Approfondimenti

ACTA riaccende la polemica sulla libertà di Internet

A gennaio è stato firmato dall’Unione Europea l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement, un accordo plurilaterale per la cooperazione internazionale e l’applicazione più efficace delle norme a tutela e per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, fortemente pregiudicati dalla rivoluzione digitale in corso. E, puntuale, esplode sulla Rete la rivolta di chi vede così compromessa la libertà di espressione

Pubblicato il 03 Apr 2012

Il 26 gennaio 2012 a Tokyo l’Unione Europea ha firmato
l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (“ACTA”),
ossia l’Accordo Commerciale Anticontraffazione, tra
l’UE e i suoi Stati Membri, l’Australia, il Canada,
il Giappone, la Repubblica di Corea, Messico, Marocco, Nuova
Zelanda, Singapore, Svizzera e gli Stati Uniti d’America.

L’ACTA dovrà essere firmato e ratificato anche dai
27 Stati membri dell’EU
, in quanto contiene misure
penali, settore che rientra tra le competenze ripartite tra
l’UE e i suoi Stati membri. Per l’entrata in vigore
di ACTA è, altresì, necessario il voto di approvazione del
Parlamento Europeo, che dovrebbe tenersi verso la fine
dell’estate del 2012, previa discussione dell’Accordo
in seno alle varie commissioni (commercio internazionale,
libertà civile e giustizia e affari interni, affari giuridici).

Una volta ottenuta l’approvazione da parte del Parlamento
Europeo e terminate le procedure di ratifica interna negli Stati
membri, il Consiglio dei Ministri adotterà una decisione finale
per concludere l’accordo, decisione che verrà notificata
agli altri Stati firmatari e comporterà l’entrata in
vigore di ACTA nell’Unione Europea.

Tuttavia, alla luce delle contestazioni che sono seguite alla
firma di fine gennaio a Tokyo e delle recenti notizie in merito
alla sospensione del processo di ratifica dell’Accordo in
alcuni i Stati membri, la procedura di firma,
approvazione, ratifica ed entrata in vigore nella EU
dell’ACTA non sembra così lineare come sulla
carta
.

Ma che cosa è l’ACTA? Pur non essendo questa la sede per
un’analisi dettagliata di ogni singola disposizione
dell’Accordo, tuttavia ci pare importante tentare di
riassumere a grandi linee il contenuto dello stesso, per poter
meglio comprendere quali sono e perché gli aspetti maggiormente
discussi e criticati.

Si tratta di un accordo internazionale plurilaterale che
ha quale scopo, come espresso nelle proprie premesse , la
cooperazione internazionale e un’applicazione più efficace
a livello internazionale delle norme a tutela e per il rispetto
dei diritti di proprietà intellettuale
(compresi i
diritti di proprietà industriale), al fine di combattere la
“proliferazione di merci contraffate e usurpative, nonché
di servizi che distribuiscono materiale contraffatto”,
anche in ambito digitale.

Tale scopo verrebbe attuato mediante strumenti “efficaci e
adeguati di applicazione dei diritti di proprietà
intellettuale” che completino l’accordo TRIPs ,
senza, tuttavia, che dette misure costituiscano un ostacolo ai
legittimi scambi, ma con l’intento di stabilire, con
particolare riferimento ad internet, un equilibrio tra i diritti
e gli interessi dei titolari di diritti, dei fornitori di servizi
e degli utenti, promuovendo la cooperazione tra essi.

UN RAPIDO EXCURSUS SULLE DISPOSIZIONI
DELL'ACCORDO

Di seguito un rapidissimo excursus delle disposizioni
maggiormente rilevanti, sulle quali si sono concentrati i
commenti e le critiche, rimandando per ciò che non può essere
qui trattato al testo dell’Accordo.

Tra i principi generali si segnala la previsione secondo cui
nessuna disposizione dell’Accordo deroga a un obbligo di
una parte firmataria nei confronti di un’altra parte ai
sensi di accordi esistenti, incluso l’accordo TRIPS. Sempre
in termini di obblighi generali per le Parti, l’Accordo, al
Capo II, prescrive che le procedure adottate per attuare
le disposizioni dell’Accordo in merito al rispetto dei
diritti di proprietà intellettuale siano “giuste ed
eque”, né “indebitamente complicate o
costose”
e che ogni parte tenga conto della
“necessità di proporzionalità tra la gravità della
violazione, gli interessi di terzi e le misure, i rimedi e le
sanzioni applicabili”, con ciò riprendendo principi
generali già espressi, sia nel TRIPS, che nella Direttiva CE
2004/48 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale.

Il Capo II costituisce il fulcro dell’Accordo, prevedendo
le specifiche disposizioni circa il rispetto dei diritti di
proprietà intellettuale. In primo luogo, nell’ambito dei
procedimenti giudiziari civili, l’Accordo dispone in
materia di (i) ordinanze di interruzione della violazione di un
diritto (“ingiunzioni”), (ii) risarcimento del danno,
intervenendo sui criteri di determinazione del valore dello
stesso, (iii) rimedi quali la distruzione delle merci oggetto di
violazione, (iv) ordine all’autore o al presunto autore
della violazione di fornire informazioni relative alla
violazione, (v) ordinanze di misure provvisorie immediate
inaudita altera parte.

Seguono gli articoli relativi alle misure da applicare alla
frontiera, nonché le disposizioni in ambito penale, circa
l’applicazione di procedimenti e sanzioni (sequestro,
confisca e distruzione), almeno nei casi di contraffazione
deliberata di marchi e di usurpazione del diritto d’autore
e dei diritti connessi su “scala commerciale”.
Infine, la parte di maggiore interesse ai nostri fini, ossia le
disposizioni per il rispetto dei diritti di proprietà
intellettuale in ambito digitale, contenute all’art. 27
dell’Accordo.

Non potendo in questa sede analizzare tutte le norme sopra
elencate, ci concentreremo sulle disposizioni che concernano il
mondo digitale. Come più volte evidenziato , le proposte
di enforcement maggiormente controverse, contenute nelle prime
versioni dell’Accordo, sono state abbandonate o
ridimensionate
. In particolare, non vi è traccia dei
cosiddetti meccanismi di “three strikes” per la
disconnessione in caso di download illegali, né di fattispecie
di responsabilità degli internet service provider se non in caso
di violazione diretta.

Al comma 1 dell’art. 27, l’Accordo dispone che le
parti assicurino che la propria normativa preveda
l’applicazione, in ambito digitale, delle procedure,
previste dall’Accordo in ambito civile e in ambito penale.
I comma 2 e 3 contengono dichiarazioni di principio, in base alle
quali le misure a protezione dei diritti di proprietà
intellettuale devono essere applicate in modo tale da
“evitare la creazione di barriere per le attività
legittime, tra cui il commercio elettronico, e da tutelare i
principi fondamentali quali libertà di espressione, equo
trattamento e privacy conformemente alla normativa delle
parti”.

Vi deve essere, altresì, l’impegno delle parti a
promuovere la cooperazione tra imprese per affrontare in modo
appropriato le violazioni dei diritti, pur tutelando la
concorrenza e principi fondamentali quali “libertà di
espressione, equo trattamento e privacy”. I successivi
commi, 4, 5, 6, e 7 entrano maggiormente nello specifico in tema
di responsabilità degli ISP e tutela contro l’elusione di
efficaci misure tecnologiche utilizzate dai titolati di diritti.

Sul primo punto, l’Accordo prevede che le parti possano
disporre (non si tratta quindi di obbligo ma di una facoltà) che
le autorità competenti abbiano la facoltà di ordinare ad un ISP
di “comunicare a un titolare di diritti informazioni
sufficienti per identificare un utente il cui account sarebbe
stato utilizzato per una presunta violazione, purché tale
titolare di diritti abbia già presentato una denuncia,
sufficiente a livello giuridico”, di violazione di diritti
e “tali informazioni siano ricercate ai fini della tutela o
dell’applicazione di tali diritti”.

In merito alle misure tecnologiche utilizzate dai titolari di
diritti, le parti dispongono una protezione almeno contro (i)
l’elusione non autorizzata di una misura tecnologica da
parte di soggetti consapevoli o che si possano ragionevolmente
presumere consapevoli, (ii) l’offerta al pubblico mediante
la commercializzazione di un dispositivo o prodotto o servizio
per eludere dette misure, (iii) la fabbricazione, importazione o
distribuzione di un dispositivo o prodotto ovvero l’offerta
di un servizio, che è prevalentemente progettato o prodotto ai
fini dell’elusione di dette misure, oppure che ha un
limitato fine commerciale significativo oltre l’elusione di
una misura tecnologica.

Il comma 7 attiene alle misure a protezione delle
“informazioni sul regime dei diritti”, ossia sulle
informazioni che identificano l’opera, lo spettacolo, il
fonogramma, l’autore, il produttore ecc. ecc.. Infine, al
comma 8 l’Accordo prevede che le parti possano, al fine di
disporre una tutela adeguata a norma delle disposizioni
precedenti, adottare o mantenere “appropriate limitazioni o
deroghe” alle misure di attuazione contenute nelle
disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7.

Ma quali sono le maggiori critiche mosse ad
ACTA?

Essenzialmente si possono individuare cinque argomenti
fondamentali:

(i) che i contenuti di ACTA non siano interamente conformi alla
legislazione europea vigente ed alle disposizioni del TRIPS, con
ciò comportando per gli Stati firmatari l’obbligo di
intervenire per rivedere le normative e gli accordi esistenti;

(ii) che ACTA possa limitare i diritti fondamentali quali il
diritto di libertà di espressione e la protezione dei dati
personali,

(iii) con particolare riferimento ad internet, il rischio che la
responsabilità degli ISP si faccia più stringente e vada oltre
i confini stabiliti dall’attuale normativa europea,

(iv) che ACTA abbia un effetto negativo sul mercato legittimo dei
medicinali generici e, pertanto, sulla saluta pubblica nel mondo,

(v) che non abbia, come invece indicato quale conseguenza
principale della lotta alla contraffazione con le misure previste
dall’accordo stesso, un significativo impatto sulla
capacità di innovazione e di competere della UE a livello
globale, considerando anche il fatto che ACTA non coinvolge, ad
oggi, paesi quali Brasile, India e Cina.

A tali critiche si riferisce anche un importante Studio su ACTA,
commissionato al Legal Service del Parlamento Europeo dalla
Commissione Commercio Internazionale del Parlamento Europeo
(INTA) e pubblicato a luglio 2011 . In estrema sintesi,
lo Studio evidenzia come ACTA, nella maggior parte dei
casi, sia conforme alla normativa europea, ma su alcuni punti sia
probabilmente “più ambizioso” della legislazione
europea
, prevedendo un livello di protezione dei diritti
di proprietà intellettuale che va oltre i limiti stabiliti
dall’attuale normativa europea.

Ugualmente, con riferimento al TRIPS, lo Studio segnala che ACTA,
pur non risultando fondamentalmente in conflitto con detto
accordo, tuttavia sembra essere più stringente e
“rightholder friendly”.

Curiosamente, la parte che riceve meno critiche, dopo
un’attenta analisi del testo, è quella relativa alle
disposizioni in ambito digitale. La ragione è probabilmente da
rinvenire nel fatto che le prime versioni di tali disposizioni,
decisamente controverse, sono state abbandonate e ridimensionate.
L’introduzione di una norma, che prevede la facoltà per le
autorità competenti di ciascun Stato firmatario di ordinare
all’ISP di fornire al titolare di diritti informazioni su
presunte violazioni, è posta come una possibilità per lo Stato
firmatario e non un obbligo.

Inoltre, le misure poste contro l’elusione delle misure
tecnologiche non sembrano andare oltre i limiti posti dalla
Direttiva CE 2001/29 (armonizzazione del diritto d’autore
nella società dell’informazione). Tuttavia, sebbene il
dettato di tali norme non sembri destare rilevanti problemi, lo
Studio evidenzia come ACTA preveda l’applicazione delle
misure previste in ambito civile e penali – invece oggetto
delle maggiori critiche – anche alle misure in ambito digitale,
con ciò investendo anche tali disposizioni dei dubbi e delle
perplessità evidenziate sotto quei profili.

Lo Studio giunge alla conclusione che un consenso
incondizionato da parte del Parlamento Europeo sarebbe una
“risposta non appropriata”
, alla luce delle
perplessità che alcuni punti destano, e che, per i parlamentari
europei per i quali la conformità di ACTA alla normativa europea
costituisce una conditio sine qua non per l’approvazione
dell’Accordo, il consenso debba essere condizionato a che
alcune disposizioni siano modificate.

Come risulta evidente anche dalla notizia circa la sospensione
del processo di ratifica di ACTA, in primis, da parte della
Polonia e poi della Germania, il dibattito è certamente aperto.
Un’ulteriore conferma è giunta dalla dichiarazione resa in
data 22 febbraio 2012 dal Commissario De Gucht della Commissione
Europea, secondo la quale la Commissione Europea intende
sottoporre ACTA alla Corte di Giustizia Europea, al fine di
ricevere un parere sulla compatibilità o meno dell’Accordo
con i diritti e le libertà fondamentali in ambito EU (il diritto
di libertà di espressione e la protezione dei dati personali).

Lo scopo principale sarebbe quello di fornire ai
Parlamentari Europei e, in ultima analisi, all’opinione
pubblica in generale, informazioni precise e dettagliate
sull’Accordo, per un dibattito fondato sui fatti e non
sulla disinformazione e sui rumor spesso circolati in rete negli
ultimi mesi
.

Nel frattempo, in questo quadro, sembra interessante segnalare
due avvenimenti. Il primo riguarda la recentissima sentenza della
Corte di Giustizia EU del 16 febbraio 2012, nel caso SABAM
(società autori ed editori belga) contro Netlog NV (società che
gestisce una piattaforma di rete sociale in linea), secondo la
quale le vigenti direttive CE in materia di commercio elettronico
e diritto d’autore e diritti connessi in ambito internet
(Dir 2000/31 CE, Dir 2001/29 CE e 2004/48 CE) non consentono che
un giudice nazionale ingiunga ad un ISP di predisporre un sistema
generale di filtraggio delle informazioni memorizzate sui propri
server.

Da ultimo, è di questi giorni la notizia che la Commissione
Europea ha pubblicato, sul proprio sito internet, la road map per
la revisione della Direttiva CE sul rispetto del diritti di
proprietà intellettuale (Dir 2004/48 CE).

DA SAPERE

Il mondo digitale ha bisogno di regole

Nella prospettiva dell’operatore del diritto, ogni
riflessione su ACTA ed in generale sulle misure necessarie a
garantire un’efficace tutela dei diritti di proprietà
intellettuale in ambito digitale, non può non confermare il
fatto che l’Internet service provider, in quanto detentore
dei dati sul traffico, è e rimane una figura fondamentale per
l’individuazione e la rimozione di comportamenti illeciti
nella rete.

Da qui l’utilità di trovare forme efficaci di cooperazione
con gli ISP, comprese misure davvero enforceble nei confronti di
tali soggetti, evidentemente sempre entro i confini della
normativa europea ed internazionale vigente.

È auspicabile che vi sia un lavoro davvero costruttivo
in tal senso che non si fermi alle polemiche circa la limitazione
di diritti fondamentali
, quali la libertà di
espressione, che da un po’ di tempo sembrano accompagnare
(o meglio, rallentare) ogni tentativo di trovare soluzioni in
tale settore, ma vada oltre, nella ricerca di un reale
contemperamento dei diversi interessi e diritti in gioco,
certamente quello degli utenti della rete, ma anche quelli dei
titolari di diritti d’autore e connessi, i cui legittimi
interessi sembrano essere quelli maggiormente pregiudicati dalla
rivoluzione digitale in corso.

Leggendo i commenti che circolano in rete (ma non solo) su ACTA,
così come su altre recenti proposte di provvedimenti
legislativi, si pensi a SOPA e PIPA negli Stati Uniti o al nostro
emendamento “Fava”, si ha, infatti, la sensazione che
sia in corso una sorta di “crociata” contro ogni
tentativo di dotare il mondo digitale di regole chiare a tutela
di tutti i soggetti coinvolti, invocando a tal fine – talvolta in
modo strumentale – la difesa di principi, peraltro sacrosanti,
come il diritto alla libertà di espressione o la protezione dei
dati personali.

È chiaro a tutti che la materia è particolarmente delicata
proprio perché gli interessi coinvolti sono di diversa natura e
tra questi vi è certamente il diritto delle persone fisiche
all’accesso ad internet (e di esprimersi tramite tale
mezzo), di recente assurto a principio fondamentale del diritto
comunitario.

Tuttavia, sarebbe auspicabile che il dibattito su questi temi
assumesse toni più pacati, lasciando alle istituzioni competenti
il compito di verificare la compatibilità (che deve sussistere)
di provvedimenti di legge ai principi e ai diritti fondamentali
degli ordinamenti vigenti, principi e diritti che devono essere
certamente salvaguardati ma sempre all’interno di regole
chiare.

In sostanza, il mondo digitale è costituito (e non potrebbe
essere in altro modo) non solo dai “liberi utenti della
rete” ma anche da operatori economici i cui interessi
legittimi devono essere tutelati da strumenti giuridici efficaci
e condivisi, e non contrastati “a priori” da slogan
stile anni ’70, il cui effetto rischia di ripercorrere le
stesse, nefaste, orme di allora.

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