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eProcurement: avanza la digitalizzazione del processo di acquisto nella PA italiana

Con la pandemia sono significativamente aumentate le gare pubbliche gestite con piattaforme di approvvigionamento digitali. Tuttavia la normativa sui contratti pubblici è ancora incompleta. Ecco cosa occorre per trasformare, anche grazie al PNRR, questo approccio in una leva strategica per la crescita del Paese

Pubblicato il 06 Set 2021

eProcurement PA

L’eProcurement nella PA è destinato a rivestire un ruolo sempre più cruciale nei processi di semplificazione e di efficientamento non solo delle gare d’appalto, ma dell’intero ciclo di vita delle catene di approvvigionamento di imprese e pubbliche amministrazioni. La possibilità di gestire in maniera trasparente, sicura e – laddove possibile – automatizzata ciascuna delle fasi che compongono le procedure di acquisto e di pagamento comporta un notevole risparmio di tempo e di risorse e snellisce le operazioni ripetitive, consentendo ai buyer di concentrarsi sugli aspetti a maggior valore delle trattative e delle transazioni.

L’opportunità di tracciare ciascun movimento, individuando in modo univoco i decisori, gli interlocutori e gli esecutori di ogni passaggio è inoltre fondamentale per analizzare in maniera sistematica i dati generati da ciascuna interazione per comprendere come si concatenano le varie iniziative e quali contromisure è necessario adottare per limitare colli di bottiglia.

L’approccio ideale per ottimizzare le procedure di acquisto

È evidente come l’eProcurement nella PA rappresenti uno strumento – ma sarebbe meglio parlare di approccio – indispensabile non solo nell’ottica di ottimizzare le procedure e velocizzare i tempi di elaborazione degli ordini d’acquisto, ma anche per allocare nel modo migliore possibile il budget messo a disposizione dal Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Come? Sviluppando per esempio sistemi più accurati, basati per esempio sull’analisi dei dati, per la valutazione e la comparazione delle offerte. Oppure facendo leva sulla modularità delle piattaforme digitali per implementare funzionalità ad hoc da devolvere alla pianificazione e all reportistica con, a cascata, effetti positivi anche per le imprese private partner della PA.

Si tratta, da qualsiasi prospettiva la si voglia guardare, di una grande occasione per l’intero ecosistema italiano e non a caso rientra negli obiettivi del Recovery Procurement Platform, la riforma appositamente prevista dal Pnrr per la creazione di attività di formazione e supporto, la definizione degli strumenti di acquisto avanzati e l’impostazione di azioni mirate all’evoluzione del sistema nazionale di eProcurement.

Ma qual è la situazione attuale? A che punto è lo sviluppo delle tecnologie e delle metodologie attraverso cui la pubblica amministrazione può continuare lungo il percorso evolutivo che porta a un eProcurement compiuto?

eProcurement nella PA: manca ancora una normativa stabile e coerente

Una risposta ha provato a darla l’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, che ha elaborato i dati relativi alle movimentazioni di risorse innescate dai sistemi di approvvigionamento dell’amministrazione pubblica italiana nel corso del 2020. Si è trattato, come tutti naturalmente sanno, di un anno particolare, un anno segnato dall’emergenza pandemica, che ha generato in quasi tutti i settori due spinte contrapposte: da una parte la necessità di attivare in tempi rapidi soluzioni digitali per garantire la continuità operativa anche ottemperando all’obbligo del distanziamento sociale, dall’altra il bisogno di contenere le voci di spesa per fronteggiare uno scenario contraddistinto da un’incertezza estrema.

Ebbene, se nel 2019 la spesa per l’acquisto di beni e servizi sopra soglia da parte delle PA ha raggiunto i 170 miliardi, un valore raddoppiato in sette anni, nel 2020, dei 180 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato con i decreto Cura Italia e Rilancio, 26,4 miliardi sono stati gestiti attraverso gare pubbliche. Il sistema di procurement nel settore pubblico ha dunque ricevuto un poderoso impulso, ma – nota l’Osservatorio – la normativa sui contratti pubblici appare ancora “incompleta, instabile, frammentaria e incoerente”. Sono passati più di quattro anni dalla pubblicazione del Codice dei Contratti pubblici, eppure sono stati adottati solo 24 dei 45 provvedimenti attuativi necessari a rendere questo framework fondamentale per l’eProcurement pienamente operativo. La PA, in particolare, ha difficoltà soprattutto a collaborare con l’offerta di soluzioni digitali: si è registrato un uso modesto delle procedure competitive con negoziazione, dei dialoghi competitivi e dei partenariati per l’innovazione. Si parla di 326 iniziative, di cui solo 27 per l’attuazione dell’agenda digitale.

Eppur si muove: aumentano le gare bandite tramite le piattaforme di eProcurement

Ma i risultati positivi, come detto, non mancano, nonostante il rallentamento dovuto alla pandemia. Più nello specifico, le 1.564 gare bandite nel 2020 dalle amministrazioni utilizzando la piattaforma di eProcurement messa a disposizione dal Programma di razionalizzazione della spesa pubblica, gestito da Consip per conto del Mef, hanno fatto registrare un valore di 4,3 miliardi di euro. Rispetto al 2018, anno di avvio del sistema, la crescita è stata pari al 1050%, mentre se il confronto è fatto sui parametri del 2019 (quando le gare erano state 1.259), parliamo di un +24%. Le gare autonome bandite tramite la piattaforma di eProcurement Mef/Consip (in modalità ASP, Application Service Provider), d’altra parte, sono state 1.295 (+31% rispetto al 2019) e hanno generato contratti per 1,1 miliardi di euro di valore (+139%).

Aiutare l’eProcurement a diventare una leva strategica per l’intera economia italiana

Rendere l’eProcurement il fulcro della gestione degli appalti della PA (soprattutto in ottica di digitalizzazione), oltre che una leva strategica per favorire la politica industriale italiana è quindi un obiettivo a portata di mano. Ma occorre un netto cambio di paradigma delle modalità d’utilizzo delle piattaforme a disposizione degli enti, a cui deve seguire anche un’evoluzione dei rapporti che intercorrono tra le stazioni appaltanti e gli operatori all’interno di una filiera destinata a essere sempre più interconnessa.

Tecnologie di frontiera, approccio corretto alla creazione di processi decisionali efficienti (possibilmente basati sull’analisi dei dati generati dalle piattaforme), nuove competenze e forme inedite di partenariato con il settore privato saranno i pilastri di questo percorso di crescita.

Una spinta in questo senso dovrebbe arrivare dal programma avviato dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Agid: se correttamente implementata, l’iniziativa Smarter Italy potrebbe imprimere un deciso cambio di passo nel processo evolutivo che stanno affrontando PA e mercato, permettendo agli operatori di individuare con sempre maggiore chiarezza le effettive esigenze delle pubbliche amministrazioni e soprattutto consentendo loro di fornire soluzioni che rappresentino – anche in prospettiva – risposte concrete su un fronte in continua trasformazione come è quello degli appalti innovativi.

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