Digital export

I consigli di Alibaba, WeChat e Mei per un eCommerce di successo in Cina

Sbaglia chi pensa di replicare le strategie di commercio elettronico valide in Occidente. In Cina per vendere è fondamentale il ruolo degli influencer, un supporto pre-vendita eccellente, soprattutto via chat, una logistica impeccabile, uno storytelling dedicato. Ecco gli spunti emersi al Netcomm Focus Lifestyle in una tavola rotonda che ha visto protagonisti tre big del mercato

Pubblicato il 24 Lug 2017

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Un mercato oceanico, che da solo pesa per il 33,7% del totale del fatturato eCommerce globale (che ammonta a 1,9 trilioni di dollari, secondo le ultime rilevazioni di eMarketer). La Cina è un paese davvero particolare, che fa gola a parecchi brand del Made in Italy. Si tratta, però, di un caleidoscopio di etnie, lingue e abitudini differenti e variegate, che ha un approccio davvero particolare al commercio online. In questo Paese è fondamentale il ruolo dei KOL (Key Opinion Leader), ovvero quelli che in occidente vengono chiamati comunemente “influencer”, che “smuovono” milioni di clienti verso l’uno o l’altro brand.

Anche l’ottimizzazione dei siti di eCommerce per la visione da smartphone è una conditio sine qua non per operare in questo Paese, visto che da una recente ricerca emerge come il 79% degli acquisti online in Cina avvenga proprio attraverso questi dispositivi. Ma, soprattutto, è fondamentale il ruolo dei servizi di pre-vendita. Sì, perché nel Paese del Dragone, il 60% dei clienti acquista solo dopo aver chattato in tempo reale con il venditore. La chat entra, quindi, di fatto nel marketing funnel e l’incapacità di gestire correttamente le attività di customer care nella fase precedente l’acquisto equivale alla perdita (spesso definitiva!) del contatto con il prospect. Ecco perché già alcuni mesi fa le grandi piattaforme di commercio online hanno iniziato a sperimentare i chatbot, visto che in Cina, in media, il servizio clienti deve rispondere entro 28 secondi a una richiesta inviata via chat ed entro un’ora a quella inoltrata via e-mail.
Si tratta, quindi, di peculiarità sconosciute ai più ma che possono decretare il successo (o il fallimento) di iniziative che, comunque, richiedono investimenti piuttosto consistenti.

Ma quali consigli è possibile dare alle aziende nostrane che vogliono approcciare questo mercato potenzialmente enorme attraverso il commercio online? La questione è stata dibattuta nel corso di una tavola rotonda che si è tenuta durante il Netcomm Focus Lifestyle, organizzato alcuni giorni fa a Milano da Netcomm e Pambianco per discutere del presente e del futuro dell’eCommerce.

Chiamati a dare consigli e suggerimenti alle aziende che vogliono aprire un flagship store sui grandi portali di commercio elettronico B2C cinesi  i referenti di tre colossi del mercato, Alibaba, WeChat e Mei.

Fondamentale la conoscenza del digitale e del mercato

Albert Antonini Mangia, Marketing Manager di Alibaba Italia

Alibaba, va ricordato, è il più grande ecosistema di eCommerce al mondo, con ben 454 milioni di clienti. Unapiattaforma con oltre 10 milioni di merchant e 2 miliardi di prodotti in vendita, che ospita già 150 aziende italiane (Armani, Trussardi, La Perla, giusto per citarne alcuni…) e un migliaio di brand dello Stivale all’interno di Tmall, il principale store di commercio B2C del gruppo. «Impossibile standardizzare e adottare regole ferree con i cinesi – spiega Albert Antonini Mangia, Marketing Manager di Alibaba Italia –.

Ma, sulla base della nostra esperienza, le aziende italiane che hanno aperto uno store online di successo presentano tutte due caratteristiche comuni. Hanno in casa il know-how per esportare in Cina e vantano una profonda conoscenza del digitale. Bisogna fare un lavoro importante per promuovere il proprio brand sulle piattaforme di eCommerce cinesi, con investimenti in marketing e comunicazione spalmati su un orizzonte temporale medio di 3/5 anni. Inoltre, nel 90% dei casi le aziende straniere fanno accordi con agenzie e service provider locali, che conoscono bene i gusti dei consumatori e che vengono costantemente monitorati sulla base dei feedback rilasciati dai clienti».

Sul fronte del post-vendita, poi, sono essenziali una gestione ottimizzata della logistica e il rispetto dei tempi di consegna, che in Cina sono piuttosto stringenti, visto che la maggior parte dei clienti è disposta ad aspettare non oltre 48 ore per ricevere a casa il prodotto ordinato. In una nazione in cui le città con oltre un milione di abitanti sono 260 e la maggior parte della popolazione risiede ancora nelle zone rurali questo è un aspetto che pone non poche criticità. «La gestione dei dati del magazzino e l’integrazione con quelli degli spedizionieri è indispensabile per velocizzare le consegne, perché nelle grandi città i tempi di consegna spesso scendono al di sotto delle sei ore», spiega Antonini Mangia.

Lo storytelling? Si fa in chat non sui social

In Cina, si sa, i maggiori social network come Facebook, YouTube o Twitter sono banditi e impazza WeChat, piattaforma a metà strada tra Whatsapp e

Andrea Ghizzoni, Head of Europe di WeChat

Facebook. Proprio su WeChat si finalizza la maggior parte delle transazioni, con numeri da capogiro: 877 milioni utenti attivi ogni giorno e poco meno di 600 milioni di transazioni quotidiane. Sull’App in questione avviene gran parte delle attività legate alla compravendita online: l’assistenza live (e rigorosamente in lingua locale); lo style advisory in tempo reale (con esperti di moda, bellezza e design che offrono, sempre in chat, i propri consigli personalizzati) e i pareri online dei clienti, che possono anche essere contattati, sempre via chat, da chi intende avere informazioni dirette su questo o quel prodotto.

«Sulla nostra piattaforma, poi – chiarisce Andrea Ghizzoni, Head of Europe di WeChat – si realizza anche lo storytelling che, invece, normalmente in Occidente si fa attraverso Facebook o YouTube». Ma non finisce qui, perché in chat si realizza non solo l’ordine ma anche il pagamento degli articoli acquistati, grazie all’integrazione nella piattaforma di WeChat Pay. È possibile, quindi, passare dalla decisione d’acquisto al pagamento e arrivare fino alla stipula delle garanzie accessorie – nel caso, per esempio, degli elettrodomestici – senza uscire dall’App. «Si tratta di una modalità di acquisto veloce e integrata particolarmente apprezzata dai consumatori cinesi – spiega Ghizzoni –, che non amano perdere tempo».

WeChat si caratterizza per la forte componente editoriale ed è «un’opportunità da sfruttare per le aziende del nostro Paese perché il primo touch point per i consumatori cinesi è proprio l’Italia, visto che il Made in Italy va parecchio forte», prosegue il manager. «Ma occorre essere preparati – continua – perché si tratta di uno storytelling molto particolare, condotto attraverso tecnologie generalmente snobbate in Occidente. Un esempio su tutti? Il QR code, che in Europa nessuno o quasi si azzarda a scansionare per paura magari di prendersi un virus e che in Cina, invece, va per la maggiore. Basta pensare che ogni giorno, su WeChat, vengono scansionati in media 800 milioni di codici QR, alla ricerca di informazioni sull’azienda, la sua storia, le sue peculiarità».

Oltre un milione di Paperon de’ Paperoni

Mattia Mor, Head of Europe di Mei

Con oltre un milione di milionari, la Cina è il secondo paese al mondo (dopo gli USA) per numero di “Paperoni” e addirittura il primo – il sorpasso è avvenuto due anni fa – per numero di miliardari (506 contro i 537 residenti negli Stati Uniti). In testa, nemmeno a dirlo, c’è il fondatore di Alibaba, Wang Jianlin. Non stupisce, quindi, il successo di Mei, nata nel 2010 come Glamour Sales e rilevata nel 2015 da Alibaba, del quale tuttora fa parte. Si tratta di un sito di vendite flash di soli articoli di lusso con referenze appartenenti soprattutto ai comparti fashion, design e cosmesi.

Impensabile, in Europa, acquistare una borsa da 26mila euro online, mentre è prassi piuttosto comune su Mei.com dove, spiega l’Head of Europe dell’azienda, Mattia Mor, «Dolce e Gabbana è il marchio più venduto, con flash sale di borse e accessori che durano un paio di giorni, durante i quali vengono letteralmente bruciati dai 12 ai 15mila pezzi, con uno scontrino medio di un paio di migliaia di euro». Le opportunità ci sono, quindi, a patto di essere ben informati su chi è il cliente cinese, su cosa vuole e come pretende di essere servito. E soprattutto a patto di non pretendere di avere successo semplicemente traducendo il proprio sito di eCommerce in lingua locale.

Nel corso dell’evento organizzato da Netcomm, però, sono emerse opportunità interessanti anche in altre geografie. «Sentiamo molto spesso parlare del paese del Dragone come principale sbocco dei prodotti legati al cosiddetto Made in Italy – ha concluso Roberto Liscia, Presidente di Netcomm –, ma in realtà ottime opportunità di sviluppo dell’export legate all’eCommerce arrivano anche dall’India, dagli Stati Uniti, dalla Russia, dall’Arabia Saudita e persino dall’Iran». I marketplace più importanti nei paesi emergenti? Jumia.com (tutta l’Africa), Souq.com (Emirati Arabi), Ozon.ru (Russia), Conga.com (Nigeria), Rakuten (Giappone), Naver (Sud Corea) e Lazada (Indonesia).

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