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Le strategie di misurazione dell’online advertising: uno studio Polimi sulle imprese italiane

I top spender in pubblicità sono consapevoli del valore delle metriche e quelli più evoluti hanno già messo a punto sofisticate soluzioni in termini di processi e strumenti, soprattutto in ambito eCommerce, Finance, Telco e Automotive. Il quadro che emerge da una recente survey dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano è positivo. Ma l’assenza di metriche standard ha generato una diffusa confusione nel mercato

Pubblicato il 27 Lug 2017

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Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano

In che modo i top spender in advertising in Italia stanno affrontando il tema di misurazione delle performance? Per rispondere a questa domanda, la Ricerca 2017 dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano ha realizzato una serie di interviste con l’obiettivo di fornire un framework di riferimento con cui confrontarsi.

Ma cos’è una strategia di misurazione?

«Intendiamo un processo che identifica gli obiettivi, sia di business sia specifici per campagna che per singoli touch, e definisce l’insieme di metriche per raggiungerli – ha spiegato Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano -. Le metriche scelte rappresentano i KPI (Key Performance Indicator), le fondamenta della strategia di misurazione. A questo punto il passo successivo è delineare un piano di implementazione per rendere tale insieme di metriche parte del processo di business».

L’approccio quantitativo nelle organizzazioni è un fattore culturale. E perché questo tipo di cultura prenda piede in modo capillare, è necessario a livello apicale il giusto commitment, la spinta che mette in azione l’ingranaggio. Poi, per poter misurare servono gli strumenti tecnologici in grado di raccogliere ed elaborare i dati, e le persone che li sappiano usare. E ovviamente servono i dati, che devono avere la qualità e la granularità necessarie. «I processi devono favorire la condivisione di dati e metriche che spesso sono di competenza di funzioni diverse all’interno delle organizzazioni, o anche di player diversi, ad esempio i partner esterni di comunicazione», ha puntualizzato Spiller.

Persone e strumenti: gli ingredienti della strategia

I risultati della ricerca sono positivi. «Emerge che tra i top spender italiani vi è forte sensibilità e consapevolezza alla misurazione. È una buona notizia, non siamo lontani dalla situazione internazionale. Ci sono tuttavia situazioni differenti in termini di disponibilità di processi, strumenti e routine organizzative. Tale diversità è dovuta principalmente alla capacità dell’impresa di tracciare il processo di acquisto del consumatore lungo diversi touchpoint e di conseguenza di disporre dei relativi dati di performance. Alcuni hanno già investito, soprattutto in determinati settori, ma molti hanno un lungo percorso da fare».

I touchpoint digitali facilitano la misurazione

In particolare, nei settori in cui il processo d’acquisto è caratterizzato da una rilevante presenza di touchpoint digitali vi è maggiore disponibilità di dati che permettono di collegare i risultati con gli obiettivi di business, ovvero il mondo eCommerce, Telco e realtà appartenenti al settore dell’Automotive e del Finance/ Insurance. «Questi player si contraddistinguono per l’utilizzo di iniziative di advertising online prevalentemente con obiettivi di performance, e sono coloro che, con maggior incidenza, hanno introdotto strumenti e processi che supportano la misurazione integrata. In generale, questi player hanno inoltre introdotto modelli di attribuzione con lo scopo di dare un peso a tutti i touchpoint che hanno concorso nel generare una conversione. Al contrario, le aziende che non hanno canali diretti di conversione online e utilizzano l’advertising primariamente con obiettivi di branding manifestano maggiori difficoltà nelle fasi di implementazione», ha commentato Spiller. Dalle interviste effettuate ai top spender emerge anche che chi ha sviluppato i modelli più sofisticati (in termini di processi, strumenti, routine e cultura aziendale) se li tiene ben stretti, consapevole che si tratta di un grande valore per l’azienda, un patrimonio in grado di generare vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti.

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