Strategie nell'era Covid

Brand experience: la comunicazione human-centric nel “new normal”

Il Covid-19 e i lockdown hanno costretto i marketer a costruire velocemente una nuova brand experience che tiene conto di un mutato consumer behaviour. Smart working, isolamento e tecnologia pervasiva hanno cambiato i fattori in gioco e la comunicazione cerca un nuovo equilibrio

Pubblicato il 30 Nov 2020

Alice Palumbo

Socio Dirigente ASBorsoni e ASB\Comunicazione, Azienda Associata AISM

brand experience

Dall’era glaciale ad oggi, vince chi si adatta. Il lascito darwiniano, tralasciando le sue implicazioni biologico-scientifiche, è l’assunto base per descrivere lo stress test a cui è stato sottoposto il mercato dal Covid-19 e dai lockdown (primo e secondo, ad oggi) anche nella brand experience. Il salto comunicativo di moltissimi brand a cui abbiamo assistito in un breve lasso di tempo ha del portentoso per velocità, trasformismo e contaminazione.

Brand experience: l’autostrada verso il new normal

La grande domanda è: questa corsa in velocità al piegare la natura fattuale di un business plan al digitale in ogni modo e maniera possibile, senza guide, ha senso? Parlando per sommi capi, se una trasformazione deve essere accompagnata step by step, bisognerebbe capire la natura di un’anticipazione.

Sulla tabella di marcia il processo precede la sua evoluzione di circa cinque-sei anni. Il che ha significato e significa definire nuovi KPI, analizzare nuovi path to purchase e variare la strategia operativa di conseguenza. La rapidità con cui i marketer si sono dovuti piegare a questa “nuova normalità” imposta dal Covid-19 e costruire la new brand experience ha avuto come elemento probatorio l’emergenza sanitaria e le direttive dettate dal distanziamento fisico e il conseguente cambio del behaviour.

Una delle autostrade preferenziali è la comunicazione human centric. Al centro: nuove segmentazioni settate su nuovi bisogni e, soprattutto, nuove necessità.

Gli utenti: un new behaviour che sfugge agli schemi

È abbastanza ovvio che in questo preciso frangente le esigenze dei singoli non sono ascrivibili a una mera profilazione standardizzata del cluster in cui rientrano. Lo shift a cui stiamo assistendo è dettato, in prima istanza, dal cambiamento delle abitudini similmente dovuto ad agenti esterni non vincolati alla volontà del singolo. L’abitudine, proprio come termine specifico, non è più vincolata al sommarsi di esperienze fisiche. Viene, giustamente, definita come “nuova normalità”. Legata, però, a numerosi effetti collaterali. Ansia, iperconnessione, shopping compulsivo.

Google e lo smart working: faro sulla salute mentale

Alzare il velo di Maya sul tema della salute mentale, in tempi antecedenti a quello attuale, non è mai stato un atto ordinario. Generalmente non percorribile come strada da parte dei colossi della comunicazione, i campanelli d’allarme di una popolazione piegata dal virus si sono riversati in una presa di coscienza comune.

Un esempio di questo cammino inedito verso la new brand experience è Google, che si è direzionata, in modo netto, su tre elementi: mantenimento dell’equilibrio e della self-care dei dipendenti; nuovo ruolo per i manager; e, alzando ancora di più il tiro, nuovo sviluppo di strumenti offerti da Big G su piattaforme open source a suo nome per perseguirne, anche all’esterno, l’intento.

In merito ai primi due punti è in corso l’adozione di protocollo interno a nome TEA (Thoughts, Energy, Attention) dove i partecipanti imparano anche a fare il check-in su loro stessi e sulla squadra di appartenenza, utilizzando domande per identificare i punti comuni di stress e per inquadrare efficacemente la mentalità, i meccanismi e le risposte che si adottano in quei momenti. Pur supportando in modo esplicito lo smart working nell’era della pandemia, Google ne monitora anche le problematicità. Prima su tutte l’isolamento. Viene, infatti, incoraggiato l’uso di Calendar come strumento di condivisione per settare i “no meeting days”, grazie ai quali si può marcare il proprio spazio personale. Molto spesso, infatti, lo smart diventa home working, con una difficile gestione del proprio tempo a favore di una continua quotidianità liquida non delineata.

È stato lanciato, in parallelo, un training online sulla salute mentale per aiutare i manager ad essere propensi a controllare il benessere dei loro team, e per capire meglio i segnali quando i membri della squadra sono in difficoltà. Il tutto per migliorare la sicurezza psicologica e costruire migliori relazioni di lavoro tra i membri della squadra. Quello che si evince è la volontà di abbattere il modello verticale a fronte di un sistema circolare paritario.

Experiments: equilibrio con la tecnologia

Sul terzo punto, Google ha inaugurato Experiments with Google: una vetrina di idee e strumenti che aiutano le persone a trovare un migliore equilibrio con la tecnologia, grazie all’AI. Con la nascita di un numero sempre maggiore di algoritmi e modelli, gli sviluppatori di Google, e non solo, hanno trovato per loro numerosi utilizzi creativi e funzionali. Esperimenti che i codificatori hanno piegato su Chrome, AR, Android, WebVR, AI e altro ancora e che trovano il loro output in app free su Google Store.

Activity Bubbles, per esempio, aiuta a scoprire come e quanto si usa il telefono in un giorno. Ogni sblocco crea una nuova bolla nel background della home. Più a lungo si rimane sul telefono, più la bolla cresce. Screen Stopwatch è ancora più indicativo: cronometra quanto tempo passi l’utente al telefono ogni giorno. Ogni volta che si sblocca il telefono, il cronometro continua a contare. Il più interessante, però, è Envelope che parte da una progettazione non digitale, ma fisica.

Molte persone sentono di passare troppo tempo al telefono e fanno fatica a trovare un equilibrio con la tecnologia. Soprattutto in questo 2020. Special Projects – una società di consulenza per il design di Londra – ha realizzato una serie di speciali contenitori a forma di busta di carta che trasformano completamente la funzionalità dello smartphone per il tempo in cui viene sigillato al suo interno, permettendo di godere di meno distrazioni per un po’ di tempo. Ve ne sono di due tipi. La prima trasforma il device in un dispositivo molto semplice che può solo fare e ricevere chiamate, mentre la seconda converte il telefono in una foto/videocamera senza schermo, aiutando a concentrarsi su ciò che si ha davanti, senza filtri e senza intermediari. I pulsanti stampati che si illuminano sottilmente permettono di comporre e scattare fotografie, creando una innocente interfaccia “preistorica”.

Special Projects è stata ispirata da una recente tendenza in cui le persone acquistano un secondo, più semplice, telefono per le vacanze e i fine settimana, per limitarsi all’accesso alla tecnologia. Envelope ne è una versione più accessibile, che permette alle persone di provare un giorno di digital detox senza smartphone senza impegnarsi ad acquistare un nuovo dispositivo.

Questi esperimenti sono e devono essere d’ispirazione agli sviluppatori e ai designer per considerare centrale il benessere digitale in tutto ciò che progettano e realizzano.

L’open source di questa piattaforma ne è l’assunto fondatore. Più persone vengono coinvolte, più si può imparare a costruire una tecnologia migliore per tutti. E più in generale: più si parla di salute mentale, più si possono rintracciare e creare modi e metodi che ne facciano il tema centrale di ogni comunicazione da oggi in poi e creare la new brand experience.

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