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Il ROI della Customer Experience: perché l’AI è la chiave per dimostrarne il valore



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Nel marketing B2B, la CX è sempre più sotto esame. Le aziende ne riconoscono l’importanza, ma faticano a giustificarne gli investimenti. L’Intelligenza Artificiale offre strumenti concreti per misurare meglio il suo impatto e supportare le scelte strategiche

Pubblicato il 9 mag 2025



ROI della CX

Dimostrare il ROI della Customer Experience è oggi una delle sfide più importanti e complesse al tempo stesso per i leader del marketing B2B. Nonostante le aziende riconoscano da tempo il valore strategico della CX, la difficoltà nel quantificarne l’impatto economico reale continua a rallentarne l’evoluzione. È un aspetto che Pete Jacques, Principal Analyst di Forrester, ha portato alla luce in una delle puntate del podcast “What It Means”, spiegando come la chiave per affrontare questa sfida risieda proprio nell’Intelligenza Artificiale, che sta trasformando i modelli di misurazione della CX.

La sfida del ROI nella CX

Secondo Pete Jacques, Principal Analyst di Forrester, una delle principali sfide per chi guida le strategie di Customer Experience è dimostrare un ritorno sull’investimento concreto.I dati parlano chiaro: «Solo il 15% dei responsabili afferma di saper dimostrare in modo efficace l’impatto delle proprie iniziative sul business. Al contrario, il 58% riconosce di avere difficoltà in questo compito».

Questa mancanza di evidenze concrete mina la fiducia dei CEO e riduce la capacità dei team CX di ottenere budget, risorse e attenzione strategica. Non è un caso che, come mostrano anche gli studi annuali di benchmark di Forrester, la qualità complessiva della CX sia in calo, e i livelli di “customer obsession” rimangano bassi.

Il vero nodo è l’incapacità di collegare i KPI della Customer Experience — come il Net Promoter Score (NPS) o la Customer Satisfaction — ai risultati di business realmente rilevanti: ricavi, riduzione dei costi, resilienza operativa. Senza queste connessioni, i leader CX restano relegati a un ruolo marginale, percepiti più come gestori di programmi VoC (Voice of Customer) che come veri e propri driver di valore aziendale.

ROI della CX, la frammentazione del dato e il nodo della qualità

«Una delle cause principali di questa impasse è la frammentazione dei dati. Le informazioni utili alla CX — dai feedback dei clienti ai dati operativi — sono spesso sparse in diversi silos aziendali, non centralizzate e difficili da integrare». A questo si aggiungono problemi di qualità del dato: questionari mal progettati, campioni poco rappresentativi e tassi di risposta in calo rendono ancora più difficile costruire modelli affidabili.

Un altro ostacolo evidenziato da Jacques riguarda la tendenza delle aziende ad analizzare la CX in modo troppo generale. Molte organizzazioni si limitano a valutare l’esperienza cliente su scala complessiva, perdendo di vista i comportamenti dei singoli individui. È proprio a livello individuale che diventa possibile costruire modelli predittivi e identificare connessioni solide tra percezioni, azioni e risultati di business.

CX, l’Intelligenza Artificiale come abilitatore del ROI

In questo contesto, l’Intelligenza Artificiale si propone come una leva decisiva per superare i limiti strutturali della misurazione CX. Secondo Jacques, sono cinque le aree chiave in cui l’AI può generare valore concreto per i leader CX:

1. Data cleaning e validazione

Il primo step fondamentale è la pulizia e l’analisi dei dati. L’AI può automatizzare il processo di identificazione di errori, risposte incoerenti o incomplete, sostituendo il lavoro manuale degli analisti. Grazie all’accesso a grandi moli di dati storici, gli algoritmi sono in grado di identificare pattern attesi e anomalie, migliorando l’affidabilità dei dataset.

2. Individuazione di pattern nascosti

Applicazioni di Machine Learning e NLP (Natural Language Processing) aiutano a individuare correlazioni nascoste tra variabili, scoprendo insight che altrimenti sfuggirebbero. Questo tipo di analisi consente, ad esempio, di collegare una specifica inefficienza operativa a una caduta nella soddisfazione del cliente lungo un determinato journey.

3. Utilizzo di dati sintetici

Attraverso modelli generativi (GenAI), è oggi possibile simulare le reazioni di clienti “sintetici” — ovvero ipotetici — a determinati stimoli o situazioni, basandosi su demografia, esperienze passate e comportamenti simili. Questa tecnica, già utilizzata nello sviluppo prodotto, sta iniziando a trovare applicazioni anche nella CX per testare esperienze in fase di progettazione o valutare scenari alternativi.

4. Analisi del sentiment da dati non strutturati

L’analisi automatizzata del sentiment su contenuti testuali — dai social media alle survey aperte — consente di estrarre significato da grandi quantità di dati non strutturati. L’AI classifica temi ricorrenti, segnala aree critiche e fornisce indicazioni puntuali su come ottimizzare l’esperienza del cliente.

5. Modellazione predittiva per il business outcome

L’applicazione più strategica dell’AI risiede nella modellazione predittiva. Integrando survey, dati operativi e informazioni comportamentali, gli algoritmi sono in grado di prevedere l’esito di un’esperienza cliente e il suo impatto sul business. Ad esempio, se una determinata interazione call center ricorre frequentemente in situazioni che portano all’abbandono, l’AI può identificarla preventivamente come punto critico e suggerire un’azione correttiva.

Inoltre, queste analisi possono essere collegate a metriche di business come il rinnovo contrattuale, l’upsell o la fedeltà del cliente. Ma, come sottolinea Jacques, tutto ciò è possibile solo lavorando su dati individuali e in grande scala — un altro ambito in cui l’AI si rivela insostituibile.

Il valore strategico della CX: serve leadership e centralizzazione

Ottenere questi benefici richiede più di un semplice investimento tecnologico. Serve un cambio culturale e organizzativo.

«In molte organizzazioni, la frammentazione delle attività legate alla Customer Experience tra diversi reparti ostacola una governance efficace. Per superare questo limite, è essenziale centralizzare i dati, favorire la collaborazione tra team IT, marketing, vendite e Customer Service, e costruire un ecosistema integrato attorno al cliente. In questo senso la CX deve evolvere: non basta più essere “voice of the customer”. Occorre essere veri e propri business leader, capaci di guidare strategie data-driven, influenzare le priorità aziendali e dimostrare un impatto diretto sui ricavi».

Una roadmap possibile

Non è necessario partire con progetti ambiziosi e complessi. Pete Jacques suggerisce di avviare iniziative mirate, ad alto impatto ma di portata limitata. Un caso emblematico è l’ottimizzazione di una specifica journey digitale con l’obiettivo di ridurre i volumi di contatto verso il call center.

«Se grazie all’intelligenza artificiale è possibile dimostrare che la nuova esperienza ha aumentato la soddisfazione del cliente e abbattuto i costi operativi, si ottiene una “quick win” da valorizzare presso il top management. Il punto di partenza ideale consiste nella costruzione di modelli predittivi su journey ben circoscritti: anche partendo da dataset limitati, è possibile iniziare a stabilire connessioni misurabili tra Customer Experience e risultati di business, rafforzando la fiducia interna e creando le condizioni per investimenti più strutturati».

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