New Normal

Digitalizzazione e governance partecipativa, quale formula per costruire la continuità dell'impresa responsabile

Il digitale è anche possibilità di collegare tutti gli stakeholders ai luoghi e alle intelligenze dove il valore viene creato. Un’innovazione necessaria per guardare al futuro, che integra competitività e sostenibilità superando le gerarchie, e traghetta le imprese nel mondo post-Covid

Pubblicato il 19 Gen 2021

Alessandro Scaglione

Esperto di imprese familiari, fondatore di Consiliator, autore

Digitalizzazione, responsabilità sociale d’impresa e governance partecipativa sono le chiavi di volta per competere in un mondo profondamente trasformato da quella che chiamiamo “crisi globale”.

Si tratta di un ciclo pluridecennale particolarmente accidentato, all’incrocio tra il crack della finanza del 2008, la Quarta rivoluzione industriale, la trans-nazionalizzazione delle filiere globali nelle quali l’impresa opera e la pandemia Covid-19. In particolare, la Quarta rivoluzione industriale ha accelerato digitalmente la discontinuità culturale e generazionale. E la pandemia ha generato una discontinuità cognitiva nella nostra capacità di comprendere il contesto e prevederne l’evoluzione.

Competere in questi contesti significa sostenere non più la transazione economica di prodotti e servizi, ma la ben più differenziale transazione di valore e di fiducia sottostante, nel nome di un equilibrio economico e sociale per tutti gli stakeholders e per l’ecosistema nel quale l’impresa è inserita.

Il futuro dell’evoluzione non è vincere, ma con-vincere (vincere insieme), ovvero passare da una prospettiva autoreferenziale ad una prospettiva che mette l’imprenditore al pari degli stakeholders in un unico insieme al centro. Dall’io al noi, verso uno stato mentale di apertura alla partecipazione di coloro che dall’impresa sono interessati. Un rilassamento delle gerarchie (mentali, prima che organizzative) a favore di un concetto di potere autorevole e circolare piuttosto che piramidale e autoreferenziale.

Quali opportunità abbiamo, dunque, per esercitarci a rilassare i vincoli di un’imprenditorialità autoreferenziale e sviluppare un mindset ed una governance partecipativa che ci sintonizzi sulla curiosità, sulla dimensione umana del capitale che si trova nella nostra rete di stakeholders e sulla responsabilità sociale, prima che economica, che di etica e fiducia fa i verbi del presente e del futuro?

Digitalizzazione, moderno viatico alla governance partecipativa

Una certamente si chiama digitalizzazione, vera e propria sfida al potere gerarchico ed alla segregazione e dosaggio ad libitum dell’informazione (ovvero della conoscenza), con i suoi corollari di big data, industria 4.0 e blockchain.

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Per comprenderla appieno dobbiamo ricordarci che la rivoluzione digitale nasce come fuga da un secolo che ha portato l’ordine, l’immobilismo, i confini e la fissità alle estreme conseguenze. Nasce con l’obiettivo di abbattere tutti i muri a favore di un unico spazio dove tutto, dalle informazioni alle merci, sia chiamato a circolare, dove un’opinione non possa cristallizzarsi in fanatismo, dove non ci sia ossigeno per l’ignoranza. I pionieri digitali vengono dal disastro del 1900, che aveva prodotto la prima comunità umana capace di autodistruggersi, pur provenendo da ideali e valori sofisticati, ma letali sotto la guida di élites formate con attenzione, come ci ricorda Alessandro Baricco nel suo visionario The Game (Einaudi, 2018).

Il risultato della rivoluzione digitale che qui più ci interessa è la possibilità di collegare tutti gli stakeholders (dipendenti in primis, del cui contributo all’innovazione, e quindi al governo dell’impresa, impariamo un po’ alla volta a beneficiare) ai luoghi ed alle intelligenze dove il valore viene creato. La digitalizzazione consente una flessibilizzazione dei processi inimmaginabile solo fino a vent’anni fa; permette di semplificare la complessità attraverso la scienza dei dati e rende sempre più trasparenti le interdipendenze tra persone, organizzazioni e imprese.

Big data, liberalizzazione dell’informazione

Ma questa digitalizzazione – con i suoi corollari della filiera parlante o dei prodotti e servizi intelligenti che possiamo co-progettare secondo i nostri gusti o bisogni – implica due elementi. Da un lato, la liberalizzazione e la diffusione dell’informazione, dall’altro la sfumatura delle gerarchie. Perché solo persone pienamente valorizzate, che interagiscono in modo flessibile, libere il più possibile dalla divisione dei ruoli e dei compiti, possono individuare le potenzialità ed orientare le tecnologie a favore del business ed allo stesso tempo a massimizzare il contributo di tutti i convitati a produrre quell’innovazione continua che integri sempre più competitività e sostenibilità, ovvero sia con-vincente.

Abbracciare la digitalizzazione e la governance partecipativa diventa così esercizio fondamentale per rilassare quelle corde che vorremmo vibrassero al suono del comando e della stratificazione piramidale delle informazioni (e del potere che quelle informazioni abilitano), accordandole invece con quelle degli stakeholders. Non è più la gerarchia a determinare cosa occorre fare, ma la consapevolezza del potenziale passaggio dall’io al noi e del risultato da raggiungere.

Una rete di “intelligenze naturali”

Siamo capaci di mettere in rete miriadi di processori che noi stessi abbiamo inventato e abilitare quell’intelligenza che chiamiamo artificiale, e perché mai non dovremmo mettere in rete le nostre intelligenze naturali, sapendo per di più che insieme producono supervalore? La risposta è in quei vincoli di identità viscerale e autoreferenzialità, che nella digitalizzazione ci fanno intravedere una chiara minaccia al potere gerarchico ed al controllo dell’informazione che lo abilita.

Non meravigliamoci se nella classifica dei Paesi “digitali” stilata dall’IMD World Competitiveness Center in base alla predisposizione allo studio e all’adozione di tecnologie digitali l’Italia figuri tra gli ultimi in Europa. Se vogliamo allenarci a superare le nostre remore e farci portatori sani dell’alfabeto digitale, ricordiamoci banalmente che chi non digitalizza non compete.

La globalizzazione dei mercati e l’accelerazione tecnologica hanno determinato un’interconnessione dei sistemi economici, politici e sociali mai sperimentata prima. Ciò ha spazzato via i presupposti sui quali erano fioriti per oltre un secolo l’approccio e le tecniche di gestione (management) e governo (governance) delle organizzazioni, nate in un mondo molto diverso da quello attuale. Strutture che esprimono l’esercizio di un potere piramidale, autoritario e autoreferenziale che stanno già fallendo.

Superare la crisi? Serve un “nuovo passo”

Il futuro delle imprese non si giocherà tanto sui tecnicismi del business, ma su un diverso modo degli imprenditori di conoscere il mondo e di in-formarsi per trasformare in continuità di impresa le sfide e le opportunità di quella che chiamiamo “crisi globale”.

Da questa crisi non ci si deve riprendere. Non siamo scivolati e ci dobbiamo rialzare. È cambiato il terreno sul quale muoviamo i passi e dobbiamo progettare non solo nuove calzature, ma un nuovo modo di camminare. Se pensiamo di dover recuperare uno svantaggio o di dover tornare almeno al punto in cui eravamo arrivati prima, butteremo al vento l’opportunità di riscrivere le regole fino nel profondo delle nostre identità, di correggere le rotte sbagliate, di evolvere verso un nuovo punto di equilibrio. Con la governance partecipativa la diversità diventa forza, la velocità freschezza, la cultura e non il denaro il circolante dell’umanità e la responsabilità il fondamento della civiltà. In questo chi fa impresa può essere un attore formidabile e fare la differenza.

Digitalizzazione e futuro: un nuovo modo di essere “umani”

Al di là degli effetti più evidenti, ciò che definirà un nuovo scenario di contesto e di mercato saranno i cambiamenti che la crisi ha indotto nella nostra psiche, nel nostro modo di pensare, di guardare il mondo e di prendere decisioni. Di essere umani, di essere imprenditori, di essere genitori, di essere figli, di essere sociali, di essere consumatori, di essere responsabili. Come cambieremo il nostro atteggiamento nei confronti delle istituzioni, piuttosto che dell’uomo o del denaro definirà nuove categorie di comportamento, per comprendere le quali dobbiamo ampliare al massimo la nostra visione del presente come del futuro. Continuare insieme.

Perché peggio di una crisi, c’è solo il dramma di sprecarla.

Questo articolo è estratto e adattato dal libro di Alessandro Scaglione “Continuare insieme” (Guerini, 2020).

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Alessandro Scaglione
Esperto di imprese familiari, fondatore di Consiliator, autore

Alessandro Scaglione è esperto di imprese familiari, dove ha lavorato come dirigente al fianco di diversi imprenditori. Laureato in Ingegneria Gestionale, ha frequentato cum laude il master in General Management al MIP del Politecnico di Milano e dal 2018 ha creato Consiliator, società che intende diffondere un approccio distintivo al Family Business per fare scelte imprenditoriali consapevoli, creando valore e riconoscimento da parte di tutti gli stakeholders. Il suo sito è www.alessandroscaglione.com

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