NB-IoT sull’intero territorio nazionale a settembre 2018 – spiega Stefania Gilli, Country Manager IoT di Vodafone – e ad oggi ha già diversi clienti attivi. A partire dall’asset strategico della connettività e delle piattaforme, con il contributo dell’ecosistema dei propri partner, Vodafone è in grado di costruire soluzioni IoT integrate end-to-end per la trasformazione digitale dei propri clienti.” L’azienda propone da circa un anno al vasto insieme di aziende clienti una serie di servizi IoT basati su NB-IoT, cioè su una tecnologia “narrow band” pensata appositamente per il mondo IoT. Il NB-IoT, ideato da 3GPP, l’organo internazionale di standardizzazione, cui fa capo il GSM e tutto il mondo cellulare, è una tecnologia LPWAN, ovvero low power wide area network, che, viaggiando sulle stesse reti del 4G o del 5G, impiega dispositivi dedicati, quindi non i normali smartphone, ma device appositi che hanno i vantaggi di un minor consumo di batteria e maggiore pervasività (il segnale è ricevuto e trasmesso anche in cantine e luoghi a bassissima copertura), a fronte di una capacità di trasmissione dati più limitata, ma coerente con le necessità degli impieghi IoT. L’IOT infatti è impiegato in buona parte dei casi per scambio di dati ai fini di tracking, metering, monitoraggio – attività che non richiedono importanti impieghi di banda.

2 Grandi player, ma gli specialisti restano fondamentali

Gli operatori telco vedono in questi servizi l’estensione della relazione col cliente su ambiti di maggiore valorizzazione e respiro strategico. Tuttavia, servire queste tecnologie non è scontato neppure per i grandi player, e richiede investimenti ad hoc e partner qualificati. Ad esempio, per sostenere questa proposition, Vodafone ha costruito una piattaforma IoT, chiamata Invent, in partnership con PTC, l’azienda americana di software industriale che produce ThingWorx. Nel momento in cui questi grandi progetti veicolati dalle telco trovano deployment nelle aziende, lo sviluppo è poi affidato a società specializzate. Una di queste è AppForGood, il cui Chief Innovation Officer, Marco Rivera ci spiega che “La messa a terra dei POC (proof-of-concept, cioè i test di messa sul campo dei progetti in modalità prototipale) in ambito IoT richiede un set di competenze piuttosto articolato: innanzi tutto una conoscenza approfondita dei processi e delle tecnologie, come appunto ThingWorx, nelle loro varianti, poi una certa dimestichezza con il mondo PLC, ovvero dei computer industriali e delle relative interfacce, infine competenza sull’architettura hardware e software di una vasta gamma di dispositivi. Sempre più spesso capita di utilizzare tecnologie mutuate dall’ambito consumer, come mobile device e wearables, che ci permettono una flessibilità e una semplicità di utilizzo a cui anche il mondo industriale non può rinunciare. Ovviamente la conoscenza del mercato di offerta dei sensori e dei dispositivi sono elementi altrettanto importanti perché parliamo di tecnologie costantemente in evoluzione e lungi dall’essere consolidate. Pertanto progetti teoricamente semplici possono trovare numerosi ostacoli se non si ha una conoscenza approfondita e aggiornata dell’ecosistema. È molto importante che la società che realizza la messa a terra del progetto abbia un reale set di esperienze attinenti, cioè di use case lanciati, perché la pratica è molto più avanti della teoria. Le nostre expertise su una grande varietà di tecnologie e su molteplici modelli di device e industry ci consentono infatti di realizzare un POC in pochi giorni dalla chiamata e di dimostrare sul campo l’effettiva efficacia delle soluzioni che realizziamo.”

3 Dispositivi, che passione! C’è spazio per tutti

Nell’ecosistema hanno un ruolo determinante i vendor di device e apparati, ad esempio Samsung, che ha una consolidata presenza nel nostro Paese, e Huawei, in forte sviluppo. Sono dispositivi per una certa misura “aperti”, nel senso che le software house possono customizzarne le funzionalità, in linea con il progetto industriale del cliente.  Spesso sono proprio i vendor, già fornitori di un’azienda o di un ente con i propri prodotti a catalogo, a innescare l’interesse del cliente su progetti IoT custom.  Huawei ha recentemente testimoniato il livello del proprio investimento e la visione di un impiego esteso dell’IoT con il roadshow Smart Cities, in diverse città italiane, e ha dato prova della propria volontà progettuale con l’apertura dell’Innovation Center di Roma.  “Formiamo e certifichiamo i nostri partner, cioè le software house e i system integrator incaricati di personalizzare e proporre le nostre soluzioni hardware e software. Li presentiamo ai nostri migliori clienti, consentendo loro di portare soluzioni fortemente innovative e creative per quanto riguarda l’uso della tecnologia e i benefici dell’IoT, utilizzando i dispositivi su cui la nostra azienda continua a investire in ricerca e sviluppo. Gli sviluppatori, grazie a una conoscenza delle tecnologie molto verticale e a esperienze di successi in altre industry, anche internazionali, sono spesso in grado di portare al cliente proposte e idee su cui non aveva mai riflettuto o di cui non era a conoscenza, in grado di attivare nuove funzionalità e business model.” ha dichiarato Giorgio Tencati, Head of B2B Operator Sales di Huawei nel corso del primo Developer Day, a fine 2019.  Evento che l’azienda ha dedicato agli sviluppatori, cui ha aperto le chiavi del proprio ecosistema, che pone al centro lo smartphone con un ruolo di pivot rispetto a tutti gli altri smart products. Una ricerca dice che nei prossimi anni gli oggetti connessi per individuo passeranno da 6 a 16, moltiplicando le prospettive dell’IoT, ma anche richiedendo sempre di più una comune regia.

Non sono solo i grandi brand a disegnare il panorama dei dispositivi IoT, tutt’altro, c’è davvero spazio per tutti. Siano essi sensori, device di rete, wearables, apparati, l’offerta e i range qualitativi e tecnologici sono davvero ampi e includono moltissimi piccoli produttori in tutto il mondo e numerose realtà di prototipazione e sviluppo a progetto. Possono essere medie imprese o start up, aiutate da stampa 3D e accorciamento delle distanze intercontinentali, che hanno individuato un filone di grande potenziale – ovviamente in un pattern di competenza ed esperienze tangibili.

Tornando alle reti, se il NB-IoT delle telco è la tecnologia di rete su aree ampie (WAN, wide area network), su cui una discreta fetta del mercato sta puntando, ci sono comunque alcune alternative. Tra queste, LoRaWAN e Sigfox, sistemi di trasmissione radio su banda non licenziata, partiti prima del NB-IoT, proprio beneficiando del temporaneo vuoto di offerta da parte del mondo cellular, tuttavia con coperture ancora limitate e oggi un po’ in discussione, rispetto allo sviluppo del NB-IoT. Anche in questi casi è il gestore della rete, che percepisce una fee di abbonamento, ad attivare i clienti e metterli in contatto con partner tecnici per la messa a terra dei progetti. Ovviamente la scelta di una rete porta con sé punti di forza e debolezza rispetto alle altre opzioni, oltre a scelte obbligate in termini di sensori, device e piattaforma software, per cui occorre sempre una ponderazione sistemica di queste scelte e comunque un approccio modulare e flessibile.

Nelle reti di prossimità, i sistemi più utilizzati sono BLE, uno standard Bluetooth dedicato all’IOT, e l’868, ovvero l’utilizzo della banda radio su questa frequenza, oltre ovviamente al WiFi. Sono tecnologie semplici e a costo contenuto in termini di dispositivi, senza canone, tuttavia presuppongono il posizionamento di gateway, che invece alzano il costo. Vengono impiegate negli impianti di produzione, nella logistica e movimentazione interna, oppure nella gestione di edifici, che possono essere uffici, RSA, scuole, alberghi, centri commerciali e negozi, nonché yacht e navi. Lo scopo può essere la localizzazione di persone e asset, e in questo caso la rete è in grado di determinare il posizionamento grazie alla triangolazione dei segnali radio (con maggiore precisione nel caso di BLE e 868, rispetto al WiFi), senza bisogno di GPS, anzi con maggiore accuratezza; oppure possono servire per la trasmissione di dati provenienti dai più svariati tipi di sensori. Il loro utilizzo indoor è particolarmente interessante, sia perché rimangono contenuti i costi di protezione dei gateway, sia perché la loro alimentazione resta più a portata di mano, sia, infine, perché consentono la massima granularità nella localizzazione, inclusa l’indicazione del piano, rispondendo quindi a ogni esigenza.

4 Lean + digitale, un ruolo pivot per consulting e system integrator

Le soluzioni di rete sono molte e ibridabili, ma ovviamente alla base devi esserci un progetto di organizzazione della produzione e di automazione. E’ noto che l’Industry 4.0 aggiunge tecnologia e soprattutto digitalizzazione, rispetto alla precedente rivoluzione 3.0, e questo è il suo elemento di differenziazione, tuttavia l’architettura su cui si applica deve essere stata prima pensata in termini lean. Questo ci porta verso altri soggetti ancora, che sono interlocutori assolutamente primari dell’impresa che affronta la trasformazione digitale.

  1. Le società di consulenza operativa, che connettono strategia e organizzazione della produzione. Tra queste si è ritagliata un crescente ruolo di spicco Porsche Consulting, nata nel 1994 per ristrutturare la casa automobilistica Porsche. Il superamento di quella grave crisi lasciò a Porsche una forte competenza al punto di suscitare l’idea di rendere disponibili le attività della consulting anche ad altre imprese. Da un piccolo team si è passati ad uffici Stoccarda, Amburgo, Monaco di Baviera, Milano, San Paolo, Atlanta e Shanghai con quasi 600 collaboratori, per trasferire soluzioni sperimentate nell’industria automobilistica ad altri settori. Sono diverse le consulting dedicate al lean e all’automazione Industry 4.0, nate da storie di successo di riorganizzazione prima vissuta internamente e poi portata sul mercato. Tra quelle illustri, non possiamo non citare World Class Manufacturing di FCA. Ha un forte orientamento all’automazione anche Festo Training & Consulting, “Nasciamo da Festo – spiega Luca Gelmetti – Digital e Industry 4.0 Manager – dell’azienda tedesca leader nell’automazione industriale, da sempre orientata all’innovazione. Abbiamo trasferito questa visione nella Training & Consulting, per condividere le nostre competenze di trasformazione digitale col mercato e massimizzare la produttività e la competitività dei clienti, con una forte attenzione alla valorizzazione delle persone e delle loro competenze”.
  2. Completano il quadro i system integrator, realtà a volte piccole a volte grandi e strutturate, che hanno il compito di rispondere a necessità ben definite del cliente. Risolvono le esigenze delle imprese con soluzioni generate dalla selezione, assemblamento e customizzazione di diversi vendor e giovandosi di società di prototipazione, sviluppo e distribuzione di hardware e software. Enrico Campagna, Business Executive di Automate, system integrator dedicato ad automazione e robotica industriale, nonché Associate Partner YOURgroup, spiega che “È fondamentale offrire soluzioni integrate in grado di consentire l’interconnessione delle nuove piattaforme che si decidono di adottare con gli ambienti esistenti, sia che si parli di hardware, sia che si parli di software. Questo vuol dire, per esempio, essere in grado di introdurre sensoristica dove non esiste, così come integrare quella esistente ed assicurare che tutto venga orchestrato correttamente, in modo che i dati raccolti possano essere elaborati in modo corretto e diventare a tutti gli effetti informazioni utili al processo che si decide di indirizzare e quindi al business dell’azienda. L’integrazione, oltre ad essere una capacità necessaria per implementare una soluzione, diventa un aspetto fondamentale per massimizzare gli investimenti fatti dall’azienda, facilitando così il percorso di innovazione/trasformazione digitale”.

5 Vecchio tornio non ti mollo! Il retrofitting in ambito industriale

Un altro trend IoT 2020, che sovverte le normali regole di consolidamento delle diverse industry, è la forte componente di retrofitting in ambito industriale. Sembrano non essere ancora maturi i tempi per una diffusione ragionevole di macchine già sensorizzate. Questo perché, da un lato, il costo della sensorizzazione è modesto, rispetto al valore del macchinario. Dall’altro, appartenendo i macchinari presenti in uno stabilimento a differenti tecnologie e provenendo da diversi vendor, parlerebbero lingue differenti e sarebbero integrabili con una certa difficoltà. Da ultimo, l’applicazione di sensori è un processo di trail & error anche molto artigianale, “Sì, non basta l’artificial intelligence, ci vuole anche molta human intelligence” – scherza Giuseppe Iacobucci – CTO di Digistone, che ha realizzato progetti di manutenzione predittiva per diverse aziende manifatturiere tra cui Faster, gioiello italiano leader nella produzione di giunti idraulici. “Testiamo continuamente ogni possibile parametro, ad esempio microfoni audio, accelerometri, sonde di corrente in punti strategici dell’impianto per capire esattamente lo stato di consumo degli utensili coinvolti nel processo produttivo, per minimizzare gli scarti e programmare il cambio degli stessi nei momenti più opportuni”.

6 Wearables, per avere le mani libere

Mentre nel settore industriale continua a guadagnare spazio, ma con una certa progressione, l’impiego di realtà aumentata e virtuale, attraverso visori e mobile devices, sono i wearables che stanno raccogliendo i più inaspettati consensi. Se nella vita quotidiana lo smartphone resta una soluzione ideale, in ambienti industriali o aziendali cresce anche la domanda di smartwatch, forniti di forti customizzazioni. Samsung sta cavalcando questo fenomeno con successo. Il primo caso importante realizzato dall’azienda coreana è stato per FCA, nel 2017. Cinque stabilimenti del gruppo, tra cui Mirafiori, dove si produce Maserati Levante, sono stati dotati non di semplici bracciali ma di veri e propri smartwatch, come ci è stato spiegato dal Team Enterprise di Samsung. “Consentono agli operatori non solo di velocizzare le procedure di autenticazione – prosegue Marco Rivera di AppForGood, società specializzata nel deployment di questi progetti – ma anche di avere a disposizione check-list, comunicare con la manutenzione, inviarsi messaggi push-to-talk, essere localizzati in situazioni di pericolo, anche grazie alla funzione man-down, che rileva l’eventuale malore o incidente. Il software consente ovviamente di passare a diverse modalità, non solo in relazione al tipo di mansione ma anche tra lavoro e tempo libero con dati impermeabili tra i differenti profili di stato. Queste soluzioni sono state realizzate per aziende di ogni settore, ad esempio per Eli Lilly nel farmaceutico o la Concessionaria Autostrade Venete nel campo delle opere pubbliche e trasporti. Il forte interesse del mercato ci ha portato a realizzare una piattaforma che ci consente di realizzare progetti di questo tipo in tempi davvero contenuti, che abbiamo chiamato FreeHands, proprio perché è fondamentale che sia la tecnologia ad adattarsi alle esigenze degli operatori, in modo da aiutarli a lavorare in maniera più efficiente, più sicura e con un occhio di riguardo all’ergonomia. Tutto ciò si traduce in una serie di ottimizzazioni ed efficientamenti all’interno dei processi che portano vantaggi tangibili alle aziende stesse in tempi brevi.”

7 Non sceglierete il meglio, ma puntate sulla flessibilità

Eh no, per almeno due motivi. Il primo è che tecnologie raccontate come strepitose sulla carta o nella letteratura, possono poi non aver trovato il giusto partner per la loro messa a terra, non aver creato ecosistema, non avere la giusta massa critica in termini di rete – o, semplicemente, non funzionare bene. Il secondo motivo è che soluzioni semplici e a basso costo, che raggiungono almeno l’essenziale dei bisogni di business attesi, consentono di fatto di operare con maggiore immediatezza e flessibilità. Fa parte di un approccio “agile” e che sa governare l’incertezza. Ciò di cui siamo sicuri è che il progresso penalizza chi non si muove per tempo e, non potendo scegliere le tecnologie del futuro con assoluta certezza, le scelte migliori sono quelle più flessibili, modulari, scalabili e a minore impatto di costi. Non necessariamente perfette all’origine.

8 Un solido binomio con l’intelligenza artificiale

Abbiamo visto che possiamo disporre di una serie di tool di intelligenza artificiale che ci consentono di risolvere problemi e generare notifiche e raccomandazioni. Ciò che dobbiamo fornire al sistema di AI sono i dati, quindi pensiamo all’IoT come a una modalità per produrli. Questo ci consente alcune volte di risolvere problemi mai affrontati, altre di creare nuovi modelli di business, altre ancora di testare in modo agnostico percorsi inesplorati.  Nasce quindi un match molto importante tra società di IoT, che producono i dati, e società specializzate nell’AI, che li processano. Essendo IoT e AI due ambiti caratterizzati da forte domanda da parte dei clienti e da competenze molto verticali, in evoluzione e non semplici da reperire sul mercato del lavoro, le società specializzate nei due rispettivi ambiti tendono a evitare la sovrapposizione, ma operare in sinergia, con grande rispetto reciproco.  “Siamo una società di consulenza specializzata nell’AI – spiega Matteo Verdari, partner di  SDG Consulting – e abbiamo stretto una partnership con AppForGood, che invece opera nell’IOT. Abbiamo integrato le nostre competenze nel progetto di manutenzione predittiva sulle linee di produzione di una azienda italiana e internazionale tra i  primi produttori mondiali di sistemi di fissaggio. AppForGood ha studiato la parte hardware e di sensoristica, individuando ad esempio la tipologia di sensori da usare, se rilevare vibrazioni, suoni, pressioni, consumo di energia e dove posizionarli, nonché la parte software, a partire dal firmware dei sensori stessi. I nostri data scientist, successivamente hanno processato le serie numeriche prodotte dai sensori per ridurre gli scarti e evitare eventi “catastrofici” come fermo produzione e rottura macchina. È una collaborazione molto sinergica tra le nostre unità che sta dando ottimi risultati al cliente.”

9 Basta volare, adesso mettiamo a terra

Quando incontrate un potenziale fornitore, non fatevi impressionare dalle promesse, dall’uso emblematico della parola “esponenziale”, da acronimi e presentazioni alla TEDx, chiedete semplicemente quanto tempo occorre – e quale sarebbe il costo – per un POC, cioè un test di proof-of-concept, nella vostra azienda, della soluzione ipotizzata. Partiamo da questo, da semplici messe a terra delle nostre idee e dall’output di dati leggibili che ne deriva. Le tecnologie IOT sono più semplici di quello che sembrano per chi non le conosce, ma più complesse di quanto appaiono per chi se ne intende. Tracciare la posizione di un asset aziendale in ambienti di varia complessità (pareti, assenza di energia, mix indoor/outdoor) non è scienza dei razzi ma richiede precise qualifiche. Così come la rilevazione di consumi elettrici, l’analisi della stabilità di un ponteggio oppure l’integrazione con una serie di apparati.

La realizzazione di un progetto custom richiede normalmente un primo POC in cui si verificano i fondamentali, usando le tecnologie immediatamente disponibili, su una macchina del cliente; e poi un secondo POC, a distanza di alcuni mesi, con device e software dedicati, reingegnerizzati ad hoc, su più macchine, a maggior ragione se diverse tra loro. Questo secondo POC viene progressivamente perfezionato e poi industrializzato, cioè reso riproducibile per tutte le macchine e location del cliente. Quindi anche le strutture snelle tendono a impiegare un certo quantitativo di tempo ed energie per mettere a terra un progetto che realizzi i deliverable attesi.

10 Nascono le soluzioni pronte

Un passo ancora successivo, rispetto ai progetti custom cui siamo abituati, sono le soluzioni a catalogo, che uniscono, nei migliori dei casi, expertise e delivery. Non richiedono neppure un POC, perché offrono un set di sensori e device pronti (cioè già certificati alla piattaforma) per le diverse applicazioni, con vari gradi di sensibilità e resistenza industriale, già certificati rispetto alla rete, che fa parte dell’offerta, e alla piattaforma software, che presenta e analizza i dati. Serve solo verificare la compatibilità coi vostri sistemi o l’eventuale sforzo di integrazione e se la qualità del dato in output è quella che vi aspettate, altrimenti potete chiedere una customizzazione, che comunque sarà più contenuta per costo e tempi rispetto alla vecchia progettazione da zero.

Non sono soluzioni ancora molto diffuse, il caso italiano è quello di Smartik, soluzione IoT pronta end-to-end. Verticali hardware e software testati in una varietà di industry negli ultimi anni sono stati consolidati dalla società produttrice in una piattaforma software completa su tutte le aree IoT, corredata di sensori e device di rete. Le aree di servizio coprono la localizzazione, il controllo dei consumi, il monitoraggio delle infrastrutture e la video-sorveglianza, con un approccio modulare, scalabile e integrato – facilmente estensibile ad altri ambiti. In questo modo si saltano i POC, si abbattono tempi e costi. Daniele Fortin, Technical Team Manager di ELMAT, la società che distribuisce la soluzione in Italia, dice “Stiamo proponendo Smartik da novembre, attraverso una rete di 1.200 system integrator e abbiamo scelto questa soluzione per le molte richieste di IoT che riceviamo, sempre differenziate ma in cui la flessibilità di Smartik e la sua articolazione in sensori, dispositivi rete locale o geografica, da attivare a seconda delle esigenze del cliente, e una piattaforma software innovativa, molto funzionale e modulare con un ampio set di integrazioni, ha riscosso l’immediato interesse del mercato.”

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