Intervista

Co.Mark: «I canali digitali diventano strategici per far ripartire l’economia e l’export»

Le aziende che puntano ai mercati esteri per trovare sbocchi commerciali all’indomani della crisi Covid stanno scoprendo nuovi mezzi e nuovi modi di comunicare per raggiungere con efficacia i propri interlocutori. “Ma serve la capacità di aggregare le informazioni e soprattutto quella di integrare competenze per scegliere lo strumento giusto al momento giusto”. Parla Marco Sanfilippo, amministratore delegato di Co.Mark

Pubblicato il 08 Set 2020

co.mark export

“Quello che è successo – e che sta ancora succedendo – deriva da una crisi pervasiva che non ha colto tutti allo stesso momento. Si sono bloccati mercati, regioni, settori specifici in modo asimmetrico, e noi come sistema Italia siamo stati tra i primi a essere attaccati. La conseguenza è che durante il blocco alcuni settori hanno continuato a lavorare, altri no, e alcune aree della catena del valore sono state indebolite dalla concorrenza di competitor internazionali”.

A parlare è Marco Sanfilippo, amministratore delegato di Co.Mark, società specializzata nell’offerta di servizi di consulenza nell’ambito del Temporary Management. Dal punto di osservazione di una società partner delle PMI, Sanfilippo nota che l’elevato grado di incertezza di molte aziende italiane dipende essenzialmente dal fatto che spesso la struttura del business è imperniata su catene del valore interne al sistema Paese. “Un sistema che decresce sopra la media europea e che secondo la maggior parte degli analisti è destinato a generare un rimbalzo meno consistente di quello dei competitor. Allo stesso tempo, però, assistiamo all’affermarsi di una volontà sempre più forte di muoversi verso l’estero, per diversificare i mercati di sbocco”, spiega Sanfilippo. “Le opportunità non mancano perché esattamente come in Italia anche all’estero esistono molte realtà che stanno rivedendo le proprie strategie di acquisizione, e alcuni settori possono dare in questo senso grandi soddisfazioni. Ma spesso per affrontare questa nuova dimensione occorrono investimenti, sia per fare scouting, sia per adattare la capacità produttiva, sia per accedere a nuovi sistemi di certificazione, sia per maturare le competenze digitali indispensabili per operare nell’era del post-Covid-19”.

Tra le poche certezze che ci hanno lasciato, esaurendosi, le prime fasi dell’emergenza coronavirus, ne spiccano due. La prima è che purtroppo la situazione è ancora ben lungi dal tornare alla normalità. La seconda è che le tecnologie digitali ricopriranno un ruolo sempre più strategico nel mondo del business che verrà, a prescindere dalla crisi scatenata dalla pandemia. E il secondo assunto è tanto più vero nel momento in cui si parla di export. Incontri, relazioni, eventi, prove sul campo sono tradizionalmente gli elementi che soprattutto per le imprese del Made in Italy fanno la differenza quando si tratta di aiutare i clienti a toccare con mano la qualità di un prodotto. Ora che tutto ciò è venuto meno o, nella migliore delle ipotesi, si è ridotto drasticamente, l’unica alternativa è puntare sui canali digitali e sui nuovi strumenti di collaboration, sia per esplorare le opportunità offerte dai potenziali mercati target, sia per differenziare il bacino dei partner commerciali a monte e a valle della filiera, sia soprattutto per massimizzare il valore di ciascuno scambio.

Il problema infatti non è solo vendere, ma anche approvvigionarsi. Secondo l’Istat, il blocco delle attività economiche durante il lockdown ha colpito il 34% della produzione Made in Italy, e questo non è dovuto solo alla mancanza di sfoghi esteri: nell’era della globalizzazione le catene produttive e commerciali sono estremamente integrate, e le difficoltà che hanno incontrato e stanno tuttora incontrando i business a livello internazionale nel processo di riapertura coinvolgono a catena le supply chain di centinaia di migliaia di aziende. In altre parole, l’epidemia ha evidenziato la fragilità del modello di globalizzazione fondato su una dipendenza elevatissima da un solo paese – in particolare, la Cina, come fornitore per molti settori strategici per l’industria italiana, a partire da meccanica, chimica e tessile, senza dimenticare tecnologia e automotive.

Sanfilippo, quali sono le differenze tra le crisi economiche passate e quella attuale e quali prospettive ci sono per le Pmi che cercano nuovi sbocchi?

Ogni crisi ha le sue dinamiche e i suoi effetti specifici. Le conseguenze della pandemia da Covid-19 sono paragonabili in termini di intensità a quelle della crisi finanziaria del 2008, che è stata devastante e ha provocato un crollo del commercio internazionale del 30% tra la prima metà del 2008 e la prima metà del 2009. Ma questa crisi, rispetto a quelle del passato, è notevolmente diversa in quanto ha determinato uno shock della domanda e dell’offerta in contemporanea, con impatti mai vissuti nell’economia moderna sulle filiere produttive e conseguenti difficoltà per la ripartenza. Uno dei primi effetti ha interessato le catene di fornitura e la loro interruzione o compromissione a causa delle difficoltà nella logistica.

Un’altra problematica è determinata dalla specializzazione verticale delle imprese, che oggi genera una riduzione della domanda di beni intermedi più elevata di quella che si sarebbe registrata tradizionalmente (se le imprese vendessero solo beni finiti). C’è poi la questione della riattivazione dei canali commerciali: alcuni clienti non sono ancora ripartiti o non hanno le risorse per farlo. In questo senso, le catene di fornitura vanno ristrutturate.

Come?

Questa crisi ha messo in luce la fragilità del sistema e le debolezze dell’approccio just-in-time che riduce al minimo sia l’accumulo di materie prime che di prodotti finiti in giacenza. Ciò non significa però che sarà necessario tornare ad accumulare scorte in vista di una possibile crisi futura. Piuttosto ripensare alla catena del valore identificando alternative immediatamente attuabili in caso di bisogno, o modelli di smart factory.

Con l’acuirsi della crisi alcune imprese, soprattutto al di là dell’Europa, hanno riscontrato un cambiamento “comportamentale” che si sta traducendo in opportunità. L’accelerazione dell’utilizzo degli strumenti digitali ha permesso una continuazione del lavoro che altrimenti non sarebbe stata possibile. Il ciclo positivo ripartirà, e solo coloro che saranno stati in grado di anticiparlo e di esserne parte attiva potranno giovarne.

Lo scenario rimane comunque incerto: in che modo le imprese possono ripartire in modo rapido ed efficace?

La parola d’ordine è rimanere informati. Viviamo in un momento storico in cui c’è sovrabbondanza di informazioni: bisogna però saperle inquadrare, accedere a fonti di qualità e dare vita a un’unica struttura capace di raccogliere una massa critica di dati sufficiente a indirizzare le strategie. È poi necessario riuscire a interloquire con le risorse giuste e applicare un metodo di lavoro corretto. Questo implica una serie di investimenti nello sviluppo commerciale di medio periodo, indispensabili per preparare il terreno a nuove opportunità da cogliere. La chiave di volta sta nell’instaurare collaborazioni qualificate che sappiano identificare opportunità strategiche e rapidamente tradurle in un supporto concreto e operativo.

Attraverso quali strumenti?

Come detto, la situazione di lock-down ha accelerato i trend già in corso, e in particolare quello della digitalizzazione. Mentre colossi dell’e-commerce globale – quali Amazon ed Alibaba – hanno rafforzato ancor più la propria posizione, molte realtà anche di piccole e medie dimensioni hanno accelerato il proprio percorso di presenza digitale a supporto della propria attività commerciale, passando da un approccio statico (come la semplice vetrina on-line) a un approccio dinamico (come la Lead Generation proattiva, a partire ma senza fermarsi dalle funzionalità offerte da LinkedIn). D’altra parte, sono sempre più numerosi gli attori che si abituano a utilizzare soluzioni di comunicazione digitale già affermate sul mercato. In questo frangente si sono affermate nuove piattaforme che abilitano contatti commerciali multicanale (per esempio Facebook shop, basata sul concetto della presenza virtuale) e sistemi di instant messaging e videocall per dialogare con la clientela.

Con particolare riferimento ad un contesto internazionale in cui viaggi e spostamenti sono improvvisamente diventati meno agevoli e di complessa gestione, la digitalizzazione diventa un elemento centrale nelle strategie di sviluppo per la gestione dell’export e degli scambi internazionali.

In Co.Mark come sono stati declinati questi nuovi trend Export?

Per noi è stata una transizione naturale. In Co.Mark abbiamo sempre inteso gli strumenti digitali come elemento primario di analisi e contatto con le controparti estere, sfruttandoli per promuovere lo sviluppo commerciale dei nostri clienti. Abbiamo costruito un CRM interno in tempi non sospetti proprio per sviluppare un repository di informazioni proprietarie, grazie alle quali siamo riusciti ad alimentare le piattaforme social e di comunicazione con cui da anni entriamo in contatto con i buyer.

Questa metodologia “digitale” ci ha permesso di mantenere in ogni situazione di mercato un elevato standard operativo di servizio nonostante la situazione particolare appena trascorsa. I Temporary Export Specialist e Temporary Marketing Specialist di Co.Mark sono risorse talentuose che nel tempo abbiamo attratto, formato, dotato di strumenti efficaci e di tecnologie proprietarie o best in class di mercato e, a valle del percorso formativo, messo a disposizione dei nostri clienti con l’obiettivo di supportarli nelle loro attività export. Lo abbiamo fatto trasferendo competenze, attraverso un percorso di training on the job accentuato dal modello collaborativo su cui si basa il nostro lavoro.

La complessità di esportare utilizzando canali digitali non consiste d’altronde esclusivamente nel saper utilizzare il singolo strumento: i valori specifici che Co.Mark, attraverso i propri Temporary Manager, apporta ai clienti, sono la competenza trasversale cumulata in oltre 20 anni di attività, le relazioni con l’estero stabilite nel tempo che consentono un approccio rapido ai diversi mercati internazionali, la capacità di investimento costante in banche dati, strumenti digitali proprietari, aggiornamento e formazione.

È importante sottolinearlo: l’export digitale per Co.Mark non si riduce all’utilizzo di uno strumento o di una piattaforma, ma si realizza attraverso un utilizzo sapiente di strumenti di comunicazione digitali ma anche tradizionali integrati in un percorso guidato, controllabile e modificabile nel tempo. In poche parole: serve competenza, operatività e capacità di investimento.

Più nello specifico, quali iniziative ha previsto Co.Mark per dimostrare vicinanza alle imprese?

Durante questa crisi Co.Mark ha realizzato un servizio informativo gratuito, denominato “News from the field”, attraverso il quale abbiamo messo settimanalmente a disposizione delle aziende italiane informazioni operative sulle caratteristiche del mercato internazionale raccolte durante il lavoro quotidiano degli export specialist: disponibilità logistiche, stato della domanda per paese e settore, opportunità di business, reattività dei canali e altre notizie. Non si tratta di nozioni teoriche, ma di insight testati sul campo a supporto del processo decisionale dei nostri clienti. Da remoto, analizziamo i mercati esteri, identifichiamo i lead potenziali, contattiamo gli interlocutori e i buyer internazionali, supportiamo la creazione di contenuti, veicoliamo sui social e affianchiamo i clienti nell’utilizzo di piattaforme digitali di terze parti: tutti aspetti dell’attività quotidiana del Temporary Manager, un digital export manager a tutti gli effetti. Ora stiamo investendo sia sulla marketing automation digitale, che sulla machine learning su dati proprietari e di terzi. Non dimentichiamoci poi l’affermazione delle fiere digitali: stiamo sperimentando anche in questa direzione facendo leva sul servizio Co.Mark Fair, che già in epoca pre-Covid consentiva ai nostri clienti di preparare la partecipazione agli eventi internazionali in modo da non presenziarli passivamente, ma sviluppando anzi la capacità di contattare, invitare, gestire e seguire in modo strutturato i potenziali clienti fino alla chiusura del ciclo di vendita. La metodologia è mutuabile nel mondo digitale, a patto di prevedere sistemi efficaci per condividere campionature e preventivi con i vari interlocutori.

Cosa vi lascerà questa esperienza?

Senz’altro abbiamo accresciuto la nostra capacità di collaborare senza limiti geografici, non solo all’interno del team ma anche e soprattutto con i clienti. La presenza fisica consente di comprendere dinamiche interne e accelerare il percorso di vendita, ma il rapporto mediato dai canali digitali è più interattivo e più costante, e si sta rivelando un complemento essenziale per promuovere il confronto in maniera continuativa. Lato clienti, posso dire che si sono superate diverse barriere culturali: non è più difficile immaginare che un imprenditore italiano si connetta in video con un buyer localizzato dall’altra parte del mondo, è anzi diventato normale pensare di organizzare una videocall per stabilire il primo contatto. Il mezzo ha anche trasformato la modalità con cui si estende il messaggio, promuovendo la ricerca della maggiore efficacia possibile nelle interazioni: ora le presentazioni sono brevi, strutturate e complete. Infine, bisogna sottolineare che se prima il modello di adozione tecnologica era piuttosto lento, ora si assiste a una forte accelerazione dei cicli evolutivi all’interno delle aziende. L’impegno di Co.Mark è quello di seguirle lungo questo percorso, e soprattutto di anticipare le innovazioni che arriveranno.

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