L’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nei processi aziendali non riguarda soltanto l’efficienza tecnologica, ma ridefinisce profondamente il modo in cui le imprese progettano e gestiscono l’esperienza del cliente. Le ricerche degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, presentate durante il convegno AI for OCX: le strategie delle aziende italiane, fotografano con chiarezza come l’AI e Omnichannel Customer Experience stiano diventando un binomio decisivo.
Le analisi mostrano che le aziende si muovono su tre piani intrecciati: la convergenza strategica tra intelligenza artificiale e omnicanalità, la trasformazione delle competenze e dei ruoli professionali, e la ricerca di modelli organizzativi e partnership capaci di sostenere l’innovazione.
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La convergenza tra AI e Omnichannel Customer Experience
Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience, ha sottolineato come il principale rischio sia quello di vedere due percorsi paralleli che non si incontrano mai: da un lato la crescita dell’intelligenza artificiale, dall’altro l’evoluzione dell’omnicanalità. «Uno dei rischi è che la AI strategy rimanga troppo centrata sui dati, perdendo di vista i bisogni del cliente, mentre l’Omnichannel Customer Experience resta focalizzata sul consumatore senza sfruttare appieno le potenzialità tecnologiche».
La mappatura delle imprese italiane condotta dagli Osservatori mostra però una correlazione positiva. Le aziende che investono in AI tendono a farlo anche nei progetti di Customer Experience, segnalando una progressiva convergenza. A livello internazionale, il dato è confermato dal report del MIT ricordato da Spiller: oltre il 70% della spesa in intelligenza artificiale si concentra su marketing e vendite, e un ulteriore 10% sul customer care. Processi che, non a caso, rappresentano il cuore della Omnichannel Customer Experience.
La maturità delle aziende italiane rimane però limitata. Più del 60% delle imprese analizzate si colloca ancora nei segmenti definiti “Starter” o “Beginner”, con progettualità iniziali e non ancora scalabili. Questo significa che, pur esistendo esempi di eccellenza, la maggioranza delle organizzazioni deve ancora affrontare un percorso di crescita per integrare pienamente l’AI e Omnichannel Customer Experience.
Competenze hard e soft per l’AI for OCX
Il tema delle competenze è stato affrontato da Andrea Meroni, degli Osservatori Digital Innovation, che ha messo in evidenza come la trasformazione non possa ridursi a un mero aggiornamento tecnologico. «È fondamentale chiarire quali interventi affidare all’AI e dove invece mantenere il contributo dell’operatore» ha dichiarato Meroni, spiegando che l’equilibrio tra automazione e presenza umana resta la chiave per una customer experience efficace.
Secondo Meroni, le competenze hard oggi richieste includono la capacità di progettare processi AI-driven, la data literacy – intesa come abilità nel raccogliere, pulire e interpretare i dati – e il prompting, cioè la capacità di dialogare con i sistemi di intelligenza artificiale fornendo istruzioni chiare e contestualizzate. Sul piano delle competenze soft, assumono rilievo il pensiero critico, per valutare gli output ed evitare bias, e la creatività, indispensabile per adattarsi a un ambiente tecnologico in rapida evoluzione. Meroni ha richiamato anche il valore della collaborazione empatica, necessaria a coordinare team con background differenti senza perdere di vista la prospettiva del cliente.
Nuovi ruoli professionali
La trasformazione delle competenze ha portato all’emergere di nuove figure. L’AI Prompt Engineer è forse la più discussa, con il compito di elaborare strategie di interazione che rendano l’AI più efficace nel rispondere alle richieste dei clienti. Accanto a questa figura si stanno affermando l’AI UX Designer, che progetta i flussi interattivi lungo i vari touchpoint, e i Conversation Analyst o Knowledge Manager, incaricati di analizzare le conversazioni alimentate dall’AI e migliorare la knowledge base. Meroni ha osservato che «queste figure lavorano in sinergia con i team di omnicanalità, portando competenze che non sempre sono presenti in modo diffuso all’interno delle aziende».
Il presidio quotidiano viene affidato al supervisor, che garantisce il corretto funzionamento dei sistemi e coordina le attività operative. Queste professionalità, ancora poco diffuse, stanno però diventando cruciali per tradurre la tecnologia in valore concreto per la relazione con il cliente.
Modelli di governance e organizzazione
La questione organizzativa è altrettanto centrale. Gli Osservatori hanno individuato quattro modelli principali con cui le aziende gestiscono i progetti di AI e Omnichannel Customer Experience. Il modello del Center of Excellence prevede un hub centralizzato di competenze esperte, mentre quello ibrido, oggi tra i più diffusi, integra specialisti AI nei team di marketing, vendite e customer care mantenendo un coordinamento centrale. Esistono poi approcci distribuiti, che collocano team AI a supporto delle singole funzioni, e il modello collaborativo, in cui un team unico guida la strategia per l’intera organizzazione.
La fotografia delle imprese italiane mostra una prevalenza del modello distribuito, con specialisti inseriti nei diversi reparti senza una governance centrale forte. Le realtà più mature si stanno invece orientando verso modelli ibridi, che permettono di bilanciare agilità operativa e coerenza strategica. Center of Excellence e modelli collaborativi risultano meno frequenti perché richiedono un livello più avanzato di maturità digitale.
Partnership e strategie di adozione
Spiller ha affrontato anche il tema del dilemma “build vs buy”. Secondo i dati raccolti dagli Osservatori, le aziende che scelgono di sviluppare tutto internamente incontrano maggiori difficoltà, mentre «le imprese che avviano partnership con attori esterni hanno un tasso di successo doppio». Le partnership tecnologiche consentono di accedere a competenze e risorse non sempre disponibili internamente e di accelerare i tempi di implementazione, riducendo i rischi.
Per molte organizzazioni italiane, l’alleanza con società di consulenza, fornitori tecnologici o startup innovative rappresenta quindi la via più rapida ed efficace per far evolvere i progetti di AI e Omnichannel Customer Experience.
Benefici e criticità dell’adozione
I dati raccolti dagli Osservatori dimostrano che i benefici dell’introduzione dell’AI nella customer experience sono già tangibili. Meroni ha citato che il 41% delle imprese coinvolte ha registrato un efficientamento operativo, grazie alla combinazione tra automazione e supporto agli operatori. Le aziende non parlano solo di produttività, ma anche di maggiore efficacia, intesa come capacità di rispondere ai clienti in maniera più proattiva, con effetti positivi su soddisfazione e loyalty.
Accanto ai risultati positivi emergono però criticità significative. Il change management rimane una sfida aperta, perché richiede di colmare gap di competenze e superare le resistenze culturali. Le imprese devono affrontare anche ostacoli legati all’integrazione delle infrastrutture e al superamento dei silos informativi, oltre a garantire il rispetto delle normative in materia di sicurezza e privacy. Non meno importante è il monitoraggio costante della qualità degli output generati dall’AI, per evitare errori o distorsioni che potrebbero compromettere la relazione con i clienti.
Una trasformazione organizzativa profonda
Dall’analisi degli Osservatori emerge un quadro chiaro: l’adozione di l’AI e Omnichannel Customer Experience non si limita a introdurre nuove tecnologie, ma incide direttamente su strategie, competenze e governance. È una trasformazione che tocca i nodi centrali dell’organizzazione, ridefinisce ruoli e modelli e apre scenari in cui la relazione con il cliente diventa il terreno privilegiato su cui misurare l’efficacia dell’innovazione.















