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Smart Working is the new black, a patto di trovare il giusto mix tra i diversi elementi

L’esperienza degli scorsi mesi ha fatto riflettere molte aziende sull’opportunità di lavorare un po’ meno in ufficio e lasciare qualche giornata di lavoro da remoto, ma al tempo stesso ha messo in luce altri aspetti da non dimenticare, primi fra tutti Il fattore “Umano” e il valore reale del networking e della comunicazione tra persone

Pubblicato il 03 Lug 2020

Cora M. Scandroglio

Head of Group Marketing, Elmec Informatica, Associata AISM

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Parafrasando il modo di dire del mondo della moda che ha dato il titolo anche ad una nota serie televisiva (bellissima tra le altre cose), si può davvero pensare che oggi il termine “Smart Working” sia diventato così nazional popolare e inflazionato da perdere quasi completamente la propria identità e significato.

Una specie di lasciapassare per descrivere qualsivoglia situazione lavorativa a distanza. Persino qualche docente dei miei figli è caduto nella trappola di questo termine così “pop” da usarlo anche per descrivere la sua modalità di insegnamento.

Uscirei subito da questa trappola concettuale. Molte aziende sono state catapultate in una condizione forzata di lavoro a distanza.

L’impennata del telelavoro non coincide sempre con l’adozione dello Smart Working

Di fatto le soluzioni di collaboration e unified communication hanno visto un’impennata pari al 3,375% (Dati elaborati da Linkedin) nel mese di marzo. Il numero degli utenti attivi su una delle più famose piattaforme di collaboration è quintuplicato dall’anno scorso (Fonte: Statista)

Se dunque sono cambiati gli ambienti, le modalità, i canali non si po’ certo dire la stessa cosa per il lavoro di per sé. Si è finito per fare quello che si faceva prima, ma da casa. Una sorta di telelavoro che di smart non ha poi un granché se non risparmiare sui viaggi casa-lavoro regalandoci anche un bel po’ di tempo in più. Il vero Smart Working, invece, non ha orari ma solo KPI (o obbiettivi quantificabili e misurabili) ed è tipico degli schemi organizzativi anglosassoni.

Riusciremmo ad adottarlo davvero in Italia? Io non credo.

Smart Working: il team marketing alla prova

Intendiamoci, molti modelli lavorativi hanno nel DNA lo Smart Working anche in Italia; prendiamo i giornalisti ad esempio. Sono i veri padroni del loro tempo e del loro “outcome”.

Ma adesso pensiamo invece a una realtà aziendale che fino a ieri era stata abituata a lavorare in team, in fortissima sinergia, con allineamenti costanti e con mutue ossigenazioni, impollinazioni di idee e uno schema premiante di formazione on the job. Come facciamo a pensare che lo Smart Working (quello vero) sia un modello efficace?

Questa durissima prova che ci ha investito tutti in questi mesi ci ha costretti a modalità di lavoro molto complicate; sia perché non eravamo (tutti) abituati sia perché in certi ambiti non si rivela come la modalità ottimale.

Ci lascerà sicuramente un’eredità importante, spero e credo che molte aziende possano riflettere sull’opportunità di lavorare un po’ meno in ufficio e lasciare qualche giornata di lavoro da remoto (come ad esempio la mia) ma nello stesso tempo è importante aver imparato che ci sono altri aspetti da non dimenticare.

La Zoom Fatigue

Il fattore “Umano” prima di tutto. Tutto questo surplus di realtà virtuale ha creato quella che viene definita la “Zoom Fatigue” una sorta di sovraccarico cognitivo, una scasa capacità di concentrazione derivante dall’eccessiva interazione durante la giornata con diverse piattaforme di comunicazione virtuale (io sono arrivata a sei!) che ci espongono per periodi prolungati a interagire in modi nuovi, alle volte efficaci alle volte un po’ meno, ma comunque nuovi e per questo stesso motivo un pochino più “faticosi”.

Nel mondo della comunicazione il paraverbale è fondamentale. Qui è stato rimosso o meglio, potevamo al massimo vedere il riquadrino col nostro collega o cliente il più delle volte “squadrettato” e a scatti che a seconda dell’umore era o nel set artificiale di Minecraft o in spiaggia.

Mancavano un mare di input che hanno allineato il nostro processo di codifica della comunicazione stessa, lasciando la nostra comprensione parzialmente frustrata. Se a questo aggiungiamo che nelle comunicazioni eravamo continuamente distratti seppure in modo inconscio dalla visione di noi stessi mentre parlavamo, possiamo ben capire quanto il termine “fatigue” sia stato coniato a ragion veduta.

Siamo stati continuamente in scena senza poter avere una visione allargata di quanto ci circonda.

Come fare squadra nella distanza: il ruolo del people manager

Oltre a questo, per chi ha la responsabilità di un team distribuito come me, è subentrata una serie importantissima di fattori di attenzione.

Sentirsi squadra senza vedersi. Senza andare a prendere il caffè di rito la mattina, senza portare le torta quando si compiono gli anni, senza potersi dare una mano quando ci si accorge che qualcuno di noi ha ricevuto una richiesta impossibile. E ancora, come fare affiancamento ai nuovi arrivati, come poter trasmettere loro l’entusiasmo per quel che facciamo tutti i giorni.

Sono certa che ogni people manager questa riflessione l’ha fatta, trovando ognuno a modo suo una soluzione.

La mia, ad esempio, è stata quella di sentirsi tutti i lunedì per uno scambio di info o di idee e per un caffè virtuale, in attesa di quello vero. Un modo per sentirsi vicini in attesa di nuovi sviluppi sull’emergenza sanitaria.

Oltre alle piattaforme di instant collaboration in questi mesi sono certa siano andate a ruba anche le soluzioni di project management. Si perché capire a che punto sia un processo non è facile quando siamo tutti un po’ dispersi. Anche questo è un effetto del Covid ma che credo porteremo avanti anche per il futuro, basta abituarsi.

Queste piattaforme si sono rivelate preziose soprattutto per orientarsi e tenere la rotta di una pianificazione talvolta sconvolta, sicuramente riorganizzata, a causa del Covid. Così come tutti gli eventi fisici si sono spostati sulla platea online

Smart Working o lavoro tradizionale: in medio stat virtus

In generale, abbiamo imparato moltissimo. In primis che in medio stat virtus ovvero che un approccio ibrido, con parte del tempo in condivisione in ufficio e parte a distanza, sia il modo più interessante di lavorare. Perché ci permetterà di gestire al meglio il nostro tempo ottimizzando su tutte le nuove infrastrutture messe a disposizione lasciando alle giornate in azienda quei momenti, fondamentali, di networking e di spirito di squadra che sono il sale della vita in azienda.

Questo strappo, in definitiva, ci ha aiutato a fare un enorme passo in avanti verso schemi e anche tecnologie nuove che altrimenti avrebbero impiegato ancora molti, troppi, anni ad attecchire su così larga scala. Ci ha “regalato” un processo di innovazione importante. Come importante sarà calarlo al meglio nella nostra nuova normalità, senza perdere di vista le caratteristiche premianti e vincenti del modello precedente.

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