RICERCHE E STUDI

Gestione del rischio di fornitura, come mettere in pratica un sistema di monitoraggio efficace

Una ricerca del Laboratorio RISE dell’Università di Brescia mappa le attitudini e la postura delle aziende italiane e rivela che sono soprattutto le PMI le realtà più vulnerabili di fronte all’eventualità del verificarsi di eventi imprevisti o, nei casi peggiori, al default dei fornitori. I suggerimenti degli esperti

Pubblicato il 16 Nov 2023

Marco Perona

Professore Ordinario di Supply Chain Management presso l'Università degli Studi di Brescia

L'articolo parla della gestione del rischio di fornitura e di come mettere in pratica un sistema di monitoraggio. Viene evidenziato che molte aziende non hanno ancora implementato un sistema di monitoraggio del rischio di fornitura, ma che l'immagine potrebbe cambiare in futuro. Viene inoltre sottolineato che le aziende che hanno sperimentato interruzioni nel passato sono più propense ad investire in un sistema di monitoraggio. Infine, vengono presentati i risultati sulla frequenza delle interruzioni e sull'adozione delle leve di prevenzione e protezione del rischio.

Viste le conseguenze profonde generate dall’imprevista interruzione delle Supply Chain, è lecito domandarsi cosa possono fare le aziende per proteggersi da questa prospettiva e in che modo mettono in pratica un piano di gestione del rischio di fornitura.

Una buona prassi di gestione del rischio di fornitura è, infatti, quella di agire attraverso azioni di:

  • Monitoraggio del rischio, volto a conoscere i principali eventi indesiderati e le loro potenziali conseguenze prima che essi si manifestino;
  • Mitigazione del rischio, ossia riduzione del rischio attraverso la prevenzione (la riduzione della probabilità di accadimento degli eventi indesiderati) e la protezione (la riduzione degli impatti che tali eventi potrebbero avere qualora accadessero);
  • Gestione del rischio, sviluppando in anticipo dei contingency plan che permettano una gestione razionale e non emergenziale degli eventuali eventi indesiderati che dovessero accadere.

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Monitoraggio del rischio di fornitura

Nel 2022 il Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia ha realizzato uno studio che, attraverso un questionario, ha raccolto dati da 147 aziende manifatturiere italiane, che hanno descritto in dettaglio 261 casi di interruzione delle forniture intervenuti negli ultimi 10 anni e le strategie di monitoraggio, mitigazione e gestione adottate.

Riguardo al monitoraggio del rischio di fornitura, il campione ha fornito la risposta indicata in figura 1. Solo 66 aziende (pari al 45% del campione complessivo) hanno un sistema di monitoraggio operativo, mentre le restanti 81 (55%) dichiarano di non averne alcuno. Tuttavia, 21 di queste 81 stanno pensando di implementare un sistema di monitoraggio, quindi l’immagine che possiamo visualizzare oggi potrebbe cambiare in maniera rilevante in futuro.

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Figura 1 – Presenza in azienda di un sistema di monitoraggio del rischio di fornitura

La figura 2 illustra il livello di adozione di questo sistema in relazione alla dimensione dell’azienda ed alla predisposizione a dedicare le risorse aziendali (in termini di spesa corrente e investimenti) alla gestione del rischio di fornitura.

Come si vede, in linea con le aspettative, la dimensione aziendale impatta in maniera decisiva sull’adozione, che è pari al 88% per le aziende grandi, mentre non arriva al 30% per quelle di dimensione micro.

Anche la maggiore predisposizione alla spesa per il rischio di fornitura è ovviamente collegata in modo rilevante alla disponibilità di un sistema di monitoraggio. Di fatto, solo il 3% delle aziende definite “sensibili” è priva di un sistema di monitoraggio e non pensa di svilupparne uno nel futuro, mentre la quota è del 60% nel caso delle aziende “risparmiatrici”.

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Figura 2 – Tasso di adozione dei sistemi di monitoraggio del rischio di fornitura in relazione alla dimensione aziendale e alla intensità di risorse dedicate alla gestione del rischio di fornitura

Tuttavia, forse l’evidenza empirica più interessante in questo ambito è quella che mette in relazione la disponibilità di un sistema di monitoraggio con l’intensità delle interruzioni sopportate nel passato, il cui risultato è presentato nella figura 3.

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Figura 3 – Tasso di adozione di un sistema di monitoraggio in relazione al numero di interruzioni di fornitura sperimentate nel passato

Come si vede molto bene, c’è una differenza secca nelle scelte operate dalle aziende che hanno sperimentato una o più interruzioni nel passato rispetto a quelle che non ne hanno mai sperimentate. Infatti, mentre il tasso di adozione dei sistemi di monitoraggio non supera il 30% delle imprese che non hanno mai sperimentato interruzioni, tale tasso è più che doppio tra quelle che hanno sperimentato eventi negativi nel passato, senza troppe differenze in relazione al numero di eventi subiti. L’interpretazione più plausibile di tale evidenza è che, in definitiva, le imprese che decidono di investire nel monitoraggio del rischio di fornitura siano proprio quelle che sono incorse nel passato in tale problema.

In altre parole, più che trattarsi di un fattore culturale, la maggiore sensibilità verso il rischio da parte di talune aziende parrebbe derivare dalle esperienze non positive del passato. Tale interpretazione parrebbe confermata dalla indipendenza del risultato dal numero di interruzioni subite. Inoltre, se la scelta di dotarsi di un sistema di monitoraggio avvenisse a monte delle eventuali interruzioni, ci dovremmo attendere che le aziende che se ne sono dotate incorrano in meno interruzioni rispetto alle altre, mentre l’evidenza empirica ci dice esattamente l’opposto.

Nonostante la percentuale relativamente bassa di aziende del campione che ha indicato il possesso di un sistema di monitoraggio del rischio di fornitura, la maggior parte di questi sistemi sono risultati poco completi e formalizzati, come illustrato in figura 4.

La completezza del sistema è stata misurata sulla base di quale percentuale dei fattori di rischio viene monitorata, e di quale percentuale dei fornitori è oggetto del monitoraggio. Si determinano quindi le classi dei sistemi incompleti (monitoraggio di pochi fattori di rischio e pochi fornitori, 20% dei casi); selettivi fornitori (monitoraggio di molti fattori di rischio per pochi fornitori, 24% dei casi); selettivo fonti (monitoraggio di poche fonti del rischio ma su molti fornitori, 15% dei casi) e, infine, dei sistemi completi, in quanto monitorano molti o tutti i fattori di rischio principali, per molti o tutti fornitori in albo, praticati dal 41% delle imprese che dichiarano di avere un sistema di monitoraggio (quindi dal 15% complessivo delle aziende del campione).

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Figura 4 – Caratterizzazione dei sistemi di monitoraggio per completezza e formalizzazione

L’importanza di un sistema di monitoraggio formalizzato

Il livello di formalizzazione del sistema di monitoraggio del rischio di fornitura è invece stato definito sulla base della frequenza di esecuzione delle analisi (che possono essere svolte spot quando serve, oppure con una frequenza regolare, ad esempio ogni 3 mesi) e della natura dei risultati, che vengono suddivisi in qualitativi (ad esempio, suddivisione del rischio nelle tre classiche classi di rischio basso, medio ed alto, spesso rappresentate dai classici colori semaforici) e quantitativi, quando vi sia il calcolo rigoroso di uno o più specifici indicatori di rischio.

Appena il 22% delle aziende rispondenti, corrispondente a meno del 10% del campione, ha indicato di disporre di un sistema formalizzato (quindi, un sistema con indicatori quantitativi e rigorosi calcolati periodicamente con frequenza regolare), mentre più dei 2/3 dei rispondenti denotano un sistema di monitoraggio soggettivo, ossia eseguito con cadenza regolare ma realizzato attraverso indicatori qualitativi. Infine, il restante 9% ha indicato un sistema informale (indicatori qualitativi, ed esecuzione spot).

La completezza del sistema di monitoraggio è risultata fortemente legata alla dimensione dell’azienda che implementa il sistema (più è grande l’azienda e più è frequente che impieghi un sistema completo), mentre non è stata rilevato alcun legame di tale variabile endogena rispetto al livello di formalizzazione del sistema.

Il numero di fornitori attivi, invece, impatta sul livello di completezza e formalizzazione del sistema in maniera opposta e per questo poco intuitiva: se da un lato, infatti, più sono numerosi i fornitori inseriti in albo, e meno il sistema di monitoraggio tende ad essere completo, dall’altro sono proprio le aziende con più fornitori attivi quelle ad avere la massima percentuale di sistemi altamente formalizzati.

Supply risk management

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Prevale ancora un sistema esperienziale di monitoraggio delle interruzioni

Incrociando la completezza con la formalizzazione si ottiene il quadro indicato dalla figura 5, relativo alla rigorosità del sistema di monitoraggio delle interruzioni di fornitura. Appena 5 delle 54 aziende rispondenti (9% del campione) indicano di avere un sistema di monitoraggio rigoroso (cioè, contemporaneamente completo e formalizzato) ed è interessante notare come il 9% sia esattamente il prodotto di 41% x 22%, confermando che non vi è apparentemente alcuna forma di correlazione tra le due variabili di completezza e formalizzazione.

Eloquentemente, 26 casi, pari a quasi la metà del campione, invece, ricadono nella fattispecie del sistema esperienziale, né completo né formalizzato: anche in questo caso la percentuale del 48% è pressochè identica al prodotto delle percentuali delle due variabili madre, confermando l’inesistenza di correlazioni tra le due. 6 (11%) aziende presentano un sistema incompleto (formalizzato ma non completo) e 17 (31%) uno di tipo qualitativo (completo ma non formalizzato).

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Figura 5 – Livello di rigorosità del sistema di monitoraggio delle interruzioni della fornitura

Le leve di mitigazione del rischio

Riguardo le leve di mitigazione del rischio, sono state indagate complessivamente 7 leve di prevenzione (volte cioè a ridurre la probabilità di accadimento degli eventi negativi), come ad esempio l’eliminazione dei fornitori ad elevato rischio, oppure l’adozione di sistemi evoluti di vendor rating e 9 leve di protezione, volte cioè a ridurre l’impatto degli eventi di interruzione che dovessero accadere, quali ad esempio l’utilizzo di fornitori di backup oppure il trasferimento assicurativo del rischio.

La figura 6 illustra il livello generale di adozione di tali leve. Come si vede agevolmente nella torta di sinistra, solo 67 delle 147 aziende intervistate (46%) applica almeno una (qualsiasi) di queste leve, mentre le restanti 80 (54%) non ne applicano alcuna. Questo quadro di bassa cultura e limitata gestione del rischio d’impresa appare decisamente in sintonia con la limitata adozione dei sistemi di monitoraggio e la natura complessivamente poco rigorosa dei sistemi adottati.

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Figura 6 – Livello di adozione delle leve di prevenzione e protezione del rischio

Approcci passivi, preventivi e protettivi

Le leve principalmente applicate sono quasi sempre quelle di protezione, complessivamente di natura più facile, mentre il tasso di adozione delle leve di prevenzione è del tutto insoddisfacente. Coerentemente con tale rilievo, nel quadro di destra della figura 6 è esaminata l’intensità con cui le 67 aziende più evolute adottano le leve e la tipologia di leve adottate.

Ponendo opportune soglie di adozione alle leve di prevenzione e di protezione, si ottiene che ben più della metà di queste aziende adotta comunque un approccio al rischio di tipo passivo (poche leve di entrambi i tipi=, mentre solo 10 (15% del campione) adottano un approccio proattivo, che utilizza almeno 2 leve di prevenzione combinate con almeno 5 leve di protezione.

Per completare il quadro, 9 aziende impiegano un approccio preventivo e 11 un approccio prevalentemente protettivo. Come era lecito attendersi, l’atteggiamento verso il rischio di interruzione delle forniture adottato dalle imprese del campione è fortemente legato alla dimensione dell’azienda.

Infine, è risultato interessante esaminare la frequenza delle interruzioni in relazione all’esistenza ed alla tipologia del sistema di monitoraggio del rischio di fornitura. La presenza di un (qualsiasi) sistema di monitoraggio non cambia la frequenza delle interruzioni per default, ma riduce in maniera evidente le interruzioni per altre causali.

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Figura 7 – Frequenza delle interruzioni di fornitura in relazione alla presenza e tipologia di un sistema di monitoraggio

L’immagine centrale confronta l’esito con un sistema completo vs. non completo e come si vede non si ottiene quasi nessuna modifica della frequenza delle interruzioni, anche se cambia leggermente il mix, visto che sistemi completi riducono un pochino la frequenza relativa delle interruzioni per default rispetto ai sistemi non completi. Tuttavia, l’effetto complessivo dell’adozione di un sistema di monitoraggio completo è pressochè nullo. Dove, invece, si vedono vantaggi davvero significativi per entrambe le categorie di causale è tramite l’adozione di un sistema formalizzato, che riduce a 1/4 i casi di default dei fornitori e di circa 1/3 le interruzioni per altre causali, andando più che a dimezzare complessivamente le interruzioni verificate.

Conclusioni: le aziende sono impreparate riguardo la gestione del rischio di fornitura

A fronte dello studio, è possibile trarre numerose conclusioni riguardo la gestione del rischio di fornitura. La prima evidenza è una complessiva impreparazione soprattutto delle nostre aziende più piccole ad affrontare il problema dell’interruzione delle forniture. Esse si sono infatti dimostrate assai poco sensibili a questo fenomeno, convinte che non sarebbe aumentato o addirittura sarebbe diminuito di intensità. Coerentemente con tale punto di vista, queste aziende non hanno sviluppato alcun sistema di monitoraggio atto ad evidenziare e quantificare il rischio, oppure se lo hanno fatto esso è un sistema non formalizzato ed incompleto, che abbiamo definito “esperienziale”. Sempre in coerenza con tale atteggiamento di scarsa attenzione, nessuna di queste aziende applica leve di mitigazione del rischio, né di prevenzione né di protezione.

La raccolta dati di questa ricerca è stata completata immediatamente prima del COVID 19, e delle drammatiche e ben note conseguenze che la pandemia ha avuto sulla perturbazione delle catene di fornitura internazionali. È quindi facile pensare che molte delle aziende meno attrezzate da questo punto di vista abbiano subito delle difficoltà gravissime nel mantenere la continuità operativa, con conseguenze anche esiziali sulla sopravvivenza dell’azienda medesima. Consola perlomeno pensare che le aziende che hanno avuto la forza e la fortuna di superare il periodo di crisi ora avranno certamente sviluppato una consapevolezza molto superiore a prima sui rischi di interruzione della Supply Chain.

Una seconda conclusione che è lecito trarre dalle evidenze empiriche illustrate è che, in buona coerenza con la scarsa preparazione delle nostre imprese (soprattutto di medio-piccole dimensioni) a fronteggiare questo problema, si è rilevata una frequenza di interruzioni della continuità operativa delle filiere produttive particolarmente elevata e (soprattutto) fortemente crescente già prima del periodo pandemico. Oltre alla dimensione dell’azienda intervistata, abbiamo rilevato che la frequenza di accadimento delle interruzioni è legata anche alla configurazione della rete di fornitura: reti globali, con maggior numero di fornitori, più estese geograficamente e con dimensioni dei fornitori più diversificate subiscono tendenzialmente meno interruzioni delle reti più basate su piccoli fornitori di prossimità: una evidenza per certi versi controintuitiva che può essere spiegata considerando che il global sourcing, se non è solo orientato a trovare fornitori a prezzo più basso, apre maggiori opportunità di scelta.

Ciò è particolarmente grave alla luce anche della rilevanza delle ricadute che le aziende possono subire nel caso di una interruzione di fornitura: transitori di diverse settimane oppure di mesi per ritornare a regime, perdita di condizioni particolarmente competitive assicurate dai fornitori venuti meno, investimenti necessari per reperire uno o più fornitori sostitutivi e riportare a regime l’intero processo primario, e addirittura costi opportunità connessi alla perdita di ordini e dei clienti impattati. E più che l’evento medio, complessivamente abbastanza moderato, a spaventare è il worst event, che può raggiungere tempi di ripresa delle attività anche di 5 mesi e costi di 120.000 euro.

Si è inoltre osservata una forte dispersione delle causali di interruzione delle forniture, con numerosi casi unici, o quasi, pur considerando un campione piuttosto numeroso di casistiche descritte in dettaglio. Emerge perciò con forza all’interno di tutta questa dispersione la causa principe di interruzione delle forniture, il default finanziario del fornitore, che da sola equivale a quasi la metà di tutti i casi rilevati. Da un’ampia serie di indizi si ricava inoltre l’impressione che sia molto più facile “filtrare” le interruzioni per causali diverse, mentre l’anticipazione del default finanziario del fornitore resta in molti casi un obiettivo elusivo. Ad esempio, mentre la dimensione delle imprese si è rivelato quasi sempre un fattore rilevante nel determinare i comportamenti ed i risultati delle imprese, le evidenze raccolte non mostrano una superiore capacità di filtrare il default dei fornitori da parte delle imprese più grandi rispetto alle più piccole.

Di fronte a questo quadro a tinte fosche, è quantomai essenziale correre ai ripari, adottando un sistema di monitoraggio di tipo formalizzato, l’unico in grado di ridurre molto significativamente l’impatto delle interruzioni, e completandolo con un atteggiamento proattivo verso il rischio, che combini sia leve di prevenzione, atte a ridurre la probabilità degli eventi di interruzione, sia leve di protezione, che ne riducono gli effetti.

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