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Wi-Fi, dopo la libertà le vie per l’innovazione

Il Decreto del Fare ha cancellato gli obblighi per esercenti e PA che offrono la connessione wireless a Internet: non dovranno più chiedere autorizzazioni né tracciare gli utenti. Novità anche per le aziende, che non sono più obbligate a ricorrere ad installatori iscritti a uno speciale albo. Un importante passo avanti verso la digitalizzazione del Paese, ma le opportunità di sviluppare nuovi business sono ancora da esplorare

Pubblicato il 02 Set 2013

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Il Wi-Fi è libero in Italia e ora è il momento di prepararsi alle conseguenze di questa rivoluzione normativa. Uno spiraglio sullo scenario futuro ha già provato ad aprirlo un convegno a Trento, “Wi-Fi e le nuove reti”, di fine luglio, a cui hanno partecipato esponenti di spicco delle istituzioni e noti esperti (tra cui Antonio Preto, commissario Agcom, Stefano Quintarelli di Scelta Civica e Roberto Sambuco, capo dipartimento Comunicazioni allo Sviluppo economico). Ma il convegno è servito solo a fare da apripista al dibattito, che continua a essere acceso, nell’attesa delle conseguenze della liberalizzazione che si vedranno da settembre in poi.

I nodi che stanno venendo al pettine sono numerosi: adesso che gli obblighi sono caduti, per chi installa e offre servizi Wi-Fi, i punti di accesso decolleranno? Gli esercenti e le Pa dovrebbero comunque continuare a tracciare gli utenti, pur non essendone obbligati? Quali modelli di business possono nascere dal Wi-Fi libero?

Tra sicurezza e libertà della Rete

La novità normativa va interpretata collocandola nel contesto che l’ha partorita. E’ frutto di un braccio di ferro istituzionale tra esperti e sostenitori di internet (tra cui Quintarelli e Sambuco) da una parte e, dall’altra, forze politiche e di apparato (ministero dell’Interno in primis) che avevano più a cuore le ragioni della sicurezza pubblica. Alla fine, con un emendamento in extremis al Decreto del Fare, hanno prevalso le prime, secondo le quali liberalizzare il Wi-Fi- cioè eliminare gli obblighi- era importante per lo sviluppo di queste rete in Italia. Si è arrivati così a questa norma: : “l’offerta di accesso alla rete internet al pubblico tramite rete WIFI non richiede l’identificazione personale degli utilizzatori. Quando l’offerta di accesso non costituisce l’attività commerciale prevalente del gestore del servizio, non trovano applicazione l’articolo 25 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al decreto legislativo 1° gennaio 2003, n.259 e successive modificazioni, e l’articolo 7 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, e successive modificazioni”.

Significa che sono caduti tutti gli obblighi per esercenti, negozi, ristoranti e pubbliche amministrazioni che offrono il Wi-Fi agli utenti (restano invece per gli operatori tlc e gli internet point, che basano il business sull’offerta di accesso a internet). Quei soggetti non dovranno chiedere autorizzazioni né tracciare i propri utenti. Tutte le aziende, inoltre, possono ora installare reti Wi-Fi liberalmente. Prima del decreto- in caso di installazioni con oltre 24 punti di accesso- dovevano ricorrere a tecnici iscritti a uno speciale albo (pena una multa fino a 30 mila euro). Questa seconda novità è meno nota ed è un sicuro beneficio per la digitalizzazione delle aziende, come hanno riflettuto al convegno Quintarelli e Matteo Fici, presidente di Assoprovider.

Al passo con il Nord Europa

Ma se l’abolizione dell’albo speciale ci mette al pari con l’Europa, l’assenza di obblighi per chi offre Wi-Fi è una posizione quasi pioneristica. Solo in Scandinavia è così. In Francia, Spagna, Regno Unito e Germania varie norme o comunque una certa giurisprudenza spingono gli esercenti a tracciare i propri utenti Wi-Fi per evitare il rischio di essere condannati per reati compiuti, su internet, da questi ultimi. Prima del decreto del Fare, all’opposto, gli obblighi italiani erano superiori a quelli degli altri Paesi (soprattutto prima del 2012, quando ancora vigeva il decreto Pisanu). Non è possibile determinare con certezza se questa rigidità burocratica abbia svolto un ruolo grande o piccolo nei ritardi del nostro Wi-Fi. Certo è che in Italia sono 24 mila i punti di accesso pubblici (come rilevato a luglio), contro i 182 mila del Regno Unito (dove è stato importante l’impegno dell’operatore BT) e i 35 mila della Francia, secondo statistiche di Jiwire, secondo cui però in Italia i punti sono poche migliaia quindi potrebbero sottostimare anche quelli di altri Paesi. Un altro aspetto però sembra assodato, come emerso dal dibattito al convegno di Trento: il Wi-Fi pubblico può servire allo sviluppo del digitale in Italia e questa battaglia normativa almeno potrà aumentare la consapevolezza del mercato intorno a questa tecnologia, quindi a incentivarla in questo modo.

«Due parole chiave descrivono il futuro prossimo: mobile e always on. E in questo il Wi-Fi può giocare un ruolo fondamentale: perché combina la capacità della rete fissa con una certa libertà di movimento, senza congestionare le reti del mobile», ha detto al convegno Preto.

«L’obiettivo principale deve essere quindi: la rete alla portata di tutti. Vedete, dobbiamo evitare forme di discriminazione 2.0».

Un contesto favorevole al digitale

«Dobbiamo diventare un contesto ospitale per l’innovazione e la creazione di nuove forme di sviluppo, anche ai settori produttivi tradizionali del nostro paese», ha detto al convegno Luca De Biase, giornalista ed esperto in materia di nuove tecnologie. «Il Wi-Fi e la diffusione di una rete aperta e pubblica andrebbe a fare da contrappeso al potere delle telco. A differenza delle reti mobili, infatti, il Wi-Fi continua a rispettare i principi della neutralità della rete e quindi può favorire un ecosistema favorevole allo sviluppo di idee innovative, servizi, opportunità per la collettività».

Le premesse sono chiare e promettenti. Il problema è che da qui ora bisogna muoversi per trasformarle in vere opportunità per la crescita del digitale. Critico Massimiliano Mazzarella, di Futur3, tra i principali operatori che fa business con il Wi-Fi pubblico: «l’aver eliminato l’obbligo di registrazione potrebbe aiutare il mercato, ma molte questioni di fondo restano non affrontate. L’idea che sta passando in questi giorni che ora ovunque si troveranno reti Wi-Fi- gratuite è fuorviante. Gli strumenti digitali devono essere usati dagli operatori commerciali per creare valore aggiunto per il proprio business. Aprire e regalare semplicemente a chiunque la propria connettività di per sé non porta a nuove opportunità di business o crescita».

Mazzarella ora propone soluzioni marketing di prossimità basate su reti Wi-Fi. Ha già alcuni grossi clienti che si servono delle proprie reti per profilare il pubblico, presentare coupon, promozioni. Ma lo stesso Mazzarella ha affermato che “la consapevolezza dell’imprenditore medio, su questa opportunità, è molto limitata”. Al convegno, tra il pubblico, c’era e ha preso la parola anche Giovanni Guerri, fondatori di Guglielmo che sta cominciando a fare business sul Wi-Fi come tecnologia di offload delle reti mobili. I clienti sarebbero gli operatori che si dovrebbero appoggiare alle reti Wi-Fi pubbliche per scaricare le proprie reti Lte (grazie a software che rendono il servizio del tutto trasparente all’utente finale, che continua a navigare come al solito con il proprio operatore). Per ora Guglielmo ha stretto un accordo con l’operatore francese Travelsim.

Anche qui c’è un percorso di business da costruire e l’Italia è all’anno zero per provarci. Dopo il decreto del Fare, le norme sono una tabula rasa su cui è possibile provare a costruire innovazione, ma non sarà facile.

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