Editoriale

I capi di Internet, prima ammirati, ora sono odiati come i banchieri

Nella politica e nelle corti di giustizia, soprattutto in Europa, serpeggia un clima ostile – un misto di invidia e rancore – verso i fondatori e i top manager delle principali imprese statunitensi del mondo Internet, sino a pochissimo tempo fa oggetto di quasi unanime ammirazione. Con significative conseguenze. L’editoriale di Umberto Bertelè

Pubblicato il 29 Set 2014

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@umbertobertele

Umberto Bertelè è autore di “Strategia”, edizioni Egea, 2013. Ha scritto anche la prefazione dell’edizione italiana di “Big Bang Disruption” di Larry Downes e Paul F. Nunes, edizioni Egea, 2014.

Nota di redazione. Riportiamo l’editoriale di Umberto Bertelè che apparirà sul numero 19 di ICT4Executive, andato in stampa prima dell’anticipazione del 28 settembre del Financial Times su una possibile maximulta di diversi miliardi di euro da parte dell’UE ad Apple, per aver tratto illecito vantaggio dai suoi accordi con il governo irlandese, giudicati illegali perché configurabili come “aiuto di Stato”. Sembra essere l’inizio di un nuovo pesante contenzioso, che conferma l’atmosfera in Europa descritta nell’editoriale e che appare destinato per la posta in gioco – come quello Google e nel passato quello Microsoft – a trascinarsi per molti anni.

Tradizionalmente erano i grandi banchieri che calamitavano l’invidia e l’odio della gente e del mondo politico, per la ricchezza loro e delle loro imprese e per l’enorme potere di cui godevano. Ora hanno seri concorrenti: i capi, fondatori o top manager, delle principali imprese statunitensi (le cosiddette OTT) del mondo Internet – da Apple a Google e da Amazon a Facebook – sino a pochissimo tempo fa oggetto di quasi unanime ammirazione per la loro innovatività e per la capacità di incidere sui modi di vita di centinaia di milioni di persone. È una considerazione del Financial Times, che sta dedicando una forte attenzione a questo significativo cambiamento di umori e agli effetti che esso ha, in Europa soprattutto ma non solo, sugli orientamenti della politica, sulle decisioni delle authority e sulle sentenze delle corti di giustizia.

Perché soprattutto in Europa? Perché gli Stati Uniti, loro patria, oltre che usare le OTT (come emerso) per le attività di intelligence, le vedono come un pilastro della loro economia: anche se non manca l’irritazione, per la forte propensione all’elusione fiscale o la scarsa attenzione alla privacy. Perché la Cina ha posto da tempo robusti argini a quella che riteneva un’intrusione statunitense ed è riuscita a far crescere grandi imprese sue: potrebbero essere semmai i successi di Alibaba (che ha fatto del suo capo l’uomo più ricco della Cina), Tencent e Baidu a provocare anche in Cina sentimenti analoghi.

L’Europa invece, quasi assente dal mondo Internet, teme fortemente – Germania in testa – che la disruption dilagante in diversi comparti dell’economia, per l’entrata in gioco di business model rivoluzionari resi possibili dalle nuove tecnologie, si estenda e vada a toccare i suoi settori di forza. Perché, specialmente a nord delle Alpi, è forte l’irritazione per il disprezzo delle regole o la disinvoltura nell’aggirarle che le OTT manifestano continuamente: riuscendo legalmente a pagare pochissime tasse, a partire da Apple; sfruttando la propria posizione dominante, come tipicamente Google nel search e Amazon nell’e-commerce; gestendo con disinvoltura il tema della privacy, come tipicamente ancora Google, Facebook o Twitter; sconvolgendo gli assetti esistenti per far nascere nuovi mercati, come nei casi di Uber e Airbnb.

È Google al momento il bersaglio più gettonato. In tema di privacy, con la Corte Europea di Giustizia che ha imposto il rispetto del cosiddetto right to be forgotten. In tema di antitrust, ove si trova a fronteggiare un gruppo politicamente potente di imprese (a partire da Axel Springer), appoggiate da ministri del governo tedesco (quello dell’economia ha minacciato il break-up della società e quello della giustizia ha chiesto di rendere pubblico il meccanismo di ranking utilizzato nel suo celebre algoritmo). In tema di rapporto con i giornali, ove è stata obbligata a una sorta di risarcimento annuo dal governo Hollande. Anche Amazon è oggetto di forti attacchi: da parte di Hollande, che vuole salvare le librerie; da parte di Hachette (uno dei leader mondiali dell’editoria), che teme il suo strapotere nell’e-commerce; da parte degli lavoratori tedeschi che operano nelle sue strutture logistiche. E sotto attacco sono anche Uber e Airbnb, con la Catalogna che vuole addirittura mettere al bando la seconda.

L’Europa non è da sola invece nel voler combattere un fenomeno che desta sempre più scandalo nell’opinione pubblica, in un momento di grande difficoltà delle finanze pubbliche: l’elusione fiscale legalizzata che permette a multinazionali come Apple e le OTT in generale di creare valore pagando tasse irrisorie. Per la prima volta sono stati sottoscritti importanti accordi in sede Ocse e G-20, ma la loro operatività richiede un non facile allineamento delle regole dei diversi Paesi, anche di quelli (come l’Irlanda) che hanno fatto della fiscalità di favore un fattore determinante di attrattività per gli investimenti.

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