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Export del Made in Italy, il 6% è eCommerce. «È ora di andare anche oltre Europa e USA»

Cresciute del 24% le vendite di beni di consumo italiani all’estero sui canali digitali: 7,5 miliardi di euro nel 2016. Più del 60% viene dal Fashion, il 17% dal Food. «Un fenomeno recente: sale la consapevolezza delle opportunità, non facili però da concretizzare». L’Osservatorio Export del Politecnico di Milano: «Enorme potenziale in Cina, in USA grande incertezza con Trump ma segnali non negativi»

Pubblicato il 16 Mar 2017

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Nel 2016 l’Export italiano di beni di consumo via eCommerce ha raggiunto un valore di 7,5 miliardi di euro, crescendo del 24% rispetto al 2015, con un’incidenza del 6% (l’anno scorso era il 4%) sulle esportazioni totali italiane di beni di consumo. Più del 60% di questi 7,5 miliardi è dovuto al settore Fashion, seguito a distanza dal Food (17%) – che è il settore più cresciuto (32%) – e da Arredamento e Design (entrambi al 12%).

Quanto al canale di distribuzione, i grandi retailer online procurano il 52% del fatturato dell’Export digitale, seguiti dai marketplace (34%), dai siti di vendite private (8%) e dai siti eCommerce proprietari dei produttori di beni di consumo (6%). I principali mercati di sbocco sono ancora Europa (in primis la Germania) e Stati Uniti, ma si rafforza la presenza in alcuni Paesi dell’Est Europa, tra cui Russia e Polonia, mentre resta marginale l’Export verso Sud America, Sud-Est Asiatico e Cina.

Sono alcuni risultati del nuovo report, presentato ieri, dell’Osservatorio Export del Politecnico di Milano. «Quest’anno abbiamo ampliato l’analisi dei mercati target Cina e USA, e dedicato approfondimenti specifici alle regioni meno indirizzate e più promettenti per l’export italiano – Sud-Est asiatico, Europa e Medio Oriente – anche con appositi “decaloghi” di consigli», ha spiegato Riccardo Mangiaracina, Direttore dell’Osservatorio Export. Agli approfondimenti su queste cinque regioni dedicheremo articoli ad hoc prossimamente.

Dalla ricerca emerge una forbice ancora molto ampia fra Export online diretto e indiretto. Nel primo caso l’interazione con il cliente è gestita dall’Italia attraverso siti di produttori (per esempio Campari, Diesel, Dolce&Gabbana, Zegna), portali dei retailer online o multicanale (come LuisaViaRoma e Yoox) o marketplace “italiani” (come Amazon.it e eBay.it). Nel secondo caso è gestita da siti eCommerce di grandi retailer online stranieri (come Zalando, JD.com, Suning), grandi marketplace (eBay e Amazon con domini stranieri, Tmall) e siti di vendite private internazionali (come vente-privee.com o VIP).

Metà di chi fa Export digitale lo fa da non più di 2 anni

L’Export diretto, pur cresciuto del 23% nel 2016, vale solo 2 miliardi di euro, di cui due terzi sono vendite di Fashion, mentre Food e Arredamento/Home Design rappresentano il 10% ciascuno e l’Elettronica di consumo il 4%. Il canale principale sono i retailer nazionali (58% del fatturato) seguiti da siti propri di aziende produttrici (26%), e marketplace con dominio .it (16%).

L’Export online indiretto invece genera 5,5 miliardi di fatturato: il 60% riconducibile al Fashion, il 21% al Food e il 13% all’Arredamento/Home Design. I retailer online stranieri abilitano circa metà delle transazioni. I marketplace stranieri pesano molto di più dei corrispettivi italiani (40%). I siti delle vendite private internazionali rappresentano il 10%.

«In uno scenario internazionale altamente competitivo, con consumatori sempre più “digitali”, l’eCommerce come canale di vendita all’estero può essere una scelta vincente per la singola azienda e per tutto l’Export italiano – osserva Mangiaracina -. In Italia questo è un fenomeno recente: sono in crescita i volumi e aumenta la consapevolezza delle opportunità, non semplici però da concretizzare. Occorrono preparazione, competenze, propensione al cambiamento e adeguati investimenti. Occorre studiare le caratteristiche dei vari Paesi e dei settori per definire il modello di Export digitale più indicato per la singola iniziativa, agendo su 5 “pilastri”: canali commerciali, logistica, canali di marketing/comunicazione, sistemi di pagamento, aspetti legali».

L’indagine dell’Osservatorio su 100 aziende italiane esportatrici nei settori consumer rivela che circa il 50% usa già canali eCommerce per l’Export. Di queste, il 5% esporta solo online, il 30% varia (solo offline o online) a seconda del Paese di destinazione, il 15% adotta una strategia multicanale in tutti i Paesi. Circa il 50% usa l’eCommerce da non più di 2 anni, circa un quarto ha iniziato da un solo anno. Il 64% delle aziende che ancora non fa Export online intende farlo in futuro, la metà entro 3 anni.

Emirati Arabi, Cina, Corea del Sud e Paesi ASEAN sono opportunità sempre più importanti

Le imprese esportatrici italiane sono ben 210mila, ma il 45,5% esporta meno del 10% del fatturato, solo il 10,3% esporta almeno il 75%. L’Export è un traino per l’economia nazionale, poiché la domanda estera è molto più dinamica di quella interna. Nel 2016 il fatturato delle imprese italiane all’estero è del 45% superiore rispetto al 2009, mentre il fatturato domestico è sostanzialmente invariato. La propensione all’Export (rapporto tra valore delle esportazioni e PIL) nel 2016 si attesta al 43% per i beni manufatti, in linea con Francia e Spagna, ma inferiore alla Germania, il maggior esportatore europeo.

«Questa situazione – ha detto Lucia Tajoli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Export – è dovuta sia a fattori congiunturali come la diversa velocità di ripresa della domanda dopo la crisi economica internazionale, sia a fattori strutturali di crescita del peso dei mercati emergenti extra-europei. Questo spinge l’Export italiano, ancora molto concentrato nei mercati maturi, verso una maggiore diversificazione geografica. Se Germania e USA restano i Paesi più attrattivi, Emirati Arabi, Cina, Corea del Sud e Paesi ASEAN sono opportunità sempre più importanti, anche se più rischiosi dei primi. La ricerca dei mercati esteri e dei modelli di esportazione più appropriati è fondamentale per tutta l’economia italiana».

Cina, «esistono almeno 6 modelli diversi per esportare online»

Venendo molto in breve alle 5 regioni approfondite dall’Osservatorio (amplieremo prossimamente le analisi con articoli dedicati), la Cina ha numeri che parlano da soli: 413 milioni di “web shopper”, 717 miliardi di euro di mercato eCommerce B2C (praticamente la metà di quello mondiale), cresciuto del 24% in un anno, e 30 miliardi di euro di import via eCommerce (+86%).

«In questi 30 miliardi la quota italiana è ancora piccola, ma il consumatore cinese mostra crescente interesse per i marchi del made in Italy: la Cina è un mercato con alto potenziale di crescita per l’Export digitale italiano, ma la scarsità di indicazioni pratiche su come accedervi e l’incertezza sui ritorni sono barriere importanti – osserva Lucio Lamberti, Senior Advisor dell’Osservatorio Export -. Esistono almeno 6 modelli diversi per esportare online in Cina: trovare il più idoneo alle proprie caratteristiche è determinante. A prescindere dal settore d’attività e dal modello scelto, però, secondo le nostre simulazioni l’investimento in Export digitale verso la Cina risulta profittevole nel medio periodo, anche se un ruolo chiave è giocato dallo sforzo di marketing».

USA, mercato attrattivo ma incertezze per la “variabile Trump”

Quanto agli USA, l’eCommerce B2c statunitense, il secondo al mondo, si attesta nel 2016 a 489 miliardi di euro, in crescita del 12%, e con 192 milioni di “web shopper”. Sono numeri che fanno ben capire l’attrattività di questo mercato, che peraltro è già uno di quelli preferiti dall’export italiano, anche attraverso il canale digitale.

Emergono però alcuni elementi di incertezza legati più alla situazione politica che alle previsioni di crescita dell’economia che appaiono sostanzialmente buone, sottolinea Tajani. «L’Amministrazione Trump ha annunciato politiche molto diverse rispetto al passato: ai fini dell’Export le più importanti sono una strategia fiscale più espansiva, una monetaria più restrittiva, la possibilità di uscite dagli accordi di libero scambio, di tasse sui beni importati dall’estero, e anche di parziale chiusura verso concorrenti del Made in Italy sul mercato USA. È impossibile capire ora quanto questi propositi si realizzeranno, ma comunque non sembrano probabili sviluppi in senso negativo per l’Export italiano».

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