intervista

Reskilling continuo e open innovation, il mix vincente di Intesa (an IBM Company) per il digital business

Il gruppo nato dalla joint venture tra IBM e Fiat, ora controllato al 100% da Big Blue, espande la propria offerta end-to-end per le imprese allargandosi al mondo del Service design. Alla base dello sviluppo tecnologico continuano a esserci le risorse umane e il confronto con il mondo delle startup. L’intervista al Direttore Generale Pietro Lanza

Pubblicato il 25 Giu 2019

Intesa

Rimanere aperti all’innovazione, con l’accelerazione che contraddistingue lo sviluppo delle tecnologie digitali, significa mantenere un delicato equilibrio tra il recepire i grandi trend che attraversano il mercato globale e l’accogliere gli stimoli che arrivano, sul piano locale, da clienti e startup. È ciò che prova a fare Intesa, la società torinese di servizi ICT nata nel 1987 da una joint tra Ibm e l’allora Fiat, e oggi controllata al 100% da Big Blue. Proprio la particolare natura dell’organizzazione e la sua capacità di espandere il proprio raggio d’azione dal settore dell’automotive ad altri verticali strategici ne hanno fatto un player di riferimento di calibro internazionale per quanto riguarda i processi di digitalizzazione, tra soluzioni consolidate e tecnologie di frontiera. Un ruolo che il top management vuole enfatizzare puntando sul costante reskilling delle proprie risorse e sulla nuova linfa che arriva dalle frange più disruptive del mercato: università, centri di ricerca e startup, con cui l’azienda potrà confrontarsi all’interno del nuovo campus Officine Grandi Riparazioni. Ecco la visione di Pietro Lanza, Direttore Generale di Intesa.

Come si sta posizionando Intesa in un panorama in cui la democratizzazione delle tecnologie tende a rendere le offerte spesso indifferenziate?

Il posizionamento di Intesa mira a farne un polo di innovazione per la trasformazione digitale in termini di fornitura di servizi, di elaborazione di soluzioni e di tutto ciò che è necessario per implementare progettualità end-to-end sia in chiave B2B che in ottica B2C. Il nostro è un mix abbastanza raro – se non unico – di competenze tecnologiche inserite in un legal framework ben definito, visto che oltre ad appartenere a un gruppo multinazionale siamo anche una certification authority riconosciuta da Agid, un conservatore accreditato e Trust Service Provider eIDAS. Applichiamo la nostra conoscenza delle tecnologie base e di quelle di frontiera ad ambiti che spaziano dal Finance al Pharma, passando per il Manufacturing e la Pubblica amministrazione, fino al settore dell’Energy & utilities.

Qual è il percorso che di solito individuate per attuare la trasformazione di business in chiave digitale?

Va premesso che per Intesa le risorse umane sono l’asset principale: le soluzioni digitali vanno costruite attorno alle persone e alle loro esigenze, e d’altra parte lo sviluppo tecnologico ruota tutto intorno ai nostri collaboratori. Per quanto riguarda i clienti, ciò che auspichiamo quando ci confrontiamo con loro è una sempre maggiore enfasi della modalità di lavoro in team, con un approccio agile, improntato alla co-creation e privo delle reiterazioni tipiche del vecchio rapporto cliente-fornitore. Ne siamo convinti: lavorare in modo sinergico consente di arrivare più rapidamente al risultato. Naturalmente questo comporta un costante rinnovo delle nostre competenze. Ecco perché, sul fronte interno, attualmente ci troviamo in una fase di ricerca di nuove risorse: grazie ad accordi attivati con il mondo universitario – a partire dal Politecnico di Torino – possiamo attingere al bacino dei neolaureati, mentre attraverso le partnership con i centri di ricerca puntiamo a innestare elementi di innovazione dall’esterno. C’è poi tutta l’attività di reskilling della popolazione aziendale, con la quale aggiorniamo le persone che lavorano con noi da anni, in modo che possano continuare a fornire un contributo di alta qualità anche in un contesto caratterizzato da paradigmi tecnologici che cambiano molto velocemente.

Su quali soluzioni punta Intesa per la strategia di medio termine?

Dal punto di vista tecnologico stiamo lavorando su due ambiti: da una parte c’è il miglioramento costante delle piattaforme in esercizio, con rilasci incrementali che in un’ottica di continous improvement ampliano la portata dei servizi offerti. Dall’altra, introduciamo nelle aree di cui ci occupiamo innovazioni che arrivano direttamente da IBM. Si tratta di cinque versanti critici per la disruptive innovation: Cloud, Internet of Things, Artificial Intelligence, Security e Blockchain. Alcune hanno valenza più infrastrutturale ed essendo orientate alla modernizzazione delle applicazioni e delle architetture risultano meno visibili ai clienti finali. Su altri temi innestiamo componenti tecnologiche e metodologiche nelle piattaforme che entrano in diretto contatto con gli utenti finali. In ambito B2B, per esempio, sfruttiamo Watson per generare insight per l’ottimizzazione della supply chain. L’Intelligenza artificiale è fondamentale anche per abilitare processi di interazione remota, per esempio a supporto della procedura di firma digitale, che può essere assistita da un chatbot, mentre la tecnologia Blockchain è alla base di un progetto di declinazione della digital identity portato avanti dalla fondazione Sovrin, che sta sviluppando nuovi standard per la gestione di identità a livello sovranazionale.

E invece, sul fronte dei servizi, cosa c’è all’orizzonte?

Il nostro perimetro tipico è sempre stato quello della digitalizzazione dei processi end-to-end all’interno di ecosistemi di aziende e filiere. Oggi abbiamo introdotto una novità che ci porterà a toccare i processi digitali che arrivano fino al singolo individuo rispetto a grosse realtà del Finance, delle Utilities e della PA: in altre parole abbiamo dato vita a un competence center Service design, che ci permette di realizzare interfacce e servizi di interazione con l’utente finale. In questo modo possiamo offrire ai clienti una proposizione completa, che non ha bisogno di essere integrata con elementi il cui sviluppo debba essere delegato a terze parti.

Che rapporto avete con l’open innovation e con le startup?

Avendo alle spalle una realtà come IBM, il nostro è prima di ogni altra cosa un ruolo di scouting: ci poniamo come integratori di soluzioni innovative e come garanti della solidità e della compliance delle startup nei confronti delle grosse aziende, che possono essere attratte da una buona idea, ma dubitare della sua sostenibilità economica. Tra le startup con cui collaboriamo e a cui abbiamo dato accesso al programma globale di accelerazione di IBM, c’è per esempio Kopjra, specializzata nella protezione della proprietà intellettuale e della privacy su Internet. A breve, inoltre, inaugurerà a Torino il campus Officine Grandi Riparazioni, uno spazio dedicato a co-creation e open innovation dove potranno confrontarsi e contaminarsi aziende, startup e poli universitari. A disposizione degli innovatori ci saranno 500 postazioni di lavoro e di queste cento verranno occupate da noi.

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