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Dalla “Data Scientist Digital Research” la fotografia della Data Science nelle imprese

Condotta da NetworkDigital360 in collaborazione con IBM, la survey è accompagnata da una serie di interviste e di servizi e offre una lettura delle opportunità e delle criticità che devono affrontare i professionisti dei Big Data

Pubblicato il 15 Gen 2018

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Considerato che oggi le aziende italiane sono in grado di gestire solo il 21% dei dati destrutturati (Fonte: Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence, novembre 2017), il lavoro dei data scientist risulta quanto mai strategico, aiutando le organizzazioni a modellizzare problemi complessi e a identificare nuove opportunità di business. Un uso evoluto dei dati, infatti, aiuta a sbloccare il loro valore, rivelando la loro forza e le potenzialità intrinseche.

Peccato che, a dispetto di tante spinte all’innovazione e alla gestione ottimizzata dei dati, in Italia il foglio di calcolo resta ancora il principale strumento per il trattamento dei dati. A rivelare questi e altri dati rispetto alla maturità delle aziende italiane nell’uso dei Big Data è la Data Scientist Digital Research, condotta dagli analisti di BigData4Innovation in collaborazione con IBM, su un panel di grandi aziende del Nord Ovest (64%), del Nord Est (15%), del centro (15%) e del Sud (6%), operanti in tutti i settori.

Alla domanda “Che tipo di dati vi trovate prevalentemente a gestire in percentuale?” quasi la metà delle aziende (47%) risponde dati provenienti da Excel, il 26% dati in formato testo, il 7% immagini, il restante risponde con un generico “altro”. Il motivo è storico: la maggior parte dei dati arriva prevalentemente da gestionali, amministrazione e ambienti di produzione (89%) che, nell’informatizzazione progressiva aziendale, vedeva comunque le singole linee di business ragionare in modalità piuttosto compartimentate. Soprattutto, i dati venivano gestiti a consuntivo e formalizzati per interpretazioni a posteriori. È negli ultimi anni che i processi di integrazione, convergenza e di condivisione, unitamente a strumenti di raccolta e di analisi sempre più precisi e avanzati hanno portato le aziende a cogliere nuove opportunità dai Big Data.

Il 22% dei dati arriva da partner o da terze parti specializzate nella gestione dei dati e il 21% da sistemi di relazione con i clienti (in cui sono inclusi i sistemi di pagamento). Solo il 6% delle informazioni arriva dagli open data, il 4% dai social, il 3% da mobile e IoT. Come sottolineano gli esperti, la vera potenzialità dei Big Data, che si può esprimere nella gestione dei grandi patrimoni di dati e soprattutto nella capacità di allargare la conoscenza a quel capitale informativo proveniente da immagini, video e audio, è ancora troppo poco sfruttata nella progettualità delle imprese.

Gli skill per i data scientist nelle imprese italiane

La survey ha voluto portare l’attenzione sugli skill necessari per attuare i progetti Big Data nella realtà concreta e quotidiana di ciascuna impresa. In particolare, si è chiesto ai partecipanti di indicare le competenze ritenute più critiche nelle risorse dedicate alla Data Science. Da questa prima fotografia emerge con estremo pragmatismo che i Big Data passano prima di tutto dalla capacità di estrarre dati per quasi 7 aziende su 10 (67%).

A grande distanza segue la capacità di lavorare in team che con il 16% delle risposte, e poi le competenze di business e management (12%), testimonianza del ruolo che la Data Science può svolgere a livello di indirizzo e supporto al business. Seguono, nell’ordine, le competenze di Sviluppo software e programmazione (11%), di Data Visualization (10%), di Data Mining (9%), di Statistica (7%) e di Machine Learning (5%). Quest’ultimo rappresenta la frontiera della sperimentazione più innovativa: le aziende si stanno affacciando solo ora alle grandissime opportunità portate avanti da forme di apprendimento automatiche.

I mercati di destinazione della data science

Una parte dell’analisi si è focalizzata sui settori che oggi indirizzano in modo prevalente lo sviluppo di progetti Data Science. Ne emerge che in Italia la Pubblica Amministrazione è – forse un po’ a sorpresa – il settore più attivo, con il 28% delle risposte, seguita dal Manifatturiero che probabilmente risente dei benefici effetti del fenomeno Industria 4.0 e conquista il 15% delle citazioni.

Il settore ICT segue con una quota del 14%, poi le Banche con il 10%, il Retail e la GDO con il 10%. Con il 7% si attesta il settore Agroalimentare (in riferimento al grande lavoro che viene realizzato a livello di Smart Agrifood e di tutte le imprese che operano nella filiera), quota per altro analoga a quella delle Assicurazioni, e dal Pharma che sperimentano sui Big Data da più tempo. Il mondo dell’Education è a sua volta un motore per le progettualità Data Science nel 6% delle citazioni e l’Automotive nel 4%. Con quote del 2% e dell’1% seguono Consulenza, Media e Advertising, Enti e Associazioni e Telco.

E la ragione principale delle attività dei Big Data nelle imprese coinvolte? Più di 8 aziende su 10 indica l’analisi delle esigenze e degli obiettivi (81%). Poi c’è l’ottimizzazione dei processi (67%) seguita a ruota dalla volontà di una maggiore conoscenza dei clienti e del supporto allo sviluppo del business, a pari merito con la volontà di gestire meglio attività e team (62%). Anche le aziende italiane, infatti, hanno capito l’importanza della data driven economy.

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