Innovazione strategica

Innovazione sociale e tecnologica, L’etica è utopia? No, è un asset super strategico

La Silicon Valley ha perso il suo carisma propulsore? Economia civile, human marketing, inclusione ed etica digitale cambiano le frontiere del viaggio verso un Neo Umanesimo Digitale. Il parere di un pool di cinque super esperti della materia dell’innovazione sociale e tecnologica

Pubblicato il 20 Gen 2023

Innovazione sociale e tecnologica

Possiamo dire che la Silicon Valley ha perso gran parte del suo carisma propulsore? E che la classe dirigente delle Digital Company non ha saputo gestire il velocissimo cambiamento delle proprie organizzazioni ma soprattutto non è stato in grado di dare risposte concrete alla società civile che chiedeva trasparenza e compartecipazione? Lo abbiamo chiesto a un pool di cinque esperti, presenti da decenni sulle scene dell’innovazione sociale e tecnologica globale, attenti all’evoluzione e ai cambiamenti, non solo materiali, portati dall’innovazione IT.

Innovazione sociale e tecnologica, tutelare (meglio) la proprietà dei dati decentralizzando

«La Silicon Valley è un vecchio mito – esordisce Massimo Giordani, Presidente di AISM, l’Associazione Italiana Sviluppo Marketing –. Ci serviamo spesso di questo titolo volutamente provocatorio che nasce da una serie di riflessioni legate agli sviluppi di questi ultimi anni, all’evoluzione dei mondi virtuali, dei multiversi, ma anche di tutta l’area social in senso allargato. Un tipo di cultura che si è intrecciata pesantemente con problematiche di tipo etico, tema divenuto di massima attualità ai giorni nostri. Oggi viviamo una situazione molto particolare, in cui quelli che ieri erano nerd che sperimentavano nei loro garage oggi sono diventati i padroni delle multinazionali che controllano quantità immense di dati. Questo salto è giunto cogliendo di sorpresa prima di tutto loro stessi. Inevitabilmente, la governance di questo meraviglioso sogno è diventata sempre più complessa e portatrice di nuove problematiche legate al potere dei dati. Pur essendoci state, agli inizi dell’era social, le migliori intenzioni, indubbiamente ai nostri giorni si aprono problematiche etiche di straordinaria importanza. Mi sembra utile ricordare, a questo punto, che la pubblicazione di contenuti da parte di tutti noi, utenti prosumer, è sicuramente fonte di reddito per la piattaforma che li accoglie, ma non lo è per gli autori che, generalmente, possono avere solo benefici indiretti derivanti dalla soddisfazione di avere qualche “like”».

«A parte, naturalmente, il caso di alcuni influencer che riescono a fare di tutto ciò un business e comunque sono davvero pochi in rapporto al numero complessivo di utenti del web. Quello che mi domando, però, è: c’è un modo per migliorare questa situazione? Sì, se si va nella direzione delle istanze del primo World Wide Web. Quello di Tim Berners Lee, in cui valori come condivisione e interazione erano fondanti. Dunque, è necessario un cambio di visione e le tecnologie decentralizzate, come i fediversi, e distribuite, come la Blockchain, possono esserne il motore principale. Ci sono le condizioni affinché questa situazione di oligopolio nella gestione dei dati si modifichi radicalmente. Concretamente, i Social Media decentralizzati e distribuiti, così come ogni piattaforma fondata su queste tecnologie, possono dare agli utenti del web il pieno controllo e la proprietà dei dati. Il crescente dibattito sulla (in)sostenibilità dell’enorme potere che poche mega piattaforme social hanno, disponendo dei dati comportamentali di miliardi di utenti, può trovare soluzione, come ho già detto, soprattutto nella diffusione di piattaforme di nuova generazione, senza un controllo centralizzato. Ciò avrà un impatto dirompente anche sul settore della pubblicità online e cambierà le regole del gioco in modo profondo. Naturalmente, tutto ciò a condizione che gli utenti prendano coscienza della situazione, del valore dei loro dati personali e della necessità di una svolta decisa verso il Web 3.0 che è già pronto per essere utilizzato. Dobbiamo solo imparare a conoscerlo».

Dalla Smart City alla Data Driven City abbracciando l’ottica dell’ecosistema

«Il focus che oggi dobbiamo porre – commenta Layla Pavone, Innnovation Technology and Digital Transformation Board del Comune di Milano – è sulle responsabilità e sui doveri di chi fa innovazione ed anche sui diritti e sulle responsabilità che ogni cittadino deve poter esercitare quando fruisce delle tecnologie e quando agisce nella società digitale. Il cambiamento a cui stiamo assistendo richiede una chiara definizione delle regole che devono essere comunemente accettate e condivise, anche attraverso la collaborazione con le grandi piattaforme di aggregazione dei Big Digital Player, affinché la società digitale possa progredire nel rispetto del prossimo. Si rende sempre più necessaria la condivisione di regole di convivenza democratica, che portino la massima attenzione alla responsabilità civile anche nel mondo digitale. Le crisi susseguitesi negli ultimi due anni sono state l’artefice della più grande accelerazione globale in termini di innovazione e di digitalizzazione rispetto a tutta la storia dell’uomo. Sia dal punto di vista sociale che da quello economico, il digitale ha rappresentato un sostegno concreto».

«Al contempo, però, ha evidenziato chiaramente tutti gli svantaggi causati da chi non ha avuto la possibilità di accedervi in maniera completa e costante, rendendoci maggiormente consapevoli che il digital divide fisico e culturale è ancora oggi un problema da risolvere. Pertanto, è fondamentale il diritto all’accesso universale e paritario a Internet unitamente all’alfabetizzazione digitale. Anche riguardo l’inclusione digitale, ci sono passi importanti che ci attendono. Tutti dovrebbero avere accesso a Internet e ai servizi digitali a prezzi accessibili a parità di condizioni, nonché le competenze digitali per utilizzare questo accesso e superare il divario digitale, altrimenti tutti i proclami di eticità risulterebbero vani. L’innovazione deve essere uno strumento sul quale i cittadini più deboli possano sempre contare come aiuto concreto per poter vivere la città pienamente. Questo significa che dobbiamo far sì che per loro la tecnologia sia diversamente abile, vale a dire più performante e più innovativa, spingendoci oltre i limiti degli sviluppi e delle applicazioni ordinarie. I nostri cittadini sono preziosi perché ci aiuteranno ad evolverci e a far evolvere la città, quelle stesse città per le quali è utile una visione di ecosistema, andando verso una nuova configurazione di Data Driven City, superando il concetto di smart city».

Coniugare etica ed economia attraverso approcci che abbinano innovazione e tradizione

«L’economia civile – si interroga Gaetano Fausto Esposito, Docente di Economia Politica e Direttore Generale del Centro Studi Tagliacarne – ha un nesso con l’economia digitale? Per rispondere alla domanda occorre considerare l’aspetto etico. Etica ed economia non sono mondi separati. Friedman, padre dell’approccio neo liberista, sosteneva che l’unico obiettivo dell’impresa è quello di fare business. Una visione che ha dominato per parecchio tempo, facendo dimenticare l’apporto dell’etica. Ricordiamo che l’etica fa riferimento a una serie di valori. Riguarda lo studio in riferimento alla salute sociale, mentre il rapporto tra etica e politica risale ad Aristotele. L’economia deve rimandare alla necessità delle persone di socializzare ed è alla base della cultura umanistica. Humanitas e fides sono alla base di un’economia civile. Se humanitas significa socialità, fides rimanda all’avere fiducia. Il mondo dei social dovrebbe mettere al centro il valore della fiducia. Ma il mondo dei social più che puntare alla qualità, presta attenzione alla quantità. Viene così meno il concetto di eticità e, dunque, di condivisione: conta più il mercato che il valore della fiducia. Occorre allora formulare un umanesimo digitale. Antonio Genovesi, padre dell’economia civile, può essere un interessante punto di riferimento nei confronti dell’attuale processo di iper-digitalizzazione. Proviamo a giocare agli acronimi: Etica così diventa: ‘E’ come Equità, ‘T’ come Transculturalità, ‘I’ come Inclusività, ‘C’ come Condivisione, ‘A’ come Apertura. Il futuro? Prestare attenzione alle mistificazioni, all’ammantarsi di valori etici che non si realizzano. Importante è il rilancio di un approccio transculturale, coniugando l’innovazione, i valori e i saperi della tradizione. La nuova modernità delle interconnessioni digitali richiama valori universali e, quindi, un’etica che però affonda le sue radici nella storia del pensiero economico e filosofico. I principi del buon vivere fanno sempre più parte di una concezione economica che si fonda sul ruolo della persona nelle sue relazioni con gli altri. Quindi, l’etica non è qualcosa di integrativo, bensì è pienamente inserita nel processo di produzione».

Innovazione sociale e tecnologica, bisogna tornare ai valori di democrazia e condivisione

«Quello che è venuto clamorosamente a mancare, nei nostri giorni, a tutto il digital world – osserva Fabrizio Bellavista, Partner di Emotional Marketing Lab – è un“sistema creativo e valoriale composito” . Un sistema che agli inizi ha offerto una narrazione dai toni mitici, che ne ha fatto il miracolo anche mediatico che ben conosciamo. Per esempio, riguardo al logo Apple, molti pensano che Steve Jobs si sia ispirato al marchio dei Beatles, ma non è così. Il logo si riferisce alla mela carica di cianuro che Alan Turing addentò per suicidarsi, lo stesso Turing che fu uno dei primi punti di riferimento dell’Intelligenza Artificiale. All’inizio dell’onda digitale, parliamo degli anni ‘60/‘70, la Silicon Valley cominciava ad acquistare una propria identità, grazie a un melting pot unico in un’area molto circoscritta ove si condivise una vastissima serie di culture e valori. Alla importante area industriale del silicio che risaliva agli anni ’30, già arricchita dall’arrivo di molti centri di sperimentazione (si va da Hewlett-Packard sino a Stanford Research Park), si coniugò un incredibile tessuto tecno-culturale rappresentato dalla Beat Generation, dall’esordio di Internet (1969, tre hub su quattro erano posizionati in California), dalla cultura hippy di San Francisco con, nel ’67, il primo grande raduno rock della storia, Monterey Pop».

«Simultaneamente, si affermarono le Scuola di Psicologia di Palo Alto, della PNL e anche della community letteraria di Henry Miller a Big Sure. Molte figure determinanti, oltre alle più note, contribuirono a tessere una fantastica rete di connessioni tecno-umane. Tra queste, ricordo solo Stewart Brand che con il suo Whole Earth Catalog del 1968 creò molto di più di una rivista, un vero e proprio modus pensandi, sintetizzabile con il claim “computer e comunità”. Ebbene, tutti questi eventi e le relative contaminazioni contribuirono, insieme ai miracoli tecnologici che continuamente venivano sfornati, a creare un vero racconto mitologico che entrò in poco tempo nell’immaginario collettivo. Tutto questo enorme valore, che in termini economici rappresenta il 20% del PIL US), sta perdendo potenza ideale di fronte a numerosi bug che si stanno manifestando. Questo sfaldamento è il risultato di un progressivo allontanamento dalle promesse iniziali di attenzione all’utente, di maggiore democrazia e soprattutto di condivisione».

«In qualche maniera – conclude Stefano Lazzari, Metaverse Ambassador e Co-Founder di DigitalGuys –, il mondo virtuale è il collettore di tante istanze che, sostanzialmente, hanno a che fare con l’etica, la proprietà e l’individuo. L’etica probabilmente sarà la sfida più importante da affrontare nei prossimi anni. Banalmente, l’aspetto etico che ha a che fare con la proprietà, perché si intende noi che siamo i soggetti ma anche creator che producono contenuti per i social. Quando firmiamo il nostro contratto con le piattaforme social, non facciamo altro che abbandonare in parte o in toto la proprietà nei confronti di chi ci offre un servizio. Questo ha generato una sorta di autorità del codice, che da una parte ci permette di utilizzare i suoi strumenti ma in cambio vuole i nostri contenuti e i nostri dati. Abbiamo potuto vedere tutti quali sono le conseguenze di questo principio, nato nella più cristallina idea democratica agli inizi e che poi, col tempo, il mercato ha influenzato e ha in parte snaturato».

«Per quanto riguarda il Metaverso, chi ha avuto modo di essere in Second Life dall’inizio, nel 2003, sa che questo mondo è già stato sotto l’occhio dell’hype mediatico ma, ad oggi, ci sono delle differenze sostanziali. La prima è che, notoriamente, tutte le tecnologie vivono in una condizione carsica di questo tipo: partono, scompaiono per un certo periodo e riemergono successivamente. Non possiamo, poi, prendere a paradigma del Metaverso le eventuali peripezie dell’azienda Meta, perché dietro a quest’ultima ci sono tantissime altre aziende e un grande mercato che al momento sembrerebbe pronto e disponibile. Dunque, inizialmente ci saranno alti e bassi come ora, ma il suo consolidarsi nel tempo è certo. Infine, non va dimenticato l’aspetto dei diritti degli avatar. Noi tutti abbiamo un profilo social, e tante volte anche un avatar dentro un mondo 3D ai quali siamo più o meno affezionati. Immaginiamo, quindi, l’eventualità in cui un’autorità decidesse di togliercela: si cancellerebbe in un istante la nostra personomia a lungo costruita all’interno di questa realtà. Ecco perché sono convinto che arriverà un momento in cui si dovrà creare una carta dei diritti degli avatar, perché gli avatar siamo noi».

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