Intervista

Neuroeconomia, lo stretto legame tra la razionalità e le emozioni

La neuroeconomia combina la ricerca dalle neuroscienze, l’economia sperimentale e comportamentale e la psicologia cognitiva e sociale per spiegare le decisioni prese dall’uomo in ambito economico. A colloquio con Gaetano Fausto Esposito, DG del “Centro Studi G. Tagliacarne” e Gianandrea Abbate, CEO Emotional Marketing sul forte intreccio che esiste tra il pensiero economico e le emozioni

Pubblicato il 24 Mar 2022

Fabrizio Bellavista

Membro dell'area Digital Marketing dell'AISM e partner Emotional Marketing Lab

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A differenza di quello che generalmente si pensa, già da metà del 1600 l’economia aveva uno stretto legame con la psicologia. Iniziando da Adam Smith che scrisse un importante testo che descriveva i principi psicologici del comportamento individuale e Jeremy Bentham che scrisse estesamente sulle basi psicologiche dell’utilità.

Dopo seguì un lungo periodo in cui la maggior parte degli economisti (ma non tutti, Vilfredo Pareto e John Maynard Keynes, per esempio, non erano allineati) iniziarono a distanziarsi dalla psicologia all’interno dell’economia neoclassica, sviluppando il concetto di homo economicus – e la psicologia di questa entità fu fondamentalmente razionale.

Durante gli anni Sessanta, la psicologia cognitiva iniziò a descrivere la mente come strumento per l’elaborazione di informazioni. Gli psicologi di questo campo, tra gli altri Ward Edwards, Amos Tversky e Daniel Kahneman, iniziarono a paragonare i loro modelli cognitivi del processo decisionale (soggetto a rischio o incertezza), con i modelli economici del comportamento razionale.

Neuroeconomia: razionalità ed emozioni

In occasione della 27 edizione della “Brain Awareness Week” – dal 14 al 20 marzo, abbiamo pensato di approcciare un tema così pulsante con la testimonianza di due personaggi accomunati, pur nella diversità, da una forte sensibilità verso la “messa a terra” nella realtà di tutti i giorni della coniugazione tra il pensiero economico e le emozioni: “Neuroeconomia: razionalità ed emozioni”, dunque. Con Gaetano Fausto Esposito, Economista, Docente di Economia Politica, e Direttore Generale del “Centro Studi G. Tagliacarne” e Gianandrea Abbate, Ricercatore, Divulgatore e CEO Emotional Marketing.

Quale è la motivazione personale che vi ha portato verso questo tema, ancora oggi fonte di acceso dibattito?

GF. Esposito. «Ho cominciato ad occuparmi di economia reale a metà degli anni Ottanta. In quel periodo eravamo dal punto di vista teorico in piena crisi del modello keynesiano che sembrava non riuscire a dare più una risposta ai grandi problemi della inflazione e della contemporanea disoccupazione. L’edificio keynesiano era sotto l’attacco della teoria monetarista di Milton Friedman che puntava a riprendere l’approccio economico neoclassico. Uno dei primi temi di cui mi occupai era quello dei sistemi locali di piccola impresa dei cosiddetti distretti industriali. Leggendo Giacomo Becattini, lo studioso che insieme a Sebastiano Brusco ha più approfondito questo tema, mi resi conto che per spiegare queste aggregazioni di impresa e i loro comportamenti bisognava studiare insieme economia e società perché il distretto industriale era un fenomeno socio-economico. Per capire il comportamento di queste imprese occorreva mettere altre lenti che non fossero solo quelle del principio edonistico del massimo risultato con il minimo sforzo, ma serviva utilizzare variabili come la relazionalità, la fiducia, la voglia di confrontarsi e di creare, in sintesi tutta una serie di elementi che il mainstream economico dell’epoca non consideravano. Come ricercatore applicato poi facevo indagini di campo e intervistavo le imprese rendendomi conto di quanto fosse complesso l’agire imprenditoriale e di come le motivazioni personali fossero molto più vicine a quegli animal spirits di cui parlava Keynes che al conseguimento di una logica esclusiva di profitto che era alla base di modelli neoliberisti dell’epoca».

G. Abbate. «Quando ho affrontato nel 1994, uscendo da una grande multinazionale della comunicazione e marketing, il mondo delle ricerche e delle analisi sul consumatore, partendo da questa nuova angolazione ho imparato che per comunicare efficacemente ci sono alcune regole fondamentali che, se disattese, fanno andare in black out i grandi meccanismi della percezione. Avevo un grande bisogno di dare risposta ad alcune domande che accomunano molti manager: per esempio i grandi interrogativi che vertono sui meccanismi di efficacia e inefficacia della comunicazione (tra gli altri, per esempio: quali sono i grandi meccanismi di base dell’inconscio collettivo? Come si attivano i processi per il successo empatico di una strategia/comunicazione? Qual è la decodifica profonda dei segni comunicazionali nell’inconscio collettivo?). La mia ambizione era il poter dare una risposta il più possibile esatta – e ci tengo a sottolineare il più possibile – a questo passaggio nevralgico del mercato proiettato nel III millennio».

L’emergere dell’emozionalità, questo grande iceberg di cui si percepiva (e ancor oggi si percepisce) solo una piccola parte, ha scompigliato certezze consolidate riguardo l’atteggiamento dell’uomo economico ma ha anche creato nuove opportunità di sviluppo umano e commerciale.

GF. Esposito. «Come ho accennato buona parte dell’impostazione economica moderna, spesso in maniera implicita (e quindi ancora più pericolosa) basa le sue predizioni sulla teoria della scelta razionale, secondo la quale l’individuo (isolato) prende le sue decisioni massimizzando la propria utilità.

Sempre più frequentemente le predizioni dell’economia si sono dimostrate in contrasto con i comportamenti reali. E allora se la teoria non spiega la realtà serve cambiare le teorie. La lezione dell’economia comportamentale e di quella sperimentale, che ha utilizzato tecniche di tipo psicologico, dimostra che ci può essere una nozione di auto interesse che incorpora fattori non semplicemente riconducibili ad aspetti di massimizzazione. Il soddisfacimento di determinati bisogni in altri termini è frutto di una interazione della persona sia con sé stessa (ossia con i suoi valori e credenze) che con gli altri, secondo quei principi di socialità già evidenziati da Aristotele nella “Politica”, quando definiva l’uomo un animale sociale.

L’economia comportamentale analizza i comportamenti della persona (intesa in senso pieno come essere umano, inserita in un ordine simbolico di rappresentazioni e di pratiche rituali) in situazione di interazione con altri (l’interazione strategica). E proprio l’interazione comporta la necessità di considerare ad esempio i processi fiduciari che sono uno degli aspetti più interessanti di comprensione dell’economia».

G. Abbate. «Sì, è esatto. Semplificando al massimo si può dire che il lato destro del cervello controlla la creatività/emotività e quello sinistro la logica (questa suddivisione tra le varie funzioni non deve condurre, però, a conclusioni fuorvianti: normalmente l’attività dei due emisferi è coordinata grazie al continuo scambio di informazioni che avviene attraverso il corpo calloso, l’elemento che li collega). Restando in quest’ambito di sintesi, il neuroscienziato e Premio Nobel 1981 per la medicina, Roger W. Sperry, affermava: La società ha un atteggiamento discriminante nei confronti dell’emisfero destro”.

Sempre negli anni Ottanta, Hiroyuki Itami parlando di Invisible Assets, pose una pietra miliare nelle analisi di mercato ove l’immaterialità – in un dialogo continuo con la razionalità – prende la sua giusta collocazione; a questo riguardo aggiungo questo spunto: “Il consumatore compra emozioni, non solo materia: un marchio senza emozioni è solo merce”. All’interno di queste poche parole si trova sintetizzata la storia del marketing e della comunicazione moderna ove, la conoscenza della psicologia e delle funzioni cerebrali, si delineano per quello che sono: indispensabili».

In chiusura veniamo alle possibili ricette applicate ai due fronti considerati: economia politica da una parte e comunicazione economico-commerciale dall’altra. La differente provenienza di Esposito ed Abbate ci permettono di avere un sintetico feed back a 360 gradi, di semplice comprensione ma anche aperto a possibili approfondimenti futuri.

GF. Esposito. «E’ Platone (più di due millenni fa!) nella “Repubblica” a parlare per la prima volta del thymos come di quella parte dell’anima sede dell’identità, sottolineando la necessità delle persone di essere riconosciute, entrando in empatia con gli altri. Emozionalità e riconoscimento si collegano, si amplia lo spettro all’analisi delle passioni che rappresentò uno dei fulcri del pensiero di Hume (nel “Trattato sulla natura umana”): la ragione non può mai essere l’unico movente dell’azione e non può opporsi alla passione. Riconoscimento e bisogno di approvazione sono alla base anche del pensiero di Adam Smith. Smith? Quello della mano invisibile del mercato e della retorica dell’egoismo auto-interessato? Si proprio lui, ma si tratta dello Smith dei “Teoria dei sentimenti morali”, la sua opera di filosofia morale, quando sottolinea che i comportamenti umani sono come sottoposti al giudizio di un osservatore (terzo) che è in noi e rispondono al nostro bisogno di approvazione. Simpatia, empatia, necessità di approvazione, portano allo svilupparsi di nessi fiduciari che recuperano i valori di emozionalità analizzati con le tecniche di neuroimaging della neuroeconomia.

Ne viene fuori la necessità di un capitalismo più umano e più umanizzato, un capitalismo che ha il suo fulcro sempre nel mercato, ma concepito come luogo di incontro e di interazione anche di passioni e nessi fiduciari, oltre che di interessi!

Ma allora c’è da chiedersi se oggi, anche per trovare applicazioni concrete di questi concetti, non valga la pena recuperare gli insegnamenti della filosofia della socialità umana, declinandoli in politiche che favoriscano questi comportamenti con policy in grado di stimolarli, per superare l’assunto dell’homo economicus che è sempre più una sbiadita figura mitologica. Del resto secondo Philip Kotler, che viene unanimemente riconosciuto come il padre della moderna teoria del marketing, gli economisti hanno molto da apprendere proprio dagli studi sul marketing».

G. Abbate. «Il nostro orientamento è stato sin dall’inizio (1996) molto chiaro e determinato, pur in un mercato poco propenso, allora, a comprendere quello che si intendeva per “emozionalità” al di fuori dell’ambito personale: utilizzare un algoritmo emotivo, frutto di intelligenza artificiale che analizza scientificamente l’emotività, decriptandone l’“emotional engineering” e i processi di codificazione subliminale, con evidenti vantaggi sia per chi produce prodotti/servizi (più chiarezza sui desiderata profondi dei propri clienti e conseguenti migliori risultati generali) sia anche per il consumatore (che sente di essere parte di un progetto attraverso una comunicazione coinvolgente con meno “rumore di fondo” dunque più ecologica per i propri percorsi cognitivi).

“Significati” e “significanti”, “cosa” e “come” comunicare sono le due forze che in sinergia agiscono sull’efficacia di una comunicazione: la scuola di pensiero “Lacaniana” attribuisce persino più peso ai significanti rispetto ai significati, utilizzando un approccio puramente immaginifico per costruire una comunicazione davvero efficace e più in linea con il benessere del consumatore, in una egida legata al “nudging”, dunque».

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