REPORTAGE

Digital Marketing, è tempo di una “nuova” relazione tra brand e persone, basata su experience (e dati)

Gli utenti cercano esperienze personali e gratificanti; i brand dovrebbero quindi pensare di più alle relazioni e meno alle transazioni, sfruttando l’analisi dei dati per sviluppare migliori customer experience. Sono i messaggi della MailUp Marketing Conference, che ha riunito a Milano esperti italiani ed internazionali di marketing digitale

Pubblicato il 20 Dic 2017

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Un’intera giornata dedicata al Digital Marketing con 400 partecipanti, 18 speaker, 4 keynote speech e 3 panel per comprendere come gli strumenti digitali abbiano contribuito a ridefinire il rapporto tra brand e clienti. Sono i numeri che hanno caratterizzato la MailUp Marketing Conference all’interno della quale tornano ad essere protagonisti gli utenti: «le persone devono essere il punto focale delle strategie di Marketing guidate ed ispirate dalla customer experience, immersiva, personalizzata, contestualizzata, di qualità», è la visione espressa dal numero uno di MailUp, il General Manager Luca Azzali.

«È per questo che parlare di eMail Marketing oggi risulta obsoleto; noi puntiamo al Messaging con un’attenzione mirata alla personalizzazione dei contenuti e all’utilizzo efficace dei nuovi canali media», spiega Stefano Branduardi, Direttore Marketing di MailUp. «Campagne rilevanti e personalizzate di Messaging su tutti i canali disponibili, questo è il futuro di MailUp».

Customer experience omnicanale e guidata dai dati

Una visione che trova conferma nelle attuali dinamiche di mercato, presentate al pubblico della conferenza milanese da Marta Valsecchi, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience, prima ospite a salire sul palco con l’obiettivo di aiutare meglio a capire la differenza tra multicanalità e omnicanalità: «nel primo caso parliamo di differenti canali di contatto e acquisto tra i quali un utente può scegliere, immaginandoli come una sequenza orizzontale di possibilità; nel secondo caso parliamo ancora di differenti canali ma non più lungo un asse orizzontale bensì tutti intorno alla persona che li utilizza – anche simultaneamente – durante l’intero processo di acquisto o interazione con un brand».

«Se gli italiani che utilizzano internet in una o più fasi del processo di acquisto sono 31,7 milioni (il 60% degli over 14), gli everywhere shopper (quelli che utilizzano più canali, anche contemporaneamente) sono 6,3 milioni, in crescita del 14% rispetto al 2016», sono le evidenze dell’Osservatorio che Valsecchi offre al pubblico della MailUp Conference. «In questo contesto, l’omnicanalità diventa il pilastro fondante della Customer Experience. Gli utenti oggi cercano esperienze personali e gratificanti ma le aziende ancora non sono preparate a gestire efficacemente un processo di Omnichannel Customer Experience, che si compone di dati, insight ed execution. La visione dev’essere quella di mettere il consumatore al centro (raccogliendo i dati utili a conoscerlo e trasformandoli in insight per il processo decisionale) e di integrare i touchpoint (l’execution) per garantire alle persone un’esperienza coerente, consistente e appagante anche spostandosi da un canale all’altro».

Secondo i dati presentati da Valsecchi, un’azienda italiana su tre non riesce a mappare i customer journey e sono pochissime le aziende che riescono ad integrare i dati raccolti (solo il 10% ha fatto passi significativi verso l’omnicanalità). «Eppure è proprio dalla comprensione dei customer journey che dipende il successo delle strategie di marketing», è il monito di Gabriella Crafa, Head of Digital Practice Area di Focus Management. «I dati rappresentano in quest’ottica il carburante di strategia e creatività, è fondamentale riuscire ad utilizzarli ed analizzarli al meglio».

Qualunque strategia deve partire da obiettivi specifici, misurabili e legati a una temporalità. Poi si definiscono le tattiche tenendo conto di quelli che sono i pilastri di un marketing data-driven: cliente al centro, persone e organizzazione, mindset e commitment, tech&data.

«Da obiettivi di business realizzabili e misurabili derivano tattiche e strategie ma di base serve un pensiero creativo basato sul “processo prototipale continuo”, un po’ secondo la logica try&fail tipica delle startup», ribadisce Crafa.

Anche la creatività ha bisogno dei numeri

«Nonostante ci sia grande focus sulle persone “al centro” a mio avviso stiamo correndo il rischio di dimenticarlo l’utente». Apre così il suo intervento il noto Chief Creative Officer di Ogilvy & Mather Italia, Paolo Iabichino. «I Big Data creano una fenomenologia preoccupante ma non devono depotenziare la creatività. Dobbiamo stare molto attenti a non dimenticare le persone anche se, nel bene e nel male… sono i numeri a fare la differenza. Anche nella creatività e nell’uso delle parole».

Significative, a tal proposito, le sue parole e riflessioni sul connubio creatività-dati: «sono i numeri a guidare oggi le relazioni tra le cose, tra le cose e le persone, tra le cose e le città, tra le cose e le istituzioni, tra le cose e le aziende, tra le cose e le società. Sono i numeri a fare la differenza, nel bene e nel male. E può sembrare strano che a dirlo sia uno che ha sempre usato le parole nella creatività, ma ho scoperto con il tempo che i numeri oggi possono arrivare a guidare anche la produzione delle nostre idee».

L’atteggiamento non dev’essere quello di guadagnare informazioni, «ma quello dell’ascolto per cogliere una tensione culturale, soprattutto verso i Millennials che vogliono relazionarsi con i brand solo e unicamente per ciò che serve loro o desiderano», prosegue Iabichino. «Incrociare i dati, analizzare i numeri e studiare il comportamento degli utenti dev’essere finalizzato ad un obiettivo unico: parlare alle persone in modo diverso. Sarà questo a fare la differenza».

Visione che trova conferma anche negli interventi degli speaker internazionali, Alex Hunter, Former Head of Online Marketing di Virgin Group e Jordie van Rijn, eMail and Marketing Automation Consultant di EmailMonday.

«Brand e consumatori sono drammaticamente cambiati – è quanto esprime Hunter -. Creare emozioni, questo serve per posizionare un brand o vendere un prodotto oggi: le aziende migliori sono quelle che investono nella relazione con il cliente, non nella transazione. Instaurando una relazione, le persone si attaccano al brand e non saranno poi disposte ad avere un sostituto di quel marchio».

La relazione va costruita attraverso messaggi personalizzati, contestualizzati, di qualità e in linea con le aspettative, i bisogni e le caratteristiche peculiari di ciascuna persona che un brand intende raggiungere. «Sparare nel mucchio con messaggi tutti identici non serve più a nulla – è il monito conclusivo di van Rijn -. Serve focalizzarsi sull’intensità del messaggio (non solo inteso come frequenza di inoltro ma anche come sua capacità di comunicare, interessare, ingaggiare le persone cui è rivolto), sull’ottimizzazione delle attività e sull’intelligence (ossia sull’uso sapiente dei dati)».

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