Approfondimenti

Fare impresa in tempi di incertezza

Executive di business e un filosofo a confronto sul tema della mancanza di certezza, divenuta ormai la cifra del tempo che stiamo vivendo. E che ha anche aspetti positivi, perché agisce come molla per l’iniziativa individuale

Pubblicato il 04 Mag 2012

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“Non viviamo in tempi in cui le cose sono scontate”.
Così recitava l’attacco dell’ultimo editoriale del
Rocky Mountain news, uno dei tanti quotidiani americani
che hanno dovuto chiudere i battenti sotto i colpi di una crisi
devastante
e dei lettori che migrano sul Web verso
l’informazione gratuita.

Sulle Montagne Rocciose la certezza è un ricordo del passato e
anche da noi non si scherza, tanto che l’argomento diventa
oggetto di discussione fra uomini d’azienda e filosofi.

Succede a Milano dove Top Source, società di consulenza
specializzata nei progetti di trasformazione aziendale, ha
organizzato un incontro dal titolo “La certezza in
azienda” nel quale Costantino Esposito, ordinario di Storia
della filosofia presso l’Università di Bari, ha ricordato
come «L’inquietudine della ragione è il modo
attraverso il quale costruire qualcosa. È la vera risorsa umana,
il capitale iniziale che ci portiamo addosso. L’uomo è
stato creato per cominciare, sempre».

Un’esortazione a vivere in positivo l’incertezza, a
cogliere le sfide, che ricorda il “Stay hungry stay
foolish” di Steve Jobs. Non a caso Alberto Daprà, docente
di Management e strategia aziendale all’Università
Milano-Bicocca, ha ricordato come nei suoi corsi cerchi di
trasmettere «l’entusiasmo per
l’intrapresa» ricordando come sia importante partire
«con la voglia di lasciare il segno».

La mancanza di certezza diventa quindi la molla per una
forte iniziativa individuale
e non una condizione simile
a «quella del plancton, battuto da onde di origine, ritmo,
direzione e intensità sconosciuti», come da citazione di
Bauman ripresa da Leonardo Malgieri, amministratore delegato di
TopSource.

La certezza è secondo Esposito non «un’assicurazione
sulla vita, ma un punto di partenza di cosa riusciremo a
costruire». Per questo il filoso vede la soluzione della
crisi «come riaffermazione della soggettività, il trovare
in noi le risorse per andare avanti. Ripartire dall’io non
vuole dire andare da soli, ma capire cosa succede».

Lo sottolinea Stefano Ferrara, direttore generale Santer Replay,
secondo il quale è necessario «avere uno sguardo aperto di
fronte alla realtà» e lo riprende Malgieri che afferma:
«l’esser certo, è piuttosto la postura
dell’io, il suo modo di camminare, di porre domande. Non
significa che non si possa cadere, che non si possa sbagliare, ma
dice chi sei, e il modo in cui fai le cose. Il vero rischio è
quello dell’interpretazione, sia dei dati che dei segni: si
intravedono le ragioni, ma non ci si muove. Sembra che manchi una
energia di coerenza nel senso di rispetto ed adesione alla
realtà.Ed in questa situazione il primo sentimento che si fa
strada é quasi una negazione della realtà: esistono solo
interpretazioni, ma non esistono né dati né fatti».

Ma l’azienda a questo punto deve vivere in una
sorta di stato da rivoluzione permanente?

«Più che di rivoluzione permanente – conclude l’AD
di TopSource – parlerei di inquietudine. E al contrario di quanto
si ritiene abitualmente, per pigrizia o per inesperienza, è solo
un uomo certo che può essere veramente inquieto e finanche
godere della propria inquietudine, come un’attesa, una
domanda che permette alla certezza di riaccadere sempre, che
consenta di costruire il futuro».

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