Business Intelligence e Big Data

Polimi: Analytics in Italia, un mercato da oltre 900 milioni. Data Scientist in un’azienda su 3

La crescita totale è del 15%: la parte Business Intelligence vale 722 milioni (+9%), quella Big Data 183 milioni (+44%). Nelle grandi imprese l’87% della spesa, ma solo l’8% è a buon punto nella trasformazione in Big Data Enterprise. Data Monetization: il 7% vende i propri dati. I responsi dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

Pubblicato il 30 Nov 2016

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Il mercato degli Analytics nel 2016 in Italia è cresciuto del 15%, raggiungendo un valore complessivo di 905 milioni di euro. La Business Intelligence rimane la componente preponderante con 722 milioni (+9% in un anno), ma la parte Big Data (183 milioni), è cresciuta addirittura del 44%. Gran parte del mercato è fatto dalle grandi imprese (87% della spesa complessiva), con il restante 13% proveniente dalle PMI.

Sono i dati di sintesi dell’edizione 2016 dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano, che ha coinvolto attraverso una survey oltre 950 CIO e analizzato oltre 300 player dell’offerta tramite interviste dirette o fonti secondarie.

«Cresce il mercato e cresce la consapevolezza delle aziende italiane delle opportunità: il 39% dei CIO italiani vede Business Intelligence, Big Data e Analytics come priorità di investimento principale nel 2017 per l’innovazione digitale – ha detto Carlo Vercellis, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio -. Ma emerge anche la necessità di nuove competenze e modelli organizzativi, di approcci tecnologici diversi e di un orizzonte progettuale di lungo periodo: il processo di trasformazione delle imprese italiane in “Big Data enterprise” sarà ancora lungo».

La crescita del mercato Analytics, continua Vercellis, conferma come la capacità di diventare una ‘data driven company’ sia una necessità, per rispondere ai repentini cambiamenti del mercato. «Big Data è un’espressione che ricorre in oltre metà dei documenti di accompagnamento del bilancio delle aziende quotate, a partire da Enel, Generali, Mediobanca, ENI, Pirelli, che con accenti diversi esprimono tutte forte interesse per il tema».

Siamo in una fase di passaggio cruciale, ha detto il docente, dalla fase 1.0 di Analytics e Big Data alla fase 2.0, «cioè dai progetti a macchia di leopardo in singoli ambiti, a una roadmap per usare sistematicamente i dati per migliorare le performance dell’intera impresa: abbattere costi operativi (per esempio con la predictive maintenance), ridurre i tempi di attraversamento in fabbrica, personalizzare i servizi o prodotti con i dati “Internet of people”, migliorare advertising ed eCommerce con lo studio dei comportamenti dei consumatori, e infine anche “monetizzare i dati”, cioè vendere servizi a valore aggiunto ad altre aziende basati appunto sui dati raccolti e sulle analisi fatte».

Le grandi imprese si stanno muovendo nella direzione giusta, con attenzione del top management e spesa in soluzioni Big Data e Analytics in crescita, ha aggiunto Alessandro Piva, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio. «Lo stesso non si può dire delle PMI, che coprono oggi solo il 13% del mercato e sono in ritardo nella creazione di competenze e modelli di governo delle iniziative di analytics, e nella conoscenza delle opportunità».

Grandi imprese, i settori più attivi sono bancario e manifatturiero

Le soluzioni “descriptive analytics” (strumenti per descrivere situazione attuale e passata di processi o aree funzionali) sono ormai un dato di fatto

nell’89% delle grandi imprese italiane (oltre 249 addetti). Nell’80% dei casi l’utilizzo è a regime almeno su alcuni ambiti applicativi. I predictive analytics (strumenti avanzati per rispondere a domande su cosa potrebbe accadere nel futuro) registrano una diffusione ampia, ma ancora confinata ad alcuni ambiti applicativi (30%) o in fase di pilota (29%). Ancora molto indietro i prescriptive analytics (tool avanzati che propongono soluzioni operative, strategiche sulla base delle analisi fatte) e gli automated analytics (tool capaci di implementare da soli le azioni proposte, scaturite dalle analisi effettuate) presenti rispettivamente nel 23% e nel 10% delle grandi organizzazioni, perlopiù a livello di pilota.

Alcuni settori di applicazione già avanzata degli automated analytics sono Trading, Travel (per esempio per la gestione prezzi dei biglietti aerei), Manufacturing e soprattutto Automotive, «dove ci sono già pesanti investimenti ma alcuni progetti si sono arenati per perplessità sul controllo. Stiamo consgnando le chiavi del controllo agli algoritmi, e questo pone grandi problemi etici, anche se va detto che siamo molto lontani da HAL 9000 di “2001 Odissea nello Spazio”: questi algoritmi sono fatti per task estremamente specifici, non sono in grado di fare ragionamenti generali», ha sottolineato Vercellis.

Tutto sommato comunque da questi dati emerge che l’adozione di sistemi di Analytics è una pratica ormai consolidata, ma solo l’8% delle grandi imprese si può definire a buon punto nel processo di trasformazione in “Big Data Enterprise”. Il 26% è allo stadio iniziale, mentre il 66% è in posizione intermedia, con governance già in fase avanzata per alcuni aspetti e ancora da avviare per altri. Il settore che più investe in Analytics è il bancario (29%), seguito da manifatturiero (22%), telecomunicazioni e media (14%), Pubblica Amministrazione e sanità (8%), altri servizi (8%), GDO (7%), utility e assicurazioni (6%). Nella crescita degli investimenti trainano invece le assicurazioni (+25%), seguite da manifatturiero, banche e utility, fra 15% e 25%.

Data Monetization: nuove fonti di ricavo dalla vendita dei dati

Il 32% delle imprese italiane dichiara di acquistare dati da integrare con quelli raccolti direttamente per la Data Monetization, la generazione di nuovi ricavi attraverso la vendita o lo scambio dei dati. Acquistano soprattutto dati relativi all’andamento del mercato di riferimento o al comportamento dei consumatori. Al momento solo il 7% dichiara di vendere i propri dati, ma il 26% afferma di essere in fase valutativa.

Il maggiore ostacolo alla Data Monetization, in particolare quella diretta, è l’autorizzazione del trattamento per le finalità dichiarate, la cui definizione è un momento cruciale, in cui è necessario avere chiaro lo scopo dell’analisi e la finalità di vendita dei dati raccolti.

Data Scientist, uno su 4 lavora in un team aziendale dedicato ai Big Data

L’Osservatorio poi per il terzo anno ha analizzato la diffusione del Data Scientist, una delle nuove figure professionali più ricercate in assoluto sul mercato del lavoro. Nel 2016, tre grandi aziende italiane su 10 hanno in organico figure di data scientist, una quota stabile rispetto allo scorso anno. Ma aumenta la codifica formale di questo ruolo (7% dei casi contro il 4% nel 2015). E crescono del 57% i full time equivalent allocati.

I ricercatori del Politecnico hanno anche realizzato un sondaggio internazionale su 280 Data Scientist, da cui emerge un’età media di 35 anni, che sale a 40 negli USA, dove queste competenze sono diffuse da più tempo e lo stipendio supera spesso i 100mila dollari, mentre in Europa le retribuzioni sono più basse. I data scientist lavorano in settori molto diversi: il 26% in quello iCT, il 16% in Banche e Assicurazioni, il 14% nella PA e Sanità, il 20% nei Servizi, il 6% in Consulenza e il restante si suddivide tra GDO, Manifatturiero, Telco e Media, Advertising e Utility. E anche la loro collocazione in azienda è molto varia. Il 27% lavora nel settore IT, il 26% in un’unità funzionale tradizionale (Marketing, Operations, Finance o R&D) e ben il 26% in una funzione specifica per i Big Data. Un ulteriore 15% è consulente esterno.

“Big Data Awards” a Generali e RCS Media Group

L’Osservatorio ha anche assegnato i Big Data Innovation Award, che quest’anno sono andati ad Assicurazioni Generali e RCS Media Group.

Generali ha vinto per il modello di governance innovativo nella gestione della Data Science, con la creazione dell’Analytic Solution Center che realizza un approccio multidisciplinare coinvolgendo diversi dipartimenti nel team di progetto. RCS MediaGroup ha ottenuto il riconoscimento per un modello armonizzato di gestione dei Big Data, grazie a una piattaforma su misura che permette di sviluppare progetti specifici e adattarsi alle necessità delle diverse aree digitali del Gruppo.

Infine l’Osservatorio ha dedicato specifici approfondimenti anche alle PMI (investimenti dedicati ad analytics e Big Data) e alle startup attive in questi campi: temi su cui torneremo con articoli ad hoc prossimamente.

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