Nel 2021 i top retailer italiani hanno aumentato gli investimenti sul digitale per migliorare la propria offerta nell’ottica di una dimensione non più soltanto di tipo omnicanale, ma fondata sull’omni-experience. Quest’ultimo è un concetto con il quale l’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail del Politecnico di Milano identifica il tentativo di superare tradizionali dicotomie che caratterizzano il comparto quali, ad esempio, quella tra negozio fisico ed e-commerce o tra back-end e front-end.
La parola chiave per riuscire in questo intento è integrazione, come ben sanno quelle realtà che affiancano le aziende che operano nel Retail per aiutarle nei loro percorsi di innovazione, come SDG Group. Tra i clienti che costellano la sua nutrita galassia si trovano infatti alcuni dei nomi più importanti del Fashion e del Luxury. Matteo Verdari, Partner e Head of General Business di SDG Group, insieme a Paolo Cavagnini, Partner e Head of Fashion & Retail del medesimo gruppo, spiegano perché al cuore di qualsiasi processo di integrazione vadano posti i dati e come ottenere dei risultati tangibili attraverso un mix di consulenza, competenze multidisciplinari e soluzioni tecnologiche ad hoc.
Integrare i dati di tutti i punti vendita
Non stupisce che l’integrazione dei dati, per quei brand che dispongono di negozi monomarca, sia ormai un fatto acquisito. Rappresenta invece una novità la tendenza «a integrare i dati dei wholesaler, dei punti vendita non appartenenti alla propria rete o di marketplace online come Farfetch all’interno delle proprie analisi – esordisce Verdari –. Avere i dati a disposizione dai player sia online sia offline è diventata una priorità per consolidare all’interno di un’unica visione tutto il volume di vendita inteso come posizionamento sul mercato finale». E che sia una vera e propria rivoluzione, lo sottolinea Cavagnini: «Il dato ha cambiato completamente la metodologia con la quale le aziende si propongono. Se prima potevano essere passive, adesso sono diventate attive anche nei confronti dei negozi non di proprietà, ma che vengono gestiti come se lo fossero. L’integrazione, grazie al dato, sta trasformando la prospettiva e la percezione che un prodotto può avere rispetto al contesto in cui si trova». Un conto infatti è tracciare i consumer behavior riferiti a un capo d’abbigliamento esposto insieme ad altri in una boutique monomarca, un altro è riuscire a ottenere dei feedback da quei negozi in cui le firme sono in competizione tra di loro. Si tratta di un’integrazione a valle che non è l’unica resa oggi possibile tramite l’analisi aggregata dei dati di svariati punti vendita offline e online.
Il nuovo ruolo del terzista in una filiera integrata
«Oltre a questa integrazione a valle – continua Verdari –, negli ultimi anni si è assistito a un’accelerazione in parte dovuta alla pandemia e al fenomeno del reshoring (rientro in Italia di attività produttive in precedenza delocalizzate nei paesi asiatici e in quelli dell’Est Europa, ndr) sul fronte dell’integrazione dei dati anche nella catena logistica o di supply chain. I produttori, che si appoggiano a un network di terzisti e di laboratori di altissima qualità presenti sul territorio italiano, vogliono controllare l’avanzamento nella filiera, soprattutto per cercare di anticipare problematiche di capacity o scarcity».
Who's Who
Matteo Verdari
È dall’integrazione dei dati anche su questo versante che si può ricavare una visibilità end-to-end derivante da un nuovo ruolo svolto dai vari attori della catena di approvvigionamento, altrettanti snodi informativi in vista di una pianificazione che vada oltre la classica stagionalità tipica del settore. Con conseguenze che incidono profondamente sul modello di business e perfino sul piano finanziario che «esce dal board e arriva in fabbrica» evidenzia Cavagnini, rimarcando come la gestione del contoterzista integrato all’interno di una filiera estesa debba coincidere con una forma di ingaggio che non può più limitarsi al fabbisogno immediato: «Il terzista oggi deve entrare nel piano finanziario non come costo, ma come opportunità di business, per allocare capacità produttiva in un arco temporale lungo».
Who's Who
Paolo Cavagnini
Fashion & Retail Analytics: le applicazioni per ottimizzare stock e produzione
Tra le applicazioni che SDG Group sta proponendo alle aziende del Fashion & Retail una affronta il tema dell’Allocation & Replenishment «che ha l’obiettivo di ottimizzare la distribuzione dei prodotti e di allocarli al meglio dove è più probabile che vengano venduti – dice Matteo Verdari –. E questo viene fatto tramite una serie di algoritmi in funzione di alcuni parametri di stock ideali e di KPI che servono a movimentare la merce nei diversi nodi della rete: dalla produzione al magazzino centrale fino ai singoli negozi». L’altra applicazione si focalizza sulla previsione del lancio a lungo termine di prodotti che possono essere continuativi, in maniera tale non solo di migliorare lo stock, ma anche di offrire visibilità alla fabbrica così da rispondere adeguatamente con i giusti lead time e da minimizzare investimenti e capitale circolante.
Entrambe sono applicazioni «supervisionate – tiene a precisare Verdari –, nel senso che non sono delle black box in cui tutto è demandato all’artificial intelligence, ma suggeriscono alcune soluzioni che un essere umano poi è chiamato ad approvare o rettificare». Questa visione, fortemente ancorata al dato ma che non delega agli algoritmi di machine learning i processi decisionali, è probabilmente sia lo scoglio sia il need di molte delle aziende Fashion & Retail contemporanee. Rappresenta lo scoglio perché molti profili manageriali interni alle organizzazioni non posseggono quelle competenze necessarie a considerare il dato come fonte oggettiva su cui basare il proprio lavoro, ma è anche il need perché «il fabbisogno di integrazione di competenze, di best practice, di analisi che vengono da fuori è una delle migliori occasioni per posizionarci sui clienti mettendo assieme componenti tecnico-funzionali e realizzandole concretamente tramite applicazioni che non trovano risposte all’interno delle aziende» chiarisce Verdari.
Integrated Business Planning, una best practice
«Il dato è oggettivo e questo è il suo valore aggiunto» afferma in chiusura Paolo Cavagnini, ricordando che la figura del Data Scientist fino a qualche anno fa era sconosciuta ai più. Così come era del tutto assente la best practice su cui SDG Group punta a distinguersi nel panorama delle società di consulenza specializzate nel campo degli Advanced Analytics. Si chiama Integrated Business Planning ed è il tentativo di raggruppare tutti i tasselli di una macro-pianificazione integrata legando i punti di contatto dei singoli processi di pianificazione. In pratica, una sorta di “patchwork” che può richiedere anche anni di sviluppo, però avendo un disegno che contempla tutti questi processi ed è in grado a priori di delineare quali sono gli impatti a monte e a valle di ciascuno di essi. «In genere ogni dipartimento ha il suo budget – conclude Cavagnini –, il Finance, l’ufficio vendite, la fabbrica e gli altri dipartimenti. La nostra idea di business plan integrato cerca di evitare tutto questo, poiché ha come obiettivo quello di creare un filo conduttore di tutti i processi all’insegna del dato. Non è un concetto astratto, ma si traduce nel supportare le aziende con progetti in cui l’infrastruttura permette di lavorare in modo sincrono e armonico».