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L’arte di fare il CFO in una startup hi-tech: tre storie dalla Silicon Valley

Sui media leggiamo spesso i ritratti delle giovani aziende di successo, sempre concentrati però sul fondatore e sulla sua idea. Il Financial Times ha invece approfondito le insolite sfide – dalla gestione dell’IT al gap generazionale – che affrontano i responsabili Finance, intervistando quelli di Square, Stripe e Lyft

Pubblicato il 08 Giu 2016

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Delle startup di grande successo, i cosiddetti “unicorni, si parla molto sui media, anche italiani, ma spessissimo si tratta di articoli che si concentrano sul modello di business e sui fondatori: come hanno avuto l’idea, che tipi di persone sono, come vivono la loro vita quotidiana. Leggiamo invece pochissimo degli altri manager, e in particolare del CFO, il Chief Financial Officer, che spesso ha invece un ruolo letteralmente decisivo per una startup, dovendo gestire la ricerca di finanziamenti, la crescita fortissima di investimenti, risorse e personale, e nei casi più fortunati la quotazione in Borsa.

Uno dei pochi ad aver approfondito questo punto è stato il Financial Times, che qualche settimana fa ha intervistato tre CFO di startup californiane, accomunati dal fatto di essere i primi in assoluto a occupare la carica di CFO nelle rispettive aziende: Sarah Friar di Square, Will Gaybrick di Stripe, e Brian Roberts di Lyft.

Sarah Friar ricorre a una similitudine sportiva per spiegare il suo ruolo: «Sono come la settima componente di un equipaggio “otto” di canottaggio, che deve far capire agli altri cosa vuole quel pazzo del timoniere». Il timoniere pazzo in questo caso è Jack Dorsey, uno dei giovani imprenditori più universalmente famosi della Silicon Valley, fondatore e CEO sia di Square che di Twitter.

In Square, pioniera dei Mobile POS e specialista in sistemi di mobile payment, Friar lavora dal 2012, e ricopre da allora il ruolo di CFO che è stato istituito appunto al momento della sua entrata. «Ho dovuto occuparmi di cose poco abituali per un CFO, per esempio la gestione di infrastrutture informatiche, come server e database». Poi però a fine 2015 ha condotto in porto un compito estremamente tipico del suo ruolo, e cioè la quotazione in Borsa. Una vera impresa in quel periodo per una startup hi-tech. Dato il suo passato (10 anni) di manager bancaria e analista in Goldman Sachs, per Friar è stato come passare dall’altra parte della barricata: «Ormai posso dire di aver visto il processo di IPO da tutte le angolazioni possibili, e se potessi parlare alla me stessa analista finanziaria di un tempo le direi di prendere le cose con molta più pazienza e molta meno supponenza».

Una delle criticità principali del suo lavoro secondo Friar è la selezione e assunzione del personale, oltre che la sua gestione quotidiana. «Square aveva 250 persone quando sono entrata, ora siamo 1500: certamente in una banca non si cresce con questi ritmi spaventosi. Devo dedicare un’enorme parte del mio tempo alle persone e preferisco occuparmi di questi aspetti, tra cui i colloqui, alla mattina quando sono più fresca».

Il fatto di avere una donna come CFO non è strano in Square, dove due terzi del senior management è appunto femminile, ma secondo Friar il problema “gender” nel settore hi-tech, pur in via di miglioramento, è ben lontano dall’essere risolto. «Non ho mai lavorato in un ambiente così bilanciato, viceversa quando ho cominciato – come software analyst – ricordo di aver fatto parte di team in cui ero l’unica ragazza».

Molto più vario rispetto a Friar è il curriculum del CFO di Stripe, società specializzata in piattaforme di sviluppo per sistemi di digital payment, Mobile App e siti di eCommerce attualmente valutata 5 miliardi di dollari. Will Gaybrick infatti prima dell’attuale ruolo è stato sviluppatore software, analista finanziario, avvocato e imprenditore. «Adesso non riuscirei a trovare un lavoro da programmatore, è passato troppo tempo, ma almeno capisco come ragionano i programmatori, che qui a Stripe sono i professionisti più importanti: una capacità piuttosto insolita per chi si occupa di Finance».

Gaybrick è entrato in contatto con Stripe come analista di un venture capital che nel 2014 ha curato una raccolta di finanziamenti per l’azienda. «Il background nel venture capital mi è molto utile perché conosco tutti gli investitori di Stripe, che però non mi prendono troppo tempo perché sono molto grandi ma anche molto pochi». La più grande sfida per il proprio lavoro, secondo il CFO di Stripe, è la gestione del tempo: «Per entrare in un’organizzazione cresciuta così in fretta occorre imparare velocemente tantissime cose: il mio team in pratica è uno “strato di traduzione” tra le complicazioni dell’infrastruttura finanziaria e l’interfaccia semplicissima che Stripe presenta ai clienti».

Il terzo CFO sentito dal FT è Brian Roberts, 47 anni, entrato 20 mesi fa in Lyft, il principale concorrente di Uber, dopo anni di lavoro in colossi come Microsoft, Walmart e le banche Evercore e Lazard Freres. «Per me è stata la prima startup, e per Lyft sono il primo CFO. Quello che amo del mio lavoro è che va ben oltre i numeri», spiega Roberts, che è stato determinante per il salto di qualità dell’azienda. Quando è arrivato, Lyft era un concorrente di secondo piano per Uber, e aveva raccolto 350 milioni di dollari; oggi ha raccolto altri due miliardi e ha tra gli investitori il colosso dell’eCommerce cinese Ali Baba.

Una criticità del lavorare in una startup, sottolinea Roberts, è che tutto coinvolge di più sul piano personale: «I successi sono più sentiti e così anche i fallimenti: quando qualcosa non va, me la prendo di più rispetto ai lavori precedenti». Roberts sottolinea anche il salto generazionale: «L’età media qui è più simile a quella di mia figlia che alla mia, ma fino a una certa età si riesce a tenere testa con la creatività e il brainstorming».

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