Questo è il terzo articolo di un ciclo che si pone l’obiettivo di affrontare le diverse sfaccettature del rischio di fornitura, descrivendo empiricamente quanto rilevato da una recente ricerca svolta dal Laboratorio RISE dell’Università di Brescia, insieme allo spin-off accademico IQ Consulting, recentemente acquisito da Digital360.
Nel primo articolo è stato descritto il campione di indagine, di cui è stata analizzata la dimensione per fatturato e per dipendenti, la dispersione geografica e il numero di fornitori per classe dimensionale; nel secondo è stato affrontato il tema del livello di adozione dei sistemi di prevenzione, approfondendo quante aziende oggi utilizzano un sistema di gestione del rischio di fornitura e quali siano le caratteristiche tipiche di questi sistemi.
Frequenza e motivazioni delle interruzioni di fornitura
In occasione dell’indagine è stato richiesto a ciascun rispondente anche di riportare in quante e quali interruzioni del flusso di forniture si fosse imbattuto negli ultimi 10 anni, riportando i dettagli dei 3 eventi principali.
Analizzando le risposte riguardo alla numerosità delle interruzioni di fornitura è stata calcolata la probabilità di fallimento di un fornitore. La figura sottostante riporta il risultato dell’analisi per classe dimensionale delle aziende intervistate. Le colonne verdi riportano la probabilità media rilevata per ciascuna classe, tenendo in considerazione l’effettivo parco fornitori rilevato; le colonne grigie invece ricalcolano la medesima probabilità rapportandola a 100 fornitori. Tale espediente si è reso necessario nella considerazione che il parco fornitori assume tipicamente un’ampiezza molto differenziata a seconda della classe dimensionale dell’azienda.
Come si vede, la probabilità media annua d’interruzione delle forniture è pari al 17% considerando la dimensione reale del parco di fornitori detenuto dalle varie aziende: pertanto, l’azienda media del nostro campione sperimenta un’interruzione repentina delle forniture ogni 5,9 anni circa. Riferendosi al dato riparametrato a 100, si vede come le aziende grandi incorrano nelle interruzioni di fornitura molto meno frequentemente delle altre (2%), che si attestano tra il 6 ed il 10%.
La prossima figura riporta, invece, le cause rilevate dall’indagine: nella maggior parte dei casi si tratta del default finanziario del fornitore, seguito (seppure con grande distacco) da avarie tecniche degli impianti del fornitore e l’instabilità geo-politica del paese dov’è localizzato lo stabilimento del fornitore. Lungo questa dimensione si assiste a una forte dispersione delle causali, visto che un terzo esatto dei fenomeni rilevati sono ascrivibili ad altri motivi, tra cui la variazione di leggi e regolamenti, la variazione dei tassi di cambio, le problematiche doganali, le motivazioni etiche, sociali, sanitarie e quelle connesse a calamità naturali.
Partendo da questa analisi, da ora in avanti la trattazione si concentrerà sul fenomeno di interruzioni della fornitura per default, o fallimento del fornitore, sapendo così di intercettare la metà abbondante di questi fenomeni.
Descrizione dei fornitori venuti meno e della tipologia di relazione esistente
Piuttosto immaginabile risulta l’esito dell’analisi relativa alla categorizzazione per dimensione dei fornitori falliti, rappresentato in figura 3: il rischio è inversamente correlato alla dimensione dell’azienda, per cui grandi aziende hanno una probabilità di fallimento più bassa, e viceversa per le realtà più piccole, che caratterizzano il contesto italiano.
Il risultato di questa analisi va incrociato con quanto emerso nel precedente articolo che indagava le caratteristiche dei sistemi di analisi e prevenzione del rischio di fornitura, che aveva messo in luce il prevalere di sistemi che si concentrano su un limitato numero di fornitori, costituenti la classe A di pareto per valore di acquistato. Se da un lato l’impiego della legge di Pareto è frequentemente molto pratico nelle decisioni gestionali, in quanto aiuta a concentrare l’attenzione dei manager sugli effetti che veramente contano, in questo specifico contesto si dimostra potenzialmente inadatto, nella misura in cui la massima probabilità di fallimento si esprime nelle aziende fornitrici di piccola dimensione.
È paradigmatica, a questo proposito, la dichiarazione del Direttore Acquisti di una delle aziende intervistate, tra l’altro caratterizzata da grandi dimensioni e da un ottimo livello di strutturazione manageriale: «Non svolgiamo particolari indagini per verificare la solidità finanziaria dei nostri fornitori, visto che li abbiamo ridotti a poche decine, e li conosciamo da molti anni, come le nostre tasche». Solo poche settimane dopo questa dichiarazione, uno dei fornitori più sicuri di questa azienda è fallito, determinando problemi di sostituzione che si sono poi protratti per mesi.
Evidentemente non basta una conoscenza umana e soggettiva: gli eventi fortuiti ma potenzialmente dirompenti sono sempre in agguato e l’assenza di un sistema formalizzato di valutazione e gestione del rischio determina un mancato presidio di questi fattori soprattutto rispetto a fornitori consolidati che non suscitano timori e scetticismi riguardo la loro salute, perchè di lunga data.
Presenza di backup / ricerca di nuovi fornitori
In conclusione, è stato indagato il comportamento delle aziende in un momento successivo alle interruzioni di fornitura, cercando di capire come si riorganizzi il parco fornitori e con quale frequenza venga ricercato e ingaggiato un fornitore di backup.
Dalla tabella presentata in figura 7, emerge chiaramente come nel 71% dei casi di fallimento censiti si fosse adottata, già prima dell’interruzione di fornitura rilevata, un approccio di multiple-sourcing, da un lato per motivi legati alla limitata capacità produttiva del fornitore principale, ma dall’altro proprio per assicurarsi una soluzione di emergenza in casi di necessità, mitigando l’effetto dell’eventuale fallimento di un fornitore.
Al momento delle interruzioni della fornitura, meno di un terzo dei clienti non si erano già premuniti con una o più alternative, mentre quasi nella metà dei casi si era agito con lungimiranza, dotandosi di due o più fornitori di backup rispetto a quello fallito (multiple sourcing). La politica di multiple sourcing mitiga l’effetto dell’evento dannoso, riducendo l’esigenza di sostituire il fornitore fallito al 44% dei casi, contro ben il 69% dei casi nei contesti di single sourcing.
Curiosamente, si osserva però che anche nei contesti di single sourcing, il fornitore fallito non viene sostituito in quasi 1 caso su 3, inducendo a pensare che non fosse, effettivamente, indispensabile.
Il prossimo articolo
Nel prossimo articolo, che sarà pubblicato tra qualche settimana, sarà sviluppato un approfondimento sui tempi e sui costi impegnati per sostituire i fornitori falliti.