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Editoriale – Quotazioni alle stelle per i social network: valore reale o nuova bolla?

Siamo di fronte a una nuova bolla dopo quella del 2000? È parere unanime che per quanto riguarda i social network, a differenza degli ultimi anni ’90, si abbia a che fare con imprese nel senso più completo del termine, dotate di una strategia definita e strutturate in corrispondenza.

Pubblicato il 12 Mag 2011

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Nata nel marzo 2010, Lashou.com – copycat cinese di Groupon (che aveva cercato lo scorso anno di acquisirne il controllo valutandola 500 milioni) – ha avuto una valutazione implicita, in occasione del suo ultimo fundraising, di 1,1 miliardi di dollari: a fronte di un fatturato annuo in forte crescita, ma che a dicembre superava appena i 150 milioni. Groupon, un social network un po’ anomalo, è di soli due anni più vecchia. La sua idea di business è di organizzare acquisti collettivi scontati reclutando via rete – fra i soci – i clienti di volta in volta interessati alle operazioni. Ha rifiutato lo scorso anno di vendersi a Google per 6 miliardi di dollari e sembra puntare – forte del recente fundraising di 950 milioni e dei 2.700 dipendenti nel mondo – a un IPO fra i 15 e i 20 miliardi. Zynga, una social gaming company fondata nel 2007, è passata da una valutazione implicita di 5 miliardi nell’ottobre 2010 a una di 9 nel febbraio 2011. Cifre che impallidiscono a fronte di quelle – ben note – di Facebook, nata nel 2004: 50 miliardi di valutazione implicita all’inizio dell’anno, in un finanziamento organizzato da Goldman Sachs; 70 miliardi negli scambi sul mercato secondario dei mesi successivi; oltre 100 miliardi, secondo il Wall Street Journal dei primi di maggio, il possibile valore per un IPO all’inizio del 2012, a fronte di un fatturato atteso di circa 4 miliardi e di un ebidta di quasi 2. Accanto a Facebook almeno altri due social network, Twitter e LinkedIn, vedono lievitare il loro valore: 8-10 miliardi per Twitter (oggetto del desiderio di Google e Facebook), che a fine 2010 valeva meno della metà; “solo” 2 per LinkedIn, prossima alla Borsa. E nel frattempo hanno iniziato a quotarsi le brutte copie di Facebook. Il primo IPO – al Nasdaq – è quello di Renren, social network cinese nato nel 2005, valutato ben 72 volte il suo fatturato 2010 di 76,5 milioni: nonostante una perdita nello stesso anno di 64,2 milioni e una trasparenza nella comunicazione assai dubbia.

Siamo di fronte a una nuova bolla dopo quella del 2000? È parere unanime che, a differenza degli ultimi anni ’90, si abbia a che fare con imprese nel senso più completo del termine, dotate di una strategia definita e strutturate in corrispondenza. I grandi dubbi riguardano invece il valore a esse attribuito, che sembra fortemente influenzato dall’abbondanza di soldi “a caccia di investimenti”, figlia della politica monetaria espansiva (soprattutto statunitense) e dalle aspettative di inflazione. La mia sensazione è che saranno molto poche le imprese in grado di mantenere in prospettiva (o addirittura migliorare) l’attuale valutazione e che il mercato viceversa punirà duramente quelle che non si dimostreranno all’altezza delle aspettative: sintomatico il caso di MySpace, nata un anno prima di Facebook e acquistata dopo due anni di vita da Murdoch per più di 500 milioni (una cifra all’epoca di grande effetto), messa ora in vendita a un quinto del prezzo di acquisto. Non è peraltro solo il mondo dei social network che genera start up a getto continuo. Ci sono gli smartphone e i tablet, con il loro corredo di App; c’è il Cloud Computing, con le rilevanti potenzialità del cosiddetto Software as a service. Se ne parla meno, semplicemente perché la destinazione finale è spesso l’acquisizione da parte di grandi gruppi invece che la Borsa: come accaduto ad Android, nata come start up indipendente e poi cresciuta prepotentemente in seno al compratore Google. Fra chi manca all’appello, almeno per il momento, gli italiani. Ma le potenzialità ci sono e la speranza è che si sia in grado di creare le condizioni perché le cose possano cambiare presto.

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