I principali ostacoli alla digitalizzazione dei processi aziendali sono in genere due. A prescindere dalle dimensioni e dalla complessità dell’organizzazione, il più delle volte le maggiori criticità si riscontrano nella mancanza di competenze IT, difficili da reperire sia all’interno dell’impresa sia sul mercato, e nell’aggiornamento di task e procedure, con impatti su efficienza, efficacia e sostenibilità.
Verso una continua revisione del design di processo
Architettare un processo di business sfruttando soluzioni digitali richiede, inoltre, la capacità di mettere a fattor comune piattaforme e professionalità, facendo leva su un’esperienza d’uso intuitiva, che favorisca la rapida adozione dei nuovi ambienti applicativi e che stimoli un approccio agile all’operatività. Se molte sono, infatti, le incognite che ruotano intorno al concetto di digital transformation, una sola cosa è certa: si tratta di una metamorfosi che impegnerà le aziende in maniera continuativa. A differenza delle grandi trasformazioni del passato, infatti, non basterà più far evolvere conoscenze, strumenti e prassi per approdare a un nuovo stadio evolutivo caratterizzato da una relativa stabilità. Il cambiamento sarà costante, e frutto di tanti piccoli e grandi aggiustamenti da apportare giorno dopo giorno nella direzione di una sempre maggiore automazione delle operazioni a basso valore.
Le aziende italiane sono pronte a tutto questo? E, più di ogni altra cosa, sono consapevoli del fatto che frenare oggi la spinta alla modernizzazione dei processi può vanificare l’utilizzo delle risorse che il Pnrr metterà al servizio dell’economia digitale? «Supportare le imprese, consentendo loro di digitalizzare i processi in modo semplice e sostenibile è l’obiettivo che ci poniamo da sempre. La grande novità è che ora possiamo aiutarle a farlo anche senza la necessità di coinvolgere importanti competenze IT e senza dover ricorrere a budget faraonici. Come? Cavalcando uno dei principali trend di mercato, quello delle piattaforme no-code, che consentono di realizzare soluzioni applicative in grado di far collaborare sistemi tra di loro senza ricorrere alla programmazione». A parlare è Salvatore Latronico, Presidente e Ceo di Openwork, gruppo specializzato nella realizzazione di soluzioni di Business Process Management (BPM) e di gestione documentale avanzata.
Who's Who
Salvatore Latronico
Openwork in particolare ha creato Jamio openwork, la prima piattaforma no-code italiana che consente di creare soluzioni software per orchestrare processi di business, dati, documenti e servizi in ottica collaborativa. La tecnologia di Jamio abilita e accompagna le organizzazioni nel processo di digitalizzazione mettendo gli utenti in condizione di collaborare sia in modo precodificato su qualsiasi tipo di device, sia sfruttando sistemi più dinamici di case management in gradi di affrontare situazioni non prevedibili.
Come funziona una piattaforma no-code
«La logica no-code permette di fare a meno di competenze informatiche specifiche nella gestione di progetti di riorganizzazione aziendale. Parliamo di momenti nella vita delle imprese che ormai non rappresentano più eventi eccezionali, da affrontare una tantum: oggi i processi vanno continuamente ridisegnati per soddisfare le esigenze dei nuovi modelli di business, a loro volta necessari per crescere all’interno di scenari competitivi che mutano sempre più in fretta», spiega Latronico. «Ma non c’è solo il tema della semplificazione sul piano tecnologico: grazie a soluzioni come Jamio si riducono drasticamente i tempi di delivery e gli oneri di mantenimento dei nuovi ambienti applicativi. Tant’è che diventa possibile dare vita a un processo o a un portfolio di strumenti integrati senza avere chiaro fin dall’inizio tutti i task che si dovranno abilitare. Un approccio agile, dunque, che aiuta le organizzazioni a far crescere il framework con la gradualità di cui ha bisogno il business e, soprattutto, garantendo la compatibilità con l’installato presente in azienda. Per tutto ciò che sul piano applicativo non è contenuto nella piattaforma, predisponiamo una serie di connettori che trasformano Jamio in un vero e proprio broker di servizi esterni, sempre naturalmente in modalità no-code».
Per fare un esempio concreto, supponiamo che una società di servizi assicurativi debba lanciare un nuovo prodotto sul mercato. Questo significa ideare un processo di business che permetta ai collaboratori di eseguire una serie di azioni ottemperando a regole precise. Dall’acquisto della polizza alla gestione della compliance e della riservatezza dei dati, passando per le procedure e gli strumenti di pagamento fino al controllo dei flussi documentali e alla validazione dei contratti tramite firma elettronica, tutto oggi può essere concepito, integrato e distribuito agli utenti attraverso piattaforme digitali. Jamio mette a disposizione delle imprese un’interfaccia user friendly univoca, che consente a chi disegna i processi di business di assemblare in un unico stream blocchi procedurali preorchestrati e garantiti. Il tutto, come detto, in totale autonomia, senza implementazioni tecnologiche, né sessioni di programmazione.
Monitorare i processi per ottimizzarli: un approccio multilivello
Naturalmente, anche se i processi sono predefiniti e verticalizzati per settore, proprio nell’ottica di poterli ottimizzare continuamente, è necessario monitorarli per misurarne l’effettiva efficacia una volta che sono stati messi a disposizione del business. Openwork in questo senso opera su due livelli. «Il primo, più tecnico, prevede una serie di verifiche sul design del processo», spiega Latronico. «Se non è stato concepito correttamente, infatti, si rischiano loop infiniti o addirittura malfunzionamenti che possono mettere in crisi la piattaforma. Da questo punto di vista, Jamio integra una serie di strumenti che evidenziano se gli utenti stanno facendo qualcosa che non è conforme alle best practice. Trattandosi di un servizio erogato via Cloud, siamo poi in grado di monitorare in tempo reale cosa accade sulla piattaforma: nel momento in cui gli indicatori evidenziano una o più criticità, il sistema evidenzia quali aree, quali clienti e quali processi sono potenzialmente compromessi, e siamo così in grado di intervenire in modo tempestivo».
Il secondo livello è quello del business. Assumendo questa prospettiva, bisogna verificare se il processo è effettivamente funzionale agli obiettivi da raggiungere. «Si possono fare tanti errori da questo punto di vista», rimarca Latronico. «Il peggiore? Avere la pretesa di orchestrare esattamente tutto, ingabbiando sistemi e persone nell’esecuzione delle singole azioni. Se l’organizzazione non è pronta o la natura del processo non è adatta (un processo collaborativo, per definizione, non può essere orchestrato) si crea inevitabilmente qualcosa che non funziona. Openwork offre una serie di strumenti per misurare i KPI e orientare le scelte tattiche, ma credo che il nostro apporto sia prezioso anche quando si tratta di ampliare gli orizzonti della digitalizzazione e sviluppare in azienda la giusta cultura organizzativa».