Trasformazione Digitale

Digitale e PA, i rischi del PNRR. Moggi (Westpole): “Bisogna evitare troppi piani”

A ForumPA, l’evento organizzato da Digital360, il President & CEO di Westpole Massimo Moggi ha riassunto la ricetta per l’innovazione nella Pubblica Amministrazione. “Noi italiani abbiamo un problema enorme: sbagliamo l’execution. È essenziale chiarire le direttrici, essere veloci, intelligenti e avere una visione focalizzata. Serve che la governance sia pubblica”

Pubblicato il 12 Lug 2021

innovazione della Pubblica Amministrazione: concept dell'eccesso di pianificazione che si ritorce contro chi lo fa

Per portare l’innovazione nella Pubblica Amministrazione serve un cambio di passo. E il più importante di tutti riguarda l’approccio strategico: è necessaria una progettazione chiara e piani focalizzati per concentrare le risorse umane e tecnologiche nel perseguimento di un percorso di trasformazione digitale che segni un taglio netto con il passato. Massimo Moggi, amministratore delegato di Westpole, è intervenuto a ForumPA 2021, evento dedicato alla Pubblica Amministrazione organizzato da Digital360, per puntualizzare quale sia la ricetta per digitalizzare e innovare. Sottolineando, soprattutto, cosa fino a oggi abbia frenato l’Italia in modo da non ripetere gli stessi errori una volta ancora. L’occasione è di fronte al Paese: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) mette la trasformazione digitale al secondo posto per la “nuova Italia” post-pandemia. Sul piatto ci sono oltre 40 miliardi di euro e la riforma della Pubblica Amministrazione, attraverso i tre pilastri della trasformazione, dell’accesso e delle competenze, è al centro della riorganizzazione. L’innovazione della Pubblica Amministrazione, per altro, è una delle cinque riforme strutturali necessarie per poter accedere ai fondi. Non è un’opportunità: è un obbligo.

Il problema italiano: “Sbagliamo l’execution”

«Noi italiani abbiamo un problema enorme: sbagliamo l’execution». Non ci gira attorno Moggi nel delineare quale problema ha afflitto la Pubblica Amministrazione in questi anni.

Perché se i temi del superamento del digital divide e della semplificazione delle pratiche amministrative oggi hanno una posizione prioritaria nei piani per il futuro, è anche vero che sono aspetti della PA che sono presenti sul tavolo istituzionale da molti anni, troppi. Questo limite del sistema Paese italiano potrebbe, anzi, essere aggravato dalla quantità di fondi che saranno erogati per la digitalizzazione. Il rischio? Fare troppi piani e, alla fine, non riuscire a concretizzarne nessuno. «Facciamo fatica a eseguire», ribadisce Moggi, che spiega: «Questa è la grande sfida: la capacità di investire velocemente e di farlo bene». Il tema è duplice. Da una parte, è essenziale chiarire le direttrici che indicheranno la strada da seguire per innovare nella PA. Dall’altra, serve che la governance sia pubblica: bisogna perseguire obiettivi che la PA possa controllare adeguatamente. «In passato abbiamo fatto troppi piani, che dicevano tutti più o meno le stesse cose», fa notare Moggi. «È necessario individuare i 3-4 progetti trasversali su cui far convergere i fondi, che devono essere gestiti da dei manager competenti. Soprattutto, il cervello deve rimanere nella PA: l’ownership dev’essere pubblica».

La ricetta per l’innovazione della Pubblica Amministrazione

Le principali esigenze della PA al momento sono due: tornare ad avere la supervisione delle tecnologie che stanno accelerando l’innovazione e attirare nuovi talenti. «Le tecnologie più importanti sono il cloud, l’Intelligenza Artificiale e la blockchain», riassume Moggi. «Serve un centro di competenza che governi dove devono andare questi soggetti tecnologici nei prossimi 5 o 10 anni».

Negli ultimi anni la Pubblica Amministrazione ha dimostrato che quando il progetto è focalizzato e le iniziative sono sistemiche i benefici si vedono: l’App IO, PagoPA e lo Spid sono gli esempi più evidenti. A gennaio 2020 le identità digitali erogate erano poco più di 5 milioni. Un anno dopo, a gennaio 2021, sono salite fino a 16,6 milioni e hanno superato i 21 milioni lo scorso maggio. Segnale che lo Spid è stato spinto e supportato e che la sua necessità per semplificare il rapporto con la PA è stato adeguatamente comunicato alla popolazione. Soprattutto, queste iniziative hanno preso il digitale e lo hanno reso il perno dell’innovazione: a quel punto, i risultati positivi erano quasi inevitabili. «Non erano programmi complessi, ma erano dei progetti sistemici e allo stesso tempo molto focalizzati che avevano a che fare con aspetti trasversali e potevano essere misurati» spiega Moggi. «Bisogna fare le cose velocemente, ma anche senza fretta. È necessario attirare nuovi talenti ed evitare la disseminazione dei contributi pubblici». Su questo punto, la sfida è probabilmente quella più difficile da vincere. «Abbiamo un problema enorme di competenze, in parte perché non possiamo promettere gli stessi stipendi che vengono garantiti dalle aziende private più competitive», ammette Moggi. «Non c’è trasversalità nell’occupazione, ma sono tutti silos che non vengono modificati». Soprattutto, la PA dev’essere rimessa al centro come motore che traini la digitalizzazione e l’innovazione dell’Italia: evolvere la Pubblica Amministrazione significa migliorare tutto l’ecosistema. Significa coniugare, sottolinea Moggi, il capitale umano, la semplificazione, l’innovazione e il digitale.

La sfida del digitale

Lo scenario tecnologico, inoltre, è sfidante per le complesse conseguenze che ha sulla società in maniera trasversale. «Il digitale deve supportare il miglioramento della società. Manager, legislatori, professori: abbiamo tutti la stessa missione», sottolinea l’amministratore delegato di Westpole. «Alcune cose devono cambiare, basta pensare alla platform economy: è un’innovazione potenzialmente eccellente, però sta generando degli squilibri nel mondo del lavoro che non vanno bene. Lo stesso discorso vale per la robotica: ci sono potenzialità incredibili, ma che vanno espresse per raggiungere il benessere di tutti e non, per esempio, a scopi militari».

Il futuro del lavoro, in particolare, è delicato e oggi non sembriamo ancora pronti per affrontarlo. «In Europa abbiamo circa 120 milioni di occupati. Di questi, il 10% perderà il lavoro nei prossimi dieci anni; un altro 10% sono lavori per cui oggi non abbiamo le risorse umane. Il 40% delle persone dovrà lavorare al fianco degli automi», fa notare Moggi. «Sono queste le sfide che dobbiamo affrontare e su cui il pubblico dovrà avere un ruolo centrale. Dovrà essere veloce, intelligente e avere una visione focalizzata». Altrimenti? «Il rischio di fare errori sarà molto alto».

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