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Le PMI in Europa inseguono la ripresa. Una ricerca della Commissione Europea

Gli sforzi ci sono stati e i segni di una ripresa si vedono, ma la maggioranza delle Piccole e Medie Imprese degli Stati Membri non è stata finora capace di recuperare pienamente dalla crisi dal punto di vista finanziario e, soprattutto, occupazionale. La peculiarità italiana, dove le PMI sono il 99,9% del totale aziende e rappresentano oltre il 68% del valore economico aggiunto.

Pubblicato il 30 Ott 2012

Le piccole e medie imprese (PMI) europee proseguono il loro impegno per uscire dalla crisi, ma finora gli sforzi, che pure hanno prodotto una moderata crescita in termini economici, non hanno generalmente creato occupazione.

Lo rivela la Relazione 2012 sulla performance delle PMI, pubblicata dalla Commissione europea in occasione della recente Settimana europea per le PMI.

Il rapporto conferma che le Piccole e Medie Imprese continuano a rappresentare la spina dorsale dell’economia europea, costituendo il 99,8% di tutte le imprese (circa 20,7 milioni) e potendo avvalersi di oltre 87 milioni di dipendenti.

Le tendenze nei singoli Stati Membri divergono di paese in paese: in Austria e Germania le PMI hanno raggiunto risultati particolarmente buoni e sono riuscite a superare i livelli del 2008 precedenti la crisi, sia in termini di valore aggiunto prodotto che di occupazione creata.

Chiuderanno bene il 2012 anche Olanda, Belgio, UK, Danimarca, Irlanda, Olanda e Spagna. Rimane molto critica la sola situazione di Grecia e Portogallo, mentre l’Italia, insieme a Francia, Italia, Polonia, Svezia, Repubblica Ceca e Ungheria, si trova in una situazione intermedia, con crescita moderata in termini economici (senza però raggiungere i valori pre-crisi) e saldo negativo per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro.

Tra i fattori che determinano il minore o maggiore successo delle imprese di un particolare Paese, la Commissione ha identificato la migliore situazione economica di contesto e la specializzazione in settori high-tech e ad alta intensità di conoscenza, oltre che una maggiore propensione ad investire e ad internazionalizzare.


La situazione italiana
In Italia le PMI sono ancora di più che nel resto d’Europa (quasi 4 milioni, il 99,9% del totale delle imprese e circa il doppio rispetto alla Germania),e rappresentano il 68,3% del valore economico aggiunto e l’80,3% dell’occupazione nel settore privato non finanziario. In media, in Europa tali valori sono invece generalmente più bassi: le PMI generano il 58% del valore aggiunto lordo e sono responsabili del 67% dell’occupazione.

La grande maggioranza delle Piccole e Medie Imprese italiane è poi costituito da micro-imprese con meno di 10 dipendenti (3,6 milioni, il 94% del totale delle aziende), un valore ben al di sopra della media europea del 92,2%. Il problema è che però queste micro-imprese contribuiscono in maniera solo modesta all’occupazione e alla creazione di valore aggiunto, per via, appunto, della dimensione molto contenuta.

Per fare un confronto, l’Italia ha 1,7 milioni di PMI in più rispetto alla Germania, ma queste producono meno posti di lavoro (12,2 milioni di persone occupate in Italia contro i 15,2 in Germania) e un valore aggiunto totale pari al solo 56% di quello delle cugine tedesche. La situazione non è insomma delle più rosee ed è confermata dai dati divulgati da Confesercenti, secondo cui nei primi nove mesi del 2012 hanno chiuso i battenti 279mila PMI.

Di positivo c’è che dai dati della Commissione emerge che il 26% delle Piccole e Medie Imprese è attivo nei settori della manifattura high-tech e ad alta intensità di conoscenza, considerati dall’istituzione fondamentali per ricostruire la competitività del Paese nel futuro. Ma in molti dei settori di intervento dello Small Business Act (progetto europeo a supporto delle PMI), l’Italia deve ancora recuperare il ritardo con la media UE.

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