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Gli approcci più efficaci per superare il paradosso della complessità delle moderne Supply Chain

Le stesse forze che generano maggiore incertezza, in termini di ampiezza di gamma e funzionalità di prodotto, richiedono anche più semplicità e stabilità per permettere all’azienda di competere sul tempo e sul prezzo. Quali leve si possono impiegare per agire sul sistema nella direzione della decomplexity

Pubblicato il 15 Feb 2023

Marco Perona

Professore Ordinario di Supply Chain Management presso l'Università degli Studi di Brescia

complessità delle Supply Chain

Negli ultimi decenni si è accumulato un voluminoso corpus di ricerca sia teorica sia empirica sul tema della complessità delle Supply Chain, che punta in modo univoco verso una direzione chiara.

Per restare competitive a livello globale in qualsiasi settore, le aziende devono dominare un numero sempre crescente di tecnologie, accontentare clienti con esigenze, gusti e capacità di spesa sempre più diversificati, approvvigionare materiali, componenti e servizi da un numero sempre più grande di localizzazioni geografiche disparate e sempre più remote. Devono anche ottemperare a un sistema sempre più articolato di leggi e regolamenti in vigore presso giurisdizioni anche molto differenziate tra di loro, fronteggiare perturbazioni endogene ed esogene sempre più forti e meno prevedibili e mettere sul mercato gamme di prodotti sempre più ampie e diversificate. Tutto questo porta inesorabilmente ad aumentare la complessità e l’incertezza delle catene del valore.

Tuttavia, al tempo stesso, la crescente competizione che deriva dalla globalizzazione e dalla maturità di molti mercati e settori impone alle imprese la riduzione dei tempi e dei prezzi. Time-to- market compressi, tempi di risposta agli ordini che potremmo definire “missilistici”, costi sotto controllo e prezzi super competitivi. Insomma, tutte condizioni che (ovviamente) sono più facili da raggiungere in regime di semplicità e stabilità piuttosto che di complessità ed incertezza.

Si può, quindi, parlare di un paradosso della complessità, poiché le stesse forze che impongono maggiore complessità e incertezza nella competizione su ampiezza di gamma e personalizzazione del prodotto richiedono anche più semplicità e stabilità per competere sul tempo e sul prezzo.

Perché parlare di complessità delle Supply Chain?

Come uscirne? La chiave ce la offre una ricerca empirica. Anni fa con Giovanni Miragliotta intervistammo qualche decina di aziende operanti nella filiera dell’apparecchio domestico, alla caccia della soluzione a questo paradosso. Esplorammo l’applicazione di alcune decine di leve di decomplexity, all’interno dei processi di business chiave per un’azienda manifatturiera (sviluppo prodotto, approvvigionamento, produzione, logistica, vendita, …) e i risultati connessi. La risposta non poteva essere più chiara. Dopo avere svolto le interviste e raccolto i dati, suddividemmo il campione d’imprese intervistate in 3 classi:

  • Le aziende pigre, ovverossia quelle che implementavano al più qualche leva a macchia di leopardo, sena una apparente coerenza
  • Le aziende attente al tema della complessità, capaci di porre in atto in aggiunta alle pigre la maggior parte, se non tutte, le leve a cui avevamo pensato all’interno di uno specifico processo, con un’azione quindi di tipo verticale
  • Infine, le aziende maniache, ossia quelle capaci di porre in atto la maggior parte delle leve trasversalmente su tutti i processi

Ebbene, monitorando i principali risultati economici medi di queste classi di imprese (figura 1) si vede bene come i maniaci ottengano mediamente sia una redditività del business superiore (misurata con il rapporto EBITDA / fatturato) sia una competitività commerciale (misurata attraverso la crescita del fatturato a 3 anni) decisamente più sostenuta.

Nella medesima figura si vede molto bene, tra l’altro, che la prestazione dei maniaci è molto più elevata rispetto a quella delle imprese attente, mentre queste ultime sono invece tutto sommato piuttosto vicine a quelle pigre.

complessità supply chain
Figura 1: risultati delle aziende per classe di attenzione alla decomplexity

Insomma, le aziende che praticano la decomplexity risultano al tempo stesso sia più efficaci sia più efficienti delle altre aziende, ma per ottenere risultati world class occorre applicare questo concetto sistematicamente, su tutti i processi e con tutte le leve a disposizione.

Cosa significa complessità delle Supply Chain?

A questo punto è lecito domandarsi esattamente cosa sia la complessità di una Supply Chain, come possa essere definita e misurata. Se, infatti, accettiamo che sia importante ridurla o controllarla attraverso la leva della decomplexity, dobbiamo anche convenire che, come diceva l’economista austriaco Peter Drucker, “If you cannot measure it, you cannot improve it” (se non lo puoi misurare, non lo puoi migliorare).

Pertanto, se per riuscire ad ottenere prestazioni world class occorre controllare e ridurre la complessità, per ottenere quest’ultimo risultato si deve partire da una sua definizione che ci aiuti a sviluppare anche degli opportuni strumenti di misura.

Possiamo, a questo proposito, prendere a prestito i risultati della Teoria dei Sistemi Complessi, (in inglese CAS, Complex Adaptive Systems) una branca della scienza moderna che studia sistemi dinamici con capacità di auto-organizzazione, composti da un numero elevato di parti interagenti in modo non lineare, come una comunità di persone, il traffico urbano oppure il cervello umano.

Anche una Supply Chain è un ecosistema complesso di questo tipo e il suo livello di complessità può quindi essere descritto dalle medesime dimensioni impiegate per quei tipi di sistema complesso (figura 2):

Varietà

La varietà, che in questo caso corrisponde al numero di Business Objects indipendenti che interagiscono all’interno di una catena del valore. Ciascuna delle entità fondamentali di cui si compone una Supply Chain può essere definito come un oggetto di business. Ad esempio, un prodotto o un componente, un cliente oppure un fornitore, una tecnologia, uno stabilimento, un operatore (o una squadra di operatori con la medesima competenza) sono tutti Business Objects che interagiscono all’interno della filiera.

Quindi, ceteris paribus, una Supply Chain che realizza migliaia di prodotti è più complessa di una che ne fa solo centinaia. Una catena del valore che si sviluppa con un solo stadio logistico-produttivo è meno complessa di una che prevede 5 passaggi dalla materia prima al cliente finale, e così via.

Relazioni

Sebbene la varietà sia un elemento molto rilevante nel definire la complessità di una Supply Chain, essa non è il solo elemento rilevante e forse neppure il più rilevante.

Va, infatti, preso in considerazione il modo attraverso il quale questi Business Objects interagiscono tra di loro, ovverossia le relazioni che sussistono tra essi. Sappiamo tutti che, a parità di automobili e di chilometri di strada, un centro urbano è molto più complesso di un’autostrada, perché sia le diverse strade sia le diverse automobili entrano in relazione tra di loro: si incrociano, si ostacolano, etc.

Allo stesso modo, due stabilimenti con esattamente il medesimo numero di macchinari e operatori possono avere un livello molto diversificato di complessità in funzione della loro morfologia, ad esempio se uno ha flussi lineari che lo attraversano, creando solo 2 relazioni per ogni macchinario (monte e valle), mentre il secondo ha flussi intrecciati tra i diversi macchinari, come può capitare in un sistema a reparti.

E lo stesso può avvenire per la struttura del prodotto (es: una materia prima può essere usata per realizzare un solo componente che va in un solo prodotto finito, oppure può servire a costruire diversi componenti diversi che entrano in molti prodotti finiti), per le relazioni di approvvigionamento (ogni fornitore consegna ad un solo stabilimento, oppure a tutti gli stabilimenti) e di distribuzione.

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Figura 2: le dimensioni della complessità di una Supply Chain
  • L’aggregato della varietà e delle relazioni misura quindi quali entità diverse compongono la Supply Chain e come esse interagiscano. Resta pertanto da tenere conto della loro variabilità nel tempo per completare la definizione e la misura della complessità di una generica Supply Chain. Possiamo, infatti, accettare che due catene del valore identiche quanto a varietà e relazioni differiscano in maniera notevole nella loro complessità se una assume uno stato stazionario che dura senza variazioni significative per decenni, mentre la seconda modifica dinamicamente nel tempo i prodotti, le tecnologie produttive oppure la legislazione che regolamenta il mercato.

Complesso oppure complicato?

Ma non si può capire per davvero in profondità il concetto di complessità senza avere spiegato compiutamente la differenza che intercorre tra un sistema complesso e uno complicato: questi due aggettivi, infatti, vengono frequentemente utilizzati come sinonimi, ma non lo sono affatto. Complicato deriva dal latino cum plico e sta a indicare un oggetto piegato, avvolto su se stesso.

Complicato: difficile da codificare e da risolvere

Pertanto, un problema è complicato quando si è difficile da codificare e da risolvere. Ad esempio, un nodo molto aggrovigliato e difficile da sciogliere oppure un problema di matematica avanzata, ma che alla fine, con un po’ di pazienza e applicazione, riusciamo ad affrontare.

Complesso deriva dal latino cum plexus, ossia qualcosa di intrecciato, composto da una molteplicità di parti interdipendenti fra loro. Una situazione può essere considerata complessa perché ha origine dall’intreccio di elementi che interagiscono fra loro in maniera imprevedibile. In una situazione complessa, quindi, è difficile individuare e gestire tutte le variabili, così come è sostanzialmente impossibile prevederne gli sviluppi.

Un problema complesso non presenta un’unica soluzione

Un problema che definiamo complesso non presenta un’unica soluzione, ma necessita di essere considerato globalmente, analizzando tutti gli elementi che lo compongono e le loro interazioni.

Fare il fisico teorico è un lavoro complicato: non tutti sono in grado di spingere le proprie capacità intellettuali sino ai vertici di astrazione necessari per discettare di super-stringhe e di unificazione delle forze della natura. Viceversa, non è un lavoro complesso, giacché non richiede di applicarsi in tanti campi diversi e non impone di sviluppare un elevato numero di relazioni.

Al contrario, fare l’imprenditore è un lavoro complesso, giacché richiede di risolvere quotidianamente tantissimi problemi, ciascuno dei quali potrebbe magari essere anche relativamente semplice, ma che sono tra di loro strettamente correlati pur appartenendo ad aree disciplinari anche molto diverse quali: l’amministrazione, l’organizzazione del personale, la contrattualistica, le normative, la tecnologia, la gestione delle informazioni, la negoziazione, etc.

Le leve per la decomplexity

Ora che ci siamo chiariti come definire e misurare la complessità di un sistema industriale, passo ad esaminare quali leve si possono impiegare per agire sul sistema nella direzione della decomplexity.

Diciamo subito che esse possono essere classificate fondamentalmente secondo due profili (figura 3): il loro meccanismo di azione e l’effetto che provocano se applicate al sistema industriale.

Si distinguono due meccanismi principali di azione attraverso cui una leva può generare risultati di decomplexity:

  • l’effettiva riduzione della complessità del sistema, che per quanto abbiamo detto corrisponde o a una riduzione del numero di Business Objects (ad esempio, il consolidamento della gamma di prodotti oppure la riduzione del numero di fornitori con cui si interagisce) o all’eliminazione di alcune relazioni (per esempio, la linearizzazione dei flussi di produzione); oppure, infine, alla riduzione della dinamicità con cui Business Objects e relazioni si modificano nel tempo. Naturalmente, la decomplexity può anche essere ottenuta tramite una combinazione di queste azioni;
  • la riduzione degli effetti della complessità. Potrebbe, infatti, non essere sempre facile ottenere una oggettiva riduzione della complessità, ad esempio perché la dinamicità del sistema può essere di natura esogena e, quindi, non controllabile da una singola azienda.

Si può, allora, ricorrere a leve che non vanno ad impattare sull’oggettiva misura di quanto sia complesso il sistema ma, per così dire, neutralizzano gli effetti negativi di tale complessità. Ad esempio, se non è possibile linearizzare i flussi di produzione e trasformare un sistema a reparti con flussi intrecciati in un sistema composto da N linee parallele, ciascuna senza relazioni con le altre, si potrà quantomeno adottare uno schedulatore di produzione per gestire in modo il più possibile ottimizzato la complessità del sistema a reparti.

complessità supply chain
Figura 3: alcuni esempi di leve della decomplexity

Gli effetti della riduzione degli elementi di complessità delle Supply Chain

Specularmente ai meccanismi di azione, possiamo distinguere tre diversi effetti derivanti dall’applicazione delle leve di decomplexity.

Aumento dell’efficienza aziendale

Si riferisce alla  capacità di generare più output a pari input, oppure di usare meno input per generare il medesimo output. Ad esempio, in determinate situazioni, sviluppare delle partnership di lungo termine con i fornitori anziché delle relazioni spot in cui volta per volta si acquista dal migliore offerente consente di minimizzare non solo localmente il costo dei singoli acquisti, ma in ottica più complessiva il cosiddetto costo totale di possesso (TCO). Questo è rappresentato dalla somma tra il costo degli acquisti + il costo del processo di acquisto (che comprende tutte le attività e le persone che pianificano, ordinano, sollecitano, controllano, …) + il costo del mantenimento della relazione (dentro al quale mettiamo l’investimento e il costo sostenuto per trovare, valutare e certificare il fornitore, insieme a tutti gli investimenti relation-specific come ad esempio l’integrazione dei sistemi informativi).

Aumento dell’efficacia dell’attività dell’azienda

Ovvero la capacità di accontentare il cliente fornendogli i prodotti o i servizi che desidera nella configurazione che più lo accomoda e quando ne ha bisogno. O, specularmente, quella di non scontentarlo attraverso forniture in ritardo oppure non conformi alle richieste o, infine, con prodotti e servizi che non sono pienamente rispondenti alle sue esigenze. Questo è esattamente ciò che, ad esempio, avviene attraverso l’impiego della leva della modularità di gamma, che le aziende impiegano per poter aumentare l’ampiezza della gamma dei prodotti che forniscono e per accelerare lo sviluppo dei nuovi prodotti.

Miglioramento simultaneo dell’efficacia e dell’efficienza

Infine, si è visto che un ristretto nucleo di leve ha il potenziale per migliorare simultaneamente sia l’efficienza sia l’efficacia. Queste due caratteristiche sono solitamente caratterizzate da una situazione di equilibrio (in inglese trade-off) che impone di ridurre l’efficienza se si aumenta l’efficacia e viceversa. Ma queste leve sono invece in grado di migliorarle simultaneamente, facendo “saltare” l’azienda verso un’altra curva di equilibrio. È, per esempio, il caso del ridisegno del sistema produttivo che da una configurazione per reparti passa ad una più lineare guadagnando in efficienza (maggiore saturazione dei macchinari, minori tempi di attesa e di attraversamento, riduzione delle scorte) ma anche in efficacia (consegne più puntuali, riduzione dei tempi di consegna, …).

Ed evidentemente, è proprio questa capacità di migliorare simultaneamente sia l’efficienza sia l’efficacia, legata sia all’impiego di quest’ultimo tipo di leve, sia all’attivazione simultanea di molte leve di tutte le tipologie indicate e in tutti i processi sotto osservazione che consente alle imprese “maniache” della figura 1 di ottenere un risultato così migliore rispetto a quello delle altre simultaneamente sia nell’efficienza (EBITDA/fatturato) sia nell’efficacia (aumento fatturato).

La strategia di attacco alla complessità

Ma quindi, come è possibile sviluppare un programma coerente e sistematico di contrasto alla complessità e ai suoi effetti e diventare un’azienda “maniaca”?

Ecco una breve roadmap tratta dai casi virtuosi che abbiamo esaminato nel corso della nostra ricerca.

Riconoscere e separare la complessità che costa dalla complessità che vale

Va, infatti, sottolineato che noi vogliamo poter scegliere tra una varietà ampia di prodotti, marche, posizionamenti, accessori e personalizzazioni. Tutto questo, entro giusti limiti, genera opportunità e valore. Quindi, tutti quegli elementi che, pur generando complessità, sono visibili al cliente e, quindi, portatori di differenziazione, vanno mantenuti e promossi. Sono, invece, solo quegli elementi di complessità che non essendo visibili al cliente assorbono solo tempo e risorse senza generare ritorni che vanno eliminati.

Identificare e quantificare i costi connessi alla complessità

Infatti, la complessità comporta numerosi costi aggiuntivi (figura 4), connessi sia alla varietà, sia alle relazioni sia, infine, alla variabilità, che è bene quantificare. Ad esempio: più è ampia e articolata la mia gamma prodotto e meno sarò in grado di automatizzarne la produzione; meno riuscirò a dedicare un operatore ad una macchina e ad una lavorazione e più dovrò investire per addestrare questo operatore a fare diversi ruoli in maniera competente; più opererò in un contesto dinamico e variabile e più sarò costretto a tanti transitori e a pochi periodi a regime, etc.

Quantificare il valore connesso alla complessità

Quantificare il valore connesso alla complessità impiegando l’analisi del valore per stimare il valore della varietà ed ampiezza dell’offerta di prodotti e servizi, e il Value Stream Mapping per valutare quali delle attività del processo primario e dei processi di supporto portano effettivamente valore percepibile dal cliente e quali invece no.

Valorizzare gli elementi di valore e ridurre o eliminare gli elementi di costo

Non è facile dire esattamente cosa si possa fare in termini generali in questa fase, visto che si tratta di una fase e di tecniche molto diversificate a seconda dell’ambito e del settore. L’idea generale, comunque, è quella di eliminare tutti quegli aspetti (Business Objects o relazioni) che generano più costo che valore: ad esempio, eliminare clienti che comprano troppo poco o che pagano male; prodotti che non marginano a sufficienza; tecnologie rispetto alle quali non siamo leader, e macchinari che non vengono adeguatamente utilizzati.

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Figura 4: I costi della complessità

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