Interviste

Intervista a Mario Mariani, fondatore di The Net Value

Mario Mariani ha dato vita all’incubatore The Net Value due anni fa, mettendo a disposizione degli aspiranti imprenditori l’esperienza maturata in…

Pubblicato il 07 Giu 2011

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Mario Mariani ha dato vita all’incubatore The Net Value due
anni fa, mettendo a disposizione degli aspiranti imprenditori
l’esperienza maturata in 15 anni di lavoro con le start up
del mondo di Internet e dei Nuovi Media. Cagliaritano, laureato
in Economia e con un master in “Management
dell’Innovazione Tecnologica” ottenuto presso la
Scuola Superiore di Studi Sant’Anna di Pisa, Mariani ha
infatti partecipato alla nascita di uno dei primi Internet
Provider italiani, Video On Line (venduta poi a Telecom Italia e
divenuta Tin. it) e successivamente, nel 1998, alla costituzione
di Tiscali, ricoprendo nell’azienda incarichi di crescente
responsabilità fino alla nomina, nel luglio 2006 ad
Amministratore Delegato di Tiscali Italia.

The NetValue è una Digital Media Nursery, ovvero una
struttura organizzata all’interno della quale aspiranti
imprenditori con idee giudicate interessanti vengono ospitati e
aiutati a concretizzare la proposta e il business
.
Spiega Mariani: «Ho scelto di lavorare a Cagliari non solo
perchè è la mia città, ma perchè c’è un humus
imprenditoriale e di competenze tecniche tale da renderlo un
luogo favorevole ». Qui sono nati infatti CRS 4, centro di
ricerca che si occupava di Internet quando ancora non esisteva
per come la conosciamo oggi, il primo sito web italiano, il primo
quotidiano ad andare online in Europa, l’Unione Sarda, la
prima web radio, Radio X, e poi Tiscali.

L’ospitalità offerta dall’incubatore è per un
periodo di tempo limitato, da 6 mesi a 1 anno e mezzo.
«I primi anni di un’azienda sono
delicatissimi
– evidenzia Mariani – e si fanno
tipicamente molti errori, che possono essere evitati con i
consigli di un team di esperti che questi errori li ha già fatti
in passato». L’incubatore dà alle aziende la
possibilità di esprimersi in maniera autonoma
, fornisce
spazi attrezzati per lavorare e consulenza. Solo le idee ritenute
particolarmente valide ricevono anche un finanziamento ed un
supporto più attivo. Nell’arco di due anni sono
passate da qui una quindicina di aziende
: alcune non ci
sono più, altre sono un po’ cresciute e si sono trasferite
in una propria sede, qualcuna sta avendo un buon successo. Fra
queste Paperlit.com, nata da un gruppo di italiani in Silicon
Valley che ha sviluppato una piattaforma, portata poi in Italia,
che oggi veicola 200 giornali sui device mobili, ovvero
smartphone e tablet, e Money360, partecipata dai fondi Annapurna
Ventures e Vertis, che a regime avrà una cinquantina di
dipendenti.

«L’Italia è un Paese di innovatori e di grandi
creativi: iniziative vincenti anche a livello internazionale ne
sono sempre nate e ne nasceranno anche in futuro.
L’incubatore però è dimensionato per le dinamiche
italiane: considerando le differenze culturali e socio
economiche, non possiamo pretendere che le nostre start up
seguano le stesse logiche della Silicon Valley, dove tutte
aspirano alla quotazione in Borsa
». Si può anche
fallire, certo: fa parte delle regole del gioco ed è comunque un
arricchimento personale. «Diverse iniziative sono morte
dopo aver sperimentato per sei mesi un Business Model. Se non
funziona, si chiude e ci si mette a fare altro: è comunque
un’esperienza utile. Negli Stati Uniti, i ragazzi che
vengono assunti da imprese come Microsoft o Facebook hanno sempre
all’interno del loro CV un paio di tentativi in start
up».

Secondo Mariani, se è vero che le nuove generazioni aspirano ad
un posto di lavoro tranquillo piuttosto che avventurarsi in
qualcosa di rischioso, è altrettanto vero che in Italia
fare impresa è difficile, perchè vanno affrontate complesse
tematiche burocratiche e amministrative
. «Per
un’azienda appena nata, con poco capitale, il primo anno
rappresenta uno scoglio da superare: il tasso di mortalità è
altissimo. È l’organizzazione del sistema fiscale che
spesso determina la non sopravvivenza, perchè si fa difficoltà
ad incassare le fatture e le tasse vengono chieste in anticipo,
impedendo di creare quel volano che permette negli anni
successivi di avere un’azienda un po’ più stabile.
Se ci fosse un sistema meno penalizzante, sicuramente ci
sarebbero più iniziative»

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