Native Advertising vs Display: dal confronto sembra non esserci alcun dubbio, la pubblicità nativa coinvolge maggiormente gli utenti e converte di più. Meno invasivo, tanto da non influire sull’esperienza di navigazione, e perlopiù percepito come utile in quanto portatore di contenuti, il Native Advertising rappresenta al momento la modalità di pubblicità online più apprezzata e col miglior ritorno sull’investimento.
Indice degli argomenti
Native Advertising: cos’è la native ads e quali sono i suoi formati
Con il termine Native Advertising si identificano tutti i formati pubblicitari che hanno l’aspetto e le sembianze dei contenuti originali, personali o editoriali, delle piattaforme che li ospitano. In altre parole, native ads sono i contenuti che si integrano in maniera forte all’interno della fruizione di un contenuto. Tipicamente, nei feed dei social network appaiono messaggi pubblicitari di tipo native, il cui formato ricalca esattamente quello dei contenuti del social network, spesso distinguibili solo da un disclaimer come “contenuto sponsorizzato”, o, in inglese “sponsored”. Web magazine e siti web mettono a disposizione Recommendation Widget, perfettamente integrati al layout della pagina. Altro esempio di native advertising sono i classici advertorial, in italiano publi-redazionali, molto diffusi nei magazine mainstream (moda, maschili, femminili, attualità, ecc.).
Il mercato globale del Native Advertising sta vivendo una fase di espansione significativa: nel 2024 è stato stimato in 105,88 miliardi di dollari e si prevede che raggiungerà i 346,88 miliardi di dollari entro il 2033, con un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del 13,9% nel periodo 2025-2033. Questa crescita è trainata soprattutto dall’esigenza di soluzioni pubblicitarie meno intrusive e conformi alle normative sulla privacy, in un contesto in cui la “ad fatigue” generata dai formati tradizionali riduce progressivamente l’efficacia delle campagne. Parallelamente, la domanda di messaggi di brand contestuali e rilevanti sta spingendo inserzionisti e agenzie a investire in formati nativi, percepiti dagli utenti come più fluidi e integrati con la loro esperienza digitale quotidiana.

Differenza tra Native Advertising e pubblicità tradizionale
La differenza principale tra native advertising e pubblicità tradizionale risiede nel modo in cui i due approcci si inseriscono nell’esperienza dell’utente. I formati classici, come banner, pop-up o spot pre-roll, si presentano come elementi separati e spesso percepiti come interruzioni, con il rischio di generare fastidio o disattenzione. Il native advertising, invece, è progettato per fondersi con il contesto editoriale: un articolo sponsorizzato all’interno di una testata online, un post raccomandato nei social media o un contenuto branded in un feed di notizie appaiono coerenti con lo stile e la narrativa della piattaforma ospitante.
L’obiettivo non è interrompere, ma accompagnare il lettore offrendo un messaggio che si percepisce come parte integrante del contenuto che sta già fruendo. Questa differenza di approccio spiega perché il native riesce a ottenere, in molti casi, tassi di attenzione e di engagement superiori rispetto ai formati display convenzionali, pur richiedendo maggiore attenzione in termini di trasparenza e chiarezza sull’origine sponsorizzata del messaggio.
Cosa rende il Native Advertising differente dalla pubblicità display
L’Osservatorio New Media della School of management del Politecnico di Milano distingue due elementi fondamentali che stanno alla base del concetto di native advertising sono:
• La coerenza con il contesto visivo (la “ forma”) del contenuto editoriale. gli annunci devono essere percepiti dall’utente come un contenuto naturale all’interno dello stream editoriale, ma deve essere trasparente che si tratti di contenuti pubblicitari. L’efficacia del native advertising deriva anche dal fatto che questo formato consente di superare la banner blindness (quella capacità di alcuni utenti di essere indifferenti nei confronti della pubblicità) e di generare quindi migliori performance;
• La rilevanza del contenuto pubblicitario. Un elemento fondamentale risiede nella capacità di ingaggiare l’utente attraverso contenuti pubblicitari attrattivi e di qualità.
I principali formati di Native Advertising
I principali formati di native advertising si distinguono per il grado di integrazione con i contenuti e i contesti in cui vengono proposti. Tra i più diffusi troviamo gli in-feed ads, ossia annunci inseriti direttamente nei flussi di notizie o nei feed social, che mantengono lo stesso layout dei contenuti organici e risultano quindi meno invasivi. Molto utilizzate sono anche le content recommendation, cioè i box di articoli sponsorizzati che compaiono alla fine di un contenuto editoriale, spesso etichettati come “contenuti consigliati” o “sponsorizzati”.
A metà strada tra pubblicità e storytelling si collocano i branded content: articoli, video o podcast realizzati in collaborazione tra brand e publisher, con l’obiettivo di approfondire un tema in maniera autentica e coerente con lo stile della testata. Un’altra tipologia rilevante è rappresentata dai search ads nativi, annunci che compaiono tra i risultati dei motori di ricerca in modo simile alle risposte organiche. Infine, nel mondo del mobile e delle app, stanno crescendo i native display ads, che riprendono il design e le funzionalità delle piattaforme in cui sono inseriti. Questa varietà di formati consente ai brand di adattare le strategie pubblicitarie ai diversi touchpoint digitali, massimizzando la rilevanza del messaggio.
I vantaggi concreti per le aziende
Per le aziende, il Native Advertising rappresenta un’opportunità strategica capace di coniugare efficacia comunicativa e rispetto dell’esperienza dell’utente. Tra i principali vantaggi spicca la capacità di generare maggior engagement, poiché i contenuti nativi, essendo percepiti come parte del contesto editoriale, stimolano l’interazione in modo più naturale rispetto ai formati display tradizionali.
Questo si traduce anche in una crescita della Brand Awareness: i messaggi veicolati attraverso articoli, video o post sponsorizzati vengono recepiti come informazioni utili e credibili, rafforzando l’immagine del brand agli occhi del pubblico. Non meno importante è l’aspetto delle performance misurabili: grazie a metriche avanzate che vanno oltre i semplici click (ad esempio tempo di permanenza, condivisioni o tasso di completamento dei video), le aziende possono valutare in maniera puntuale l’impatto delle campagne. In un mercato sempre più attento alla rilevanza e alla trasparenza, il native advertising si rivela quindi uno strumento versatile, capace di costruire fiducia e al tempo stesso di garantire ritorni concreti sugli investimenti.
Come guadagnare con il native ads
Se i Social network sono stati i primi a sfruttare in maniera efficace (in particolare sul canale mobile) il native advertising, anche gli editori tradizionali da diversi anni hanno iniziato a presentare un’offerta commerciale in tal senso: sia grandi editori internazionali quali Yahoo!, Wall Street Journal, New York Times e Condé Nast, sia testate completamente digitali come Buzzfeed e Refinery, che addirittura fondano buona parte del loro business sulle revenue derivanti dal native advertising.
L’esperienza di questi attori presenta diversi modelli di revenue implementati: sia modelli che richiedono una fee fissa per l’intera iniziativa, sia modelli che presentano la sola vendita delle impression a cpm, sia combinazioni di questi due.
Tale nuova modalità di fare online advertising costituisce, quindi, un’opportunità sia per gli editori (per massimizzare il valore degli spazi sfruttando i propri asset in termini di competenze giornalistiche e di forza commerciale), sia per gli investitori (che hanno a disposizione formati meno invasivi per gli utenti e potenzialmente più efficaci).
Gli investitori, naturalmente, hanno iniziato a chiedersi quali siano le effettive performance di questo formato pubblicitario. Fra gli editori più avanzati in questo ambito c’è Forbes, che garantisce la restituzione dei soldi investiti in Native Advertising sulle proprie properites, nel caso in cui gli advertiser non registrino i risultati attesi in alcuni KPIs prestabiliti.
I rischi del Native Advertising per gli utenti
Non mancano, però, i rischi. Gli enti regolatori negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno iniziato a irrigidire i controlli sul Native Advertising. “Se assomiglia troppo al giornalismo, ne danneggia la credibilità. Se non ci assomiglia affatto, perde di interesse per gli inserzionisti. Un confine davvero sottile” ha dichiarato il public editor del New York Times, Margaret Sullivan. E gli enti regolatori sono determinati a tracciare questo confine in modo più netto possibile.















