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Digitale, sostenibilità, co-creazione: ecco di cosa ha bisogno, oggi, l’innovazione di business

All’edizione 2021 di InTrust Day, l’evento che Intesa dedica ai temi e ai protagonisti della digital transformation, analisti, manager e imprenditori si sono confrontati sui nuovi modelli di innovazione condivisa e sui benefici che le nuove tecnologie possono e devono avere sull’impatto ambientale, in risposta alle mutate aspettative dei clienti. La parola alle imprese: da BNL a Vivienne Westwood, passando per Generali, Save the Duck e Sorgenia

Pubblicato il 07 Lug 2021

InTrust Day 2021 sostenibilità co-creazione

Digitale e sostenibilità sono ormai due facce della stessa medaglia quando si parla di innovazione di business. Non è questione di corporate social responsibility o di posizionamento strategico in termini di reputazione del brand, ma di una nuova consapevolezza sul concetto di valore che un’impresa può e deve costruire. Per gli stakeholder, per i suoi collaboratori e per le comunità che la ospitano, in un circolo virtuoso che, se ben gestito, genererà benefici – anche economici – per l’intero ecosistema in cui opera l’organizzazione. Si tratta di un gioco di squadra, e di un equilibrio che può essere raggiunto solo mettendo a fattor comune best practice, competenze e piattaforme. Ecco perché l’innovazione digitale si dimostra ancora una volta la chiave di volta per supportare una trasformazione tanto profonda quanto ineluttabile.

Quelli dell’innovazione e della sostenibilità sono stati due elementi centrali del palinsesto dell’edizione 2021 di InTrust Day, l’evento annuale che Intesa, società del gruppo IBM, dedica ai temi e ai protagonisti della digitalizzazione.

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Innovazione e co-creation: l’approccio di Generali, Sorgenia e BNL

Un’intera sessione della conferenza è stata per l’appunto improntata alla cosiddetta “The innovation formula”, e ha coinvolto nella tavola rotonda “Il nuovo approccio: Co-Creation e Co-Innovation”, moderata da Simone Piasini, Chief Business Development Officer di Intesa, i rappresentanti di tre imprese molto diverse tra loro, ma accomunate dallo stesso obiettivo: porre al centro dei progetti di evoluzione dei processi e dei modelli organizzativi sistemi realizzati secondo la logica della condivisione e del Design thinking.

Michele Carmina, Head of Group Data & Digital di Generali, ha esordito dicendo che il gruppo ha posto tra i pilastri «per l’implementazione del piano strategico 2022-24 l’innovation and digital transformation, con lo scopo di fornire ai clienti un’esperienza di livello superiore. Generali», ha precisato Carmina, «intende passare dal modello con cui ha sempre lavorato il mondo dell’insurance, basato cioè sui meccanismi di pagamento dei danni causati dai sinistri, a un approccio fondato sulla prevenzione degli incidenti e su soluzioni capaci di personalizzare l’esperienza dei clienti. Per compiere questo balzo abbiamo bisogno di dare vita a un’organizzazione agile, innovativa e, soprattutto digitale, ovvero in grado di muoversi ed evolversi sfruttando la logica data-driven. E per realizzare questa visione occorre cambiare prospettiva, uscire dai nostri schemi e cercare un appoggio esterno che ci aiuti a identificare metodi e strumenti all’altezza della situazione. La partnership con Intesa ci ha dato la spinta innovativa di cui avevamo bisogno».

Per Matteo Viganò, Sales Development and Operations Manager di Sorgenia, l’idea di sedersi a un tavolo con altri soggetti per definire la metamorfosi di un’azienda che opera in un settore complesso come quello delle Utilities fino a poco tempo fa suonava «come una follia. Ma oggi il mondo è cambiato, va sempre più veloce e il modo più semplice per ottenere risultati in tempi brevi è fare leva su co-creazione e design thinking. Certo», ha specificato Viganò, «è fondamentale scegliere con accuratezza gli attori che formeranno un gruppo di lavoro estremamente eterogeneo: il team deve includere risorse aziendali, consulenti, società tecnologiche e persino clienti. Ciascun elemento va quindi selezionato anche in funzione della posizione che occupa nella catena del valore, ed è altrettanto importante dare il giusto peso al tema della leadership. Se non si designa con chiarezza un orchestratore per ognuna delle sessioni, il rischio di divagare è dietro l’angolo».

Agile e co-creation sono del resto diventate due parole intrinseche in tutti i progetti avviati in BNL. A dirlo è Flavio Battolla, Head of Digital Engagement Platform del gruppo bancario. «Coinvolgiamo utenti interni ed esterni all’organizzazione per stabilire le priorità in tutti gli iter di sviluppo dei nuovi servizi e prodotti, a partire da quella che sarà la nostra piattaforma di onboarding omnicanale: lavorare gomito a gomito con chi dovrà utilizzarla è essenziale per identificare quali sono i momenti migliori, durante il customer journey, per offrire l’accesso ai servizi, mentre mettere insieme competenze di processo e tecnologiche aiuta costruire il percorso più semplice per ciascuna tipologia di cliente. La prossima sfida», ha chiosato Battolla, «è quella dell’open banking, che per definizione si fonda sull’apertura e sulla condivisione di una serie di asset, a partire dal patrimonio informativo. Grazie a un progetto gestito in co-creation, stiamo dando vita a un sandbox che ci aiuterà a comprendere quali sono le soluzioni migliori per garantire un interscambio di dati efficace e sicuro, attraverso cui potremo costruire servizi di valore per i clienti finali».

L’innovazione digitale al servizio di un Fashion sempre più sostenibile

Il valore che nasce dallo scambio di dati non riguarda solo le attività di business in senso stretto, ma anche, come accennato, l’impatto che queste hanno sull’ecosistema che le ospita. «I consumatori hanno sete di informazioni su ciò che acquistano», ha spiegato Francesca Rinaldi, Coordinatrice Monitor for Circular Fashion della SDA Bocconi School of Management, iniziativa che vede coinvolta anche Intesa, aprendo la sessione di Intrust Day 2021 dedicata alla funzione che il digitale avrà nell’aiutare le aziende a diventare sempre più sostenibili e a promuovere gli sforzi fatti in questo senso. «Bisogna dare corpo alla comunicazione con azioni rilevanti, e le nuove tecnologie possono riempire di contenuti la value proposition. Basti pensare al ruolo chiave che IoT, Blockchain e Intelligenza artificiale ricopriranno nell’economia circolare, nella pianificazione delle produzioni e nello smaltimento dei rifiuti, oltre che nel trasmettere agli utenti finali buone pratiche per minimizzare l’impatto di prodotti e servizi sull’ambiente. C’è però una condizione fondamentale perché tutto ciò si traduca in realtà: garantire l’interoperabilità delle tecnologie, anche e soprattutto per accelerare il cambio di passo nelle PMI, la spina dorsale del mondo imprenditoriale italiano».

All’intervento di Rinaldi è seguita la tavola rotonda “Anticipare il cambiamento. Sostenibilità come chiave della crescita aziendale”, moderata da Roberta Schiavo, Head of Solutions Operations di Intesa, che ha permesso ai relatori di confrontarsi sul tema della sostenibilità come abilitatore di strategie di successo, con particolare riferimento al settore del Fashion.

intrust day 2021: screenshot della tavola rotonda sulla sostenibilita per la crescita aziendale

Giorgio Ravasio, Country Manager Italia della casa di moda Vivienne Westwood, ha parlato per esempio di un vero e proprio momento di discontinuità nel business model del gruppo. «Da azienda puramente creativa siamo diventati anche specialisti delle procedure di approvvigionamento, assumendo responsabilità che prima delegavamo a terzi per gestire la supply chain produttiva. Potrebbe sembrare un passaggio banale, ma la catena del valore del Fashion è molto ramificata e complessa, e si passa da partnership strategiche con aziende che possiedono sistemi IT strutturati a collaborazioni occasionali con artigiani che non sanno nemmeno usare lo smartphone». Ravasio ha ammesso che la sua azienda non era preparata rispetto alla scelta dei materiali da utilizzare per ridurre l’impatto delle collezioni, così sono state attivate collaborazioni con enti di ricerca. «Il digitale ci ha aiutato a gestire sia la comunicazione con i nostri nuovi partner, nelle sessioni di progettazione, sia quella con il pubblico, nelle fasi di promozione del nuovo corso, altrettanto importanti. Ma le tecnologie di frontiera si stanno rivelando fondamentali anche nei processi interni, per lavorare meglio sui cartamodelli e sullo sviluppo di collezioni che consumino sempre meno materia prima. Siamo inoltre coinvolti in un progetto interessante con l’Unece (United Nations Economic Commission for Europe) per sperimentare un sistema basato su Blockchain, che se funzionasse come ci aspettiamo porrebbe le fondamenta per la creazione di una piattaforma di approvvigionamento condivisa, contraddistinta dalla massima trasparenza operativa e in grado per questo di dare vita a una filiera logistica a basso impatto sicura e certificata».

Per Save the Duck, azienda nata una decina d’anni fa col preciso obiettivo di produrre capi sostenibili, la transizione è meno traumatica, ma comunque costante. Silvia Mazzanti, Product and Sustainability Manager del gruppo, ha parlato degli investimenti necessari a far crescere nel tempo la coerenza del brand con una forte presenza nella catena di fornitura. «Cerchiamo di agire in modo commisurato, evolvendoci senza strappi rispetto alla realtà su cui poggia il marchio. Del resto, non si diventa sostenibili dall’oggi al domani», ha puntualizzato Mazzanti.

«Se in passato ci sono stati errori, anche sul piano della comunicazione, ora le aziende sono decisamente più responsabili nell’affrontare il tema, e procedono step by step nello sviluppo dei loro programmi di sostenibilità», ha aggiunto Federico Garcea, CEO di Treedom. «Ma a prescindere dagli sbagli commessi, direi che ciò che conta è che fino a non troppo tempo fa, era un’impresa su dieci a provarci, oggi sono nove su dieci».

Ma a contare è anche la trasparenza: «Soprattutto oggi che i consumatori finali sono diventati molto più attenti, comunicare nel modo giusto e trasmettendo messaggi forti è diventato imprescindibile», ha rilanciato Mazzanti, tornando al tema della co-creation. «Da questo punto di vista, abbiamo trovato un forte riscontro nell’universo B Corp, dialogando pure con realtà extra-settore. Il vantaggio nell’appartenere a una community del genere deriva essenzialmente dalla possibilità del confronto e dall’elasticità con cui si condividono esperienze, suggerimenti e know how».

Il consiglio che, chiudendo i lavori, hanno dato Paola Vinci e Francesca Manfredi, fondatrici e rispettivamente Fashion Director ed Editor in Chief di The Sustainable Mag, è di utilizzare tutti i canali, a partire da quello digitale, sia per coinvolgere consumatori e filiera, anche a livello di processi, nella creazione di business sostenibili, sia soprattutto per imparare a comunicare in modo corretto i risultati raggiunti. «L’idea di poter sbagliare in un ambito delicato come quello della Green economy sta portando molte organizzazioni a nascondere le proprie iniziative in tal senso. Ma è un approccio controproducente: bisogna solo capire come agire e come raccontare ciò che si sta provando a fare».

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