Il 2017 verrà sicuramente ricordato per l’approvazione della legge sullo Smart Working e per la crescente attenzione da parte dei media. In effetti, a tutto questo corrisponde nella realtà quotidiana un continuo aumento degli “smart worker”, definiti come professionisti con rilevanti margini di scelta su luogo, orario e strumenti per fare il proprio lavoro. Secondo l’Osservatorio Smart Working 2017, presentato pochi giorni fa, in Italia oggi si possono stimare 305mila smart worker, con un aumento del 14% rispetto al 2016, e un’incidenza che tocca ormai l’8% del totale dei lavoratori in Italia.
Questo trend di crescita è perfettamente comprensibile alla luce dei benefici che lo Smart Working apporta sia alle aziende che lo implementano (l’Osservatorio stima un 15% di crescita della produttività), sia ai lavoratori, sia alla collettività in termini di minore inquinamento dell’aria per la riduzione degli spostamenti con auto, moto e mezzi pubblici.
È interessante quindi capire quanto i concetti di Smart Working siano stati recepiti, e siano già messi in pratica, dalle piccole e medie imprese (PMI), che in Italia costituiscono la stragrande maggioranza del tessuto economico. Per approfondire questi elementi l’Osservatorio quest’anno ha coinvolto un campione statisticamente rappresentativo di 567 imprese italiane tra i 10 e i 250 addetti (ovvero pienamente rispondenti alla definizione di PMI della Comunità Europea).
Dall’analisi emerge che il 7% delle PMI ha iniziative strutturate di Smart Working, cioè iniziative basate su almeno due delle leve di progettazione dello Smart Working: flessibilità di luogo, di orario, ripensamento spazi, cultura orientata ai risultati e dotazione tecnologica adeguata per lavorare da remoto.
Un altro 15%, pur non avendo iniziative strutturate, di fatto implementa informalmente concetti di Smart Working. Il 12% del campione si dichiara possibilista in merito all’introduzione, mentre il 3% prevede di lanciare un’iniziativa nel breve periodo, entro i prossimi 12 mesi. Parliamo quindi in totale di un 37% di PMI interessate o già attive sullo Smart Working. Le motivazioni principali che le guidano sono il miglioramento della produttività e della qualità del lavoro svolto (67%), il miglioramento del benessere organizzativo (27%) e la conciliazione tra vita privata e professionale, cioè il cosiddetto “work-life balance” (16%).
Fin qui la parte più confortante dell’indagine, secondo cui però c’è un altro 40% di PMI che si dichiara non interessato a introdurre lo Smart Working. Si tratta soprattutto di aziende dei settori manifatturiero (33%), costruzioni/riparazioni/installazioni (17%), commercio (15%) e hospitalty & travel (15%). La motivazione principale è la limitata applicabilità nella propria specifica realtà, come dichiara il 53% delle aziende, seguita dal disinteresse da parte del management (11%) e dal limitato grado di digitalizzazione dei processi (7%).
La restante parte del campione poi si divide tra chi non sa se introdurrà prima o poi lo Smart Working (16%) e chi addirittura non conosce neanche il concetto (7%).
Tirando le somme, spiega l’Osservatorio, rispetto agli anni scorsi cresce l’interesse e la presenza di iniziative di Smart Working nelle PMI, anche se prevalgono ancora gli approcci più informali. Ma una percentuale consistente rimane esclusa e disinteressata al fenomeno, percentuale formata soprattutto da piccole aziende di settori in cui lo Smart Working è più difficile da implementare o in cui il livello di digitalizzazione di processi è limitato. Si tratta di ritardi e reticenze che possono essere superati a patto che non si pretenda di applicare lo Smart Working secondo le stesse modalità che si sono a ermate nelle imprese più grandi e tipicamente orientate ai servizi.
Occorre invece risalire ai principi fondanti e sperimentare nuove modalità più adeguate a realtà di settori e dimensioni diverse da quelle nelle quali fino a oggi il modello si è affermato. Servono quindi modalità di lavoro innovative che possano portare i principi dello Smart Working anche a tutti quei lavoratori, oggi la maggioranza, che ne sono esclusi – operai, manutentori, venditori, sportellisti, addetti ai contact center – ma che con il diffondersi della digitalizzazione, dei nuovi canali, di modelli di produzione e consumo avanzati, cambieranno attività, competenze, strumenti, ma anche aspirazioni e bisogni.