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Influencer marketing e call to action sui social: quando sono pubblicità occulta secondo l’AGCM

In mancanza di una normativa ad hoc che disciplina il fenomeno dell’influencer marketing, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato richiama l’attenzione su alcuni strumenti utilizzati, tra cui la “call to action” sui social, con cui gli utenti sono esortati a compiere azioni come mettere like o condividere un contenuto, senza che sia esplicito il carattere di advertorial, diventando così pubblicità occulta. È il caso dei post di Stefano De Martino, Cecilia Rodriguez e Stefano Sala

Pubblicato il 28 Apr 2022

Damiano Gizzi

Avvocato, Legal Consultant, Partners4Innovation

Natalia Jurisch

Avvocato, Legal Consultant, Partners4Innovation

Influencer marketing pubblicità occulta

Con il provvedimento n° 29837 del 30.09.2021 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito “AGCM” o “Autorità”) ha richiamato l’attenzione su uno strumento di marketing usato sui social finora poco conosciuto, la “call to action”, e sugli effetti amplificatori dello stesso.

Si parla di call to action quando il pubblico destinatario di un contenuto pubblicitario viene esortato a intraprendere delle azioni positive per dimostrare la sua adesione a una campagna o il suo gradimento a dei prodotti.  Tipicamente sui social leggiamo esortazioni come “metti like”, “condividete coi vostri contatti”, “raccontateci nei commenti perché vi piace questo prodotto”, “create un video con il nostro prodotto, postatelo sul vostro profilo e taggate il brand”, ecc.

Tre casi di Influencer marketing. Call to action o pubblicità occulta?

Il provvedimento dell’AGCM prende le mosse dalla pubblicazione, da parte di tre noti influencer, Stefano De Martino, Cecilia Rodriguez e Stefano Sala, di alcuni post sulle loro pagine Instagram, che avevano come oggetto “Glo_Hyper”, dispositivo per riscaldare il tabacco attualmente molto in voga (anche il “Dispositivo”), prodotto e commercializzato dalla società British American Tobacco Italia (di seguito, anche “BAT” o la “Società”).

Più in particolare, all’interno dei post i tre influencer invitavano i rispettivi follower a pubblicare, a loro volta, contenuti su Instagram, menzionando – ovvero “taggando” – sia il nome del Dispositivo sia quello dell’influencer e inserendo hashtag collegati al marchio Glo Hyper. Come “premio” per tale attività di reposting, gli influencer promettevano poi di ripubblicare – in gergo social “ripostare” – sui profili Instagram propri e di Glo Hyper i contenuti migliori pubblicati dai follower.

Nessuno dei post pubblicati dagli influencer esplicitava la natura promozionale degli stessi, contrariamente a quanto previsto dalla Digital Chart adottata in materia di pubblicità digitale dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria (IAP). In altre parole, mancavano quei segni tipici che ci siamo ormai abituati a vedere nei post sui canali social, come ad esempio #adv, #sponsoredby, #pubblicità/advertising, che consentono al pubblico di sapere fin da subito la finalità promozionale dei contenuti diffusi in rete.

Secondo l’AGCM, però, la pubblicazione dei suddetti post da parte degli influencer sarebbe senza dubbio qualificabile come attività pubblicitaria, in particolare riconducibile al fenomeno dell’influencer marketing. Gli influencer, infatti, si sarebbero avvalsi «di una strategia promozionale definita “call to action”, la cui finalità è volta a creare un’interazione con i follower che, nell’aspettativa di ricevere in cambio una maggiore visibilità del proprio profilo, sono stati indotti a rispondere all’invito diffondendo su Instagram contenuti collegati al marchio Glo_Hyper, generando così un effetto pubblicitario in favore del marchio stesso».

Pertanto, in assenza dei suddetti segni di avvertenza pubblicitaria, l’Autorità ha ritenuto di qualificare i post che invitavano alla call to action come pubblicità occulta del citato marchio, rinvenendo altresì un rapporto di committenza tra i tre influencer e BAT: quindi, con atto del 27 maggio 2021, ha comunicato alla Società e ai tre influencer l’avvio del procedimento istruttorio PS/12009 per presunta infrazione degli artt. 20, comma 2, 22, comma 2, e 23, comma 1, lett. m), del d.lgs. 205/2006 (Codice del Consumo)[1].

Nell’ambito del procedimento, sia la Società sia gli influencer, conformemente alla facoltà riconosciuta dall’art. 27 del Codice del Consumo alle parti dei procedimenti davanti all’AGCM, hanno presentato degli impegni, cioè l’assunzione spontanea di obbligazioni volte a porre fine all’infrazione contestata e all’eliminazione dei profili di illegittimità delle pratiche commerciali scorrette oggetto della contestazioni, le quali, se accolte dall’Autorità, divengono vincolanti a tutti gli effetti e consentono la definizione del procedimento senza procedere all’accertamento dell’infrazione – e, quindi, alla comminazione della sanzione.

Gli interventi dalla società British American Tobacco

Di particolare interesse, tra gli impegni assunti diretti a rimuovere i contenuti o a pubblicarne di nuovi con l’introduzione delle avvertenze marketing necessarie, due che ha assunto la Società: quello di adottare Linee Guida in materia di influencer marketing che disciplinino specificamente le regole per la call to action (incluso l’obbligo per gli influencer di esortare i follower a inserire hashtag quali #adv, #sponsoredby ecc. prima del marchio pubblicizzato, pena l’esclusione da qualsiasi premio/ricompensa come la pubblicazione della loro foto sul profilo IG dell’influencer e/o della Società), nonché quello relativo all’utilizzo di influencer ingaggiati direttamente dalla Società, con vincolo del rispetto delle suddette Linee Guida, pena l’applicazione agli influencer di penali e sanzioni contrattuali.

Il secondo impegno, che parrebbe pleonastico e in qualche modo scontato, fa invece capire come a oggi sia per così dire “fluida” la realizzazione di campagne marketing sui social, dove, contrariamente alla pubblicità tradizionale, spesso mancano del tutto contratti con i testimonial e non sono affatto regolamentati e definiti gli obblighi dai soggetti coinvolti, i corrispettivi, le sanzioni contrattuali in caso di violazione degli impegni assunti.

L’Autorità ha ritenuto che gli impegni assunti tanto da BAT quanto dagli influencer siano stati idonei a sanare i possibili profili di illegittimità della pratica commerciale contestata, avendo essi <<realizzato una comunanza di sforzi efficace nell’assicurare il rispetto delle regole di trasparenza, fondamentale per una corretta dinamica dell’influencer marketing e dei suoi rapidi mutamenti.>> e ha perciò concluso il procedimento senza comminare sanzioni.

Influencer marketing e pubblicità occulta: serve riordinare l’assetto normativo

Preme evidenziare come, ad oggi, non sia presente una normativa ad hoc che disciplini il fenomeno dell’influencer marketing e, in maniera puntuale e compiuta, il rapporto tra influencer e l’azienda/brand committente nonché le modalità di promozione/sponsorizzazione di prodotti e/o servizi. Al contrario, la struttura normativa che ruota attorno all’influencer marketing è complessa e disorganica, in quanto tale fenomeno è suscettibile di applicazioni normative differenti: si spazia dal codice del consumo alla normativa privacy, dalla legge sul diritto d’autore alla Digital Chart dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria.

Pertanto, tenuto conto della pervasività che ha avuto e continuerà ad avere l’influencer marketing, ivi inclusi i nuovi strumenti social, come la “call to action”, con effetti grandemente amplificatori della veicolazione di un messaggio pubblicitario, sarebbe da considerarsi l’ipotesi di riordinare l’assetto normativo, predisponendo una normativa ad hoc che vada a compiutamente disciplinare questo – ormai – nuovo “standard pubblicitario”.

  1. Art. 20, comma 2: “Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
  2. – Art. 22, comma 2: ”Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
  3. – Art. 23, comma 1, lett. m): “Sono considerate in ogni caso ingannevoli le seguenti pratiche commerciali: […] ) salvo quanto previsto dal decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e successive modificazioni, impiegare contenuti redazionali nei mezzi di comunicazione per promuovere un prodotto, qualora i costi di tale promozione siano stati sostenuti dal professionista senza che ciò emerga dai contenuti o da immagini o suoni chiaramente individuabili per il consumatore;

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