Internet Advertising

Brand Safety e Viewability: le tecnologie per proteggere la reputazione dei brand ci sono, bisogna solo utilizzarle

Come sapere se un banner è stato visto dal giusto target? E come misurare la visibilità dei messaggi? Soluzioni integrate alle piattaforme di acquisto di spazi pubblicitari online offrono oggi agli inserzionisti maggiori garanzie a protezione dell’immagine del brand. Ma serve più trasparenza nella filiera

Pubblicato il 07 Giu 2018

brand-reputation-safety

Come sapere se un banner è stato erogato e visto dal target giusto? La Brand Safety, la protezione dell’immagine del brand on line dipende da due parametri: viewability, cioè se un banner è stato davvero erogato, e targeting, cioè visto dal target giusto. Le aziende sono preoccupate che i loro annunci non vengano visti o vengano visualizzati accanto a contenuti non appropriati o non in linea con il brand. Un esempio tipico è quello di un banner per famiglie e bambini che appare a fianco ad un contenuto per adulti oppure la pubblicità di una società automotive visualizzata accanto alla notizia di un incidente d’auto.

Un posizionamento sbagliato può trasformarsi in un incubo per l’azienda e ledere l’immagine e la reputazione del brand. Secondo il Global Ad Trends di Warc il 43% dei senior marketer ha dichiarato di aver avuto problemi di reputazione dopo che i propri annunci pubblicitari erano apparsi vicino a contenti spiacevoli e quasi due su cinque hanno ritirato alcune inserzioni apparse a fianco a contenuti sgradevoli o intendono farlo.

Sul mercato sono disponibili tecnologie integrate alle piattaforme di acquisto di spazi pubblicitari che permettono di inibire la delivery della campagna su quelle fonti di traffico non conformi agli alti standard di qualità che i brand richiedono. Selezionare poi con attenzione whitelist appropriate fa parte del nostro lavoro. Anche qui l’utilizzo di sistemi di filtraggio pre-bid garantisce un’automazione in totale accordo con le necessità di brand safety degli inserzionisti. È essenziale portare avanti una filiera trasparente e sicura che lavora per il bene dei brand e per gli obiettivi delle loro campagne. Le tecnologie ci sono, è solo una questione di volontà da parte degli operatori utilizzarle. Purtroppo, però non è ancora così. L’Association of National Advertising ha stimato che lo scorso anno sono stati persi in frode circa 6,5 miliardi e che gli sprechi si sarebbero potuti ridurre a 700 milioni se l’intera industria avesse aderito alle linee guida sulla sicurezza. Numeri che fanno ancora riflettere.

Viewability, cosa significa davvero?

Un altro tema di grande risonanza è senz’altro oggi quello legato alla misurazione della visibilità dei messaggi pubblicitari che mettono in discussione gli standard IAB esistenti. Oggi la misurazione della “visibilità” degli annunci da parte degli utenti si basa su parametri standard secondo cui un banner è da considerarsi “viewable” nel momento in cui il 50% dei pixel di cui è composto il banner viene visualizzato dall’utente per almeno un secondo (2 secondi se si tratta invece di un video). Parametri evidentemente non più al passo con nuovi comportamenti degli utenti e ai cambiamenti del panorama mediatico digitale e che incontrano l’insoddisfazione degli inserzionisti.

Alcuni studi hanno dimostrato una relazione diretta tra durata di esposizione a un messaggio pubblicitario e la sua memorizzazione. Secondo le nostre ricerche abbiamo visto che il tempo minimo affinché si fissi il ricordo è di circa 25-30 secondi. Oltre a questo tempo, mostrare ulteriormente il messaggio potrebbe essere inutile se non dannoso (come nel caso del retargeting massivo sugli utenti). Per questo abbiamo sviluppato un algoritmo, Brand Impact, che permette all’inserzionista di impostare la durata di esposizione che giudica ottimale affinché il suo messaggio venga visto e memorizzato dall’utente. Inoltre, con Brand Impact abbiamo introdotto un nuovo parametro di misurazione: il cost per hour (CPH). Ancora poco compreso nel nostro mercato ma diffuso in mercati più maturi all’estero, il CPH permette di controllare e misurare l’efficacia delle campagne secondo un KPI comune: il CPCV (costo per utente esposto per un tempo cumulato X giudicato ottimale). Con metodo l’inserzionista paga solo per i banner realmente visti e il prezzo di ogni impression varierà in funzione del numero di secondi visibili.

Anche se con qualche difficoltà iniziale, questi cambiamenti possono portare valore a lungo termine su tutta la catena e gli inserzionisti potranno ottenere migliori performance e investiranno con maggiore fiducia nei media digitali.

* di Gaetano Polignano, Country Manager Tradelab

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4