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Osservatorio – Importante novità nel mondo della musica: l’Unione Europea estende il diritto d’autore a 70 anni

In un periodo di così profonda ed irreversibile crisi dell’intero settore, dovuta all’avvento dei canali digitali e ai sostenitori dell’utopistica visione “libera musica nel libero Web”, la nuova direttiva potrebbe portare una significativa boccata d’ossigeno per tutti i produttori musicali, gli artisti e gli interpreti

Pubblicato il 26 Set 2011

Nel mondo del diritto d’autore un cambiamento così
rilevante quale l’estensione del copyright sulle
registrazioni fonografiche avrebbe meritato maggior eco di
cronaca, ma la notizia sembra, per ora, essere circolata solo tra
i canali di informazione degli addetti ai lavori.


Eppure l’allungamento di ben 20 anni della protezione sulle
registrazioni fonografiche è senza dubbio notizia economica di
prim’ordine, specialmente in un momento di grande crisi
generale, dove il settore della musica e relativa sua
distribuzione, è certamente tra i più penalizzati.


Andiamo con ordine: è più o meno noto a tutti, tecnici e non,
che la durata del diritto di autore “tradizionale” è
di 70 anni (a decorrere dalla morte dell’autore); meno nota
è la protezione della fissazione dell’opera protetta dal
diritto d’autore, quale la registrazione fonografica (il
c.d. master) in ambito musicale o video, la cui protezione era
invece determinata in 50 anni. Tale protezione si estendeva anche
ai diritti connessi spettanti agli artisti interpreti di detta
registrazione per una serie di impieghi e sfruttamenti (ad
esempio la cd. pubblica esecuzione del master stesso).


Il 12 Settembre 2011, il Consiglio dell’Unione
Europea ha votato per l’estensione del suddetto copyright
da 50 a 70 anni a decorrere dalla prima pubblicazione della
registrazione
. Ne ha dato grande risalto la PPL inglese
(ex Phonographic Performance Ltd., società di collecting che
raccoglie i diritti di pubblica esecuzione, broadcasting ed
utilizzo delle registrazioni fonografiche su tutti i cd. new
media) che da anni si batteva a livello locale ed internazionale
affinché la durata di tale protezione fosse equiparata a quella
del diritto d’autore in senso stretto.


In un Paese dove l’attenzione per la proprietà
intellettuale ha da poco compiuto 300 anni (risale al 1710
l’act della Regina Anna che stabiliva il diritto esclusivo
degli autori di un’opera letteraria decidere quando come e
dove riprodurre e vendere le copie stampate di dette opere –
…the Author of any Book or Books…the sole Right and
Liberty of Printing such Book and Books -) anche il mercato di
tali diritti è tutt’ora florido, almeno rispetto alla
nostra realtà domestica. Era quindi logico che, dove esiste una
coscienza sociale ed economica che sostiene una industry da tempo
così sotto pressione dall’evoluzione dell’era
digitale, si formassero associazioni potenti ed influenti come la
PPL, la BPI ed altre in grado di esercitare una corretta
attività di informazione e lobbying su un aspetto
tutt’altro che marginale del mondo del copyright. La
decisione è importante perché presa a livello comunitario, dopo
che altri stati di grande rilevanza come Stati Uniti ed Australia
avevano già elevato tale termine, creando non poco divario e
competizione distorta tra operatori di differenti aree
geografiche.


Facciamo subito un esempio chiarificatore sulla portata delle
decisione: nell’immediato futuro alcune registrazioni
storiche degli anni 60 (quali Beatles o Rolling Stones)
perderebbero la loro protezione e pertanto il loro valore. Ciò
varrebbe non solo per il master ma anche per la copertina, le
foto e gli scritti ed i testi delle inner sleeve che, ai tempi
del vinile, arricchivano non poco le produzioni musicali. Di
fatto, molti cataloghi di master fonografici perderebbero quasi
completamente valore.


Prima conseguenza della cessazione della protezione
sarebbe l’impossibilità per il proprietario del
master
(di regola l’etichetta discografica)
di generare nuove licenze e dunque nuove
royalty
. Alla stessa stregua i c.d. diritti connessi che
si generano a favore degli interpreti ed esecutori che hanno
partecipato alle registrazioni (come la pubblica esecuzione di
quel master) cesserebbero di esistere.


In un periodo di così profonda ed irreversibile crisi
dell’intero mondo della musica questa nuova direttiva (che
sarà recepita dagli stati membri entro il 2014), potrebbe
portare una significativa boccata d’ossigeno per tutti i
produttori musicali, gli artisti e gli interpreti esecutori che,
spesso, concorrono in maniera determinante al successo di un
brano senza quasi apparire (si pensi ai musicisti, ai coristi che
partecipano alle registrazioni, o agli artisti interpreti che
registrano canzoni altrui).


Non vi è dubbio che tale iniziativa comunitaria sarà
tacciata come protezionistica ed antistorica dai sostenitori tout
court del libero
(e gratuito) accesso alla
musica in tutte le sue declinazioni
. Sentiremo grida di
dolore dei vari indignados, nemici giurati delle star e delle
multinazionali, che troveranno di certo una larga audience nella
folla del “libera musica nel libero Web”, che sogna
di poter scaricare gratuitamente tutti i grandi evergreen
dell’ultimo mezzo secolo, per un semplice ascolto o per dar
poi sfogo alla propria creatività (ma su materiale altrui).


È bene sgomberare il campo da un pericoloso equivoco: la musica
non può essere completamente gratis. Chi produce, chi scrive,
chi suona, chi registra è un individuo con una vita ed una
dignità, e dal suo lavoro deve trarre un guadagno, piccolo o
grande che sia. L’utopia della musica come arte
spontanea praticabile ed accessibile da tutti a zero costi è un
concetto da generazione hippy inconciliabile con le modalità di
fruizione che il mondo attuale ci concede (anzi, ci impone), e
con la qualità oramai necessaria per emergere nel mare
sterminato delle produzioni musicali amatoriali
.


Tutti coloro che operano nel mondo della musica sono lavoratori a
tutti gli effetti, e come tali devono essere percepiti dal resto
della società. Il punto, semmai, è quello che la musica deve
costare poco a tutti i suoi fruitori, non importa attraverso
quale mezzo o strumento la si utilizzi, ma ognuno deve
riconoscere il lavoro altrui.


L’universo musicale non è fatto solo dalle poche grandi
star note a tutti, ma da una miriade di artisti minori che
traggono sostentamento da flussi di ricavi generati da ogni tipo
di sfruttamento dell’opera alla cui realizzazione hanno
concorso. A loro volta, i produttori fonografici sono non
soltanto le grandi major che tutto divorano e monopolizzano: in
Europa circa l’80% della nuova musica registrata è di
produzione indipendente.


Nell’era del web, fisso o in mobilità, gli
sfruttamenti una volta ritenuti secondari sono, invece, diventati
prioritari
: sincronizzazioni con pubblicità e video,
scaricamenti su mobile, Youtube, true tones, clip ed altri ancora
sono piccole ma costanti fonti di ricavi che consentono ai
produttori di continuare ad investire su nuovi prodotti, ed ad
ogni artista o musicista, di vivere una professione troppo spesso
ed ingiustamente relegata a ranghi inferiori.


Lunga vita al copyright

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