TREND

Chief Innovation Officer vs Chief Information Officer: l’evoluzione di un ruolo aziendale decisivo e complesso



Indirizzo copiato

Competenze e soft skill di un leader sempre più strategico, capace di orchestrare tecnologie e persone che determinano il successo del business. Federico Guerreschi, Principal Executive Search di Heidrick & Struggles, racconta il mismatch tra aspettative aziendali e know-how evidenziando gli errori da evitare nella selezione e integrazione di questa figura chiave

Pubblicato il 27 mar 2024



Chief Innovation Officer
Immagine di Utopia

Chief Innovation Officer nella rosa delle professioni più ricercate e concupite dalle aziende. Il perché è presto detto, in quanto figura chiave di quell’orchestra tecnologica da cui dipende la prosperità e il futuro del business. Tuttavia, in un contesto organizzativo sempre più confuso, stratificato e complesso, identificare il CIO giusto e convincerlo a far parte della propria azienda non è facile neanche se si è un’organizzazione super innovativa e fantastica. Dunque, è importante capire quali sono le regole di ingaggio per convincere un Chief Innovation Officer a immolare sé stesso nel suo duplice ruolo di supervisore di una continuità operativa aziendale calibrata su un costante sviluppo tecnologico e di consulente orientato a creare valori tangibili in termini di produttività e competitività a ogni livello dell’organizzazione.

Le aziende fraintendono il valore strategico del CIO

Oggi i CIO sono a tutti gli effetti dei business leader che hanno da tempo traguardato il governo di dati, infrastrutture e applicazioni per operare a un livello più alto e strategico su tutte le tematiche manageriali. Navigando l’evoluzione digitale per identificare soluzioni abilitanti, la sua principale funzione oggi è di tradurre e comunicare in modo chiaro le iniziative d’innovazione, condividendo le visioni trasformative che piloteranno le varie linee di business aziendali. Con dei se e con dei ma, come spiegano le società esperte di consulenza aziendale ed head hunting.

«L’evoluzione tecnologica ha portato il Chief Information Officer a diventare Chief Innovation Officer – racconta Federico Guerreschi, Principal Executive Search di Heidrick & Struggles, Divisione Global Technology Services and Digital – ma le aziende fanno fatica a comprendere un passaggio di stato sempre più strategico. C’è chi vede nel CIO un Chief Technology Officer chi lo confonde con il Chief information Security Officer, altri lo pensano come un Digital Innovation Officer. Questo fraintendimento dei ruoli porta moltissime aziende a fare l’errore di separare il CIO dal CEO e dalla prima linea, con una distribuzione delle responsabilità in modi che non sono sempre chiari. È così che, quando propongo ai CIO di primo livello a un’azienda, l’80% come prima cosa mi chiedono: a chi riporta la funzione in questo momento? Perché, anche se si tratta di un’azienda top brand, appena sentono che non avranno una reporting line diretta con il CEO, dicono subito grazie per aver pensato a me, ma non sono interessato, consapevoli del fatto che in quell’azienda non avranno le leve per essere efficaci e nemmeno le motivazioni a dedicare le proprie competenze ed energie».

Who's Who

Federico Guerreschi

Principal Executive Search di Heidrick & Struggles

Federico Guerreschi

Chief Innovation Officer in prima linea

In sintesi, le imprese devono capire che il Chief Innovation Officer non è semplicemente un CIO con un nuovo titolo. È un cambio di paradigma nella leadership aziendale. I CIO oggi sono diventati espertissimi nel bilanciare i budget a disposizione con prestazioni e servizi capaci di soddisfare le aspettative di tutti gli utenti (colleghi, collaboratori, fornitori, partner e clienti finali). Ma, se ogni volta che trovano una soluzione o definiscono un progetto d’innovazione, la decisione finale spetta a un CFO, sono perfettamente consapevoli del fatto che non avranno mai quel margine di manovra cruciale per guidare l’innovazione attraverso l’intera organizzazione, lavorando ben oltre i confini dei team ICT.

«Dalla gestione dell’informazione alla gestione dell’innovazione, i CIO non sono più i manager super tecnici del passato, cablati tra le molteplici esigenze dell’hardware, del software e del networking – sottolinea Guerreschi -. Oggi sono executive di altissimo profilo, capaci di navigare l’evoluzione tecnologica e pilotare le aziende attraverso visioni trasformative a supporto del business. La loro operatività non è più di tipo reattivo ma massimamente predittivo, richiedendo una comprensione profonda delle esigenze e degli obiettivi aziendali, azionando tecnologia e innovazione per raggiungerli. Le aziende sottostimano il fatto che i Chief Innovation Officer sono perfettamente consapevoli di come la sfida più grande in azienda non è mai la tecnologia quanto, piuttosto, la sua cultura che può essere il catalizzatore che spinge un CIO verso il successo oppure rappresentare la catena che lo lega allo status quo. Nel processo di valutazione di un’azienda la seconda cosa che chiedono agli head hunter è per quali obiettivi li sta cercando: se è per fare progetti interessanti oppure solo per gestire una migrazione dell’ERP, se è per andare in una certa direzione di innovazione oppure solo per risparmiare. Mi chiedono come sono le persone che lavorano in quell’azienda: se sono innovative, se hanno voglia di evolvere e di cambiare. Se intuiscono che l’innovazione è nel DNA dell’organizzazione iniziano a considerare l’offerta».

Dall’Information all’Innovation cosa sta cambiando

In generale, alle aziende l’innovazione generalmente piace come idea, considerata cruciale per una crescita e una sostenibilità a lungo termine. Ma quando si rendono conto che l’innovazione impatterà su come svolgono il loro lavoro, infrangendo abitudini comportamentali e regole consolidate, subentrano difficoltà e resistenze. Quindi l’ostacolo principale all’innovazione non è trovare idee ma convincere le persone a impegnarsi pienamente in quelle idee e a portarle a termine. Tuttavia, la propensione al cambiamento e l’accettazione del rischio non sono qualità innate nella maggior parte delle aziende. Per superare tali ostacoli, è fondamentale che l’impulso all’innovazione parta dai vertici aziendali. L’importante è che ci sia massima collaborazione con tutte le prime linee.

«L’evoluzione del pensiero aziendale riconosce come il vero progresso richieda una dedizione al cambiamento e all’innovazione. Ma sono poche le organizzazioni veramente in grado di comprendere che, più che sull’ottimizzazione e la gestione delle tecnologie esistenti, il Chief Innovation Officer è colui che sa guidare un’azienda attraverso il labirinto dell’incertezza e dei rischi verso nuovi orizzonti di opportunità. Per poterlo fare al meglio delle sue capacità, non deve essere percepito come un antagonista dagli altri C-level. È vero che il CIO, a differenza di altre figure in azienda in posizione manageriale, ha nella tecnologia un asset che loro non hanno.

Ma, proprio per questo, deve lavorare alla pari, instaurando un dialogo continuo con il CdA per creare quei modelli di business necessari a far prosperare l’azienda in un’era non solo permanentemente connessa e comunicante, ma anche sempre più integrata, sincronizzata e collaborativa. Le organizzazioni che eccellono nell’innovazione, infatti, non si limitano a innovare in singole aree ma perseguono un approccio trasformativo all’insegna dell’ottimizzazione intra e interaziendale, includendo ogni aspetto dell’esperienza dei loro clienti».

Chief Innovation Officer esperto di multilinguismo aziendale e di leadership esperenziale

Per supportare e agevolare la Digital Transformation che caratterizza tutte le linee di business, oggi il Chief Innovation Officer deve interpretare e parlare tutte le lingue aziendali, allineandosi al mindset di ogni reparto – dall’R&D alla produzione, dalla logistica alla distribuzione, dalla commercializzazione alla servitizzazione, dalle HR all’amministrazione -, e di ogni generazione – da quella della Ricostruzione ai Baby Boomer, dalla GenX ai Zillennial. Il che significa avere contezza anche di aspetti correlati al lavoro professionale, includendo aspetti legati alla sostenibilità e al Worklife Balance.

«Come società di caratura internazionale specializzata nei servizi di executive research, culture shaping e leadership consulting, organizziamo spesso delle tavole rotonde con i leader tecnologici – conclude Guerreschi -. In questo modo potenziamo la qualità del nostro fare networking mantenendo un confronto costante a livello tecnico, etico e strategico. Sul tema della sostenibilità posso dire che se ne parla, ma non è ancora un fattore che porta una persona a rinunciare ad andare in un’azienda. Il Worklife Balance e, in particolare, lo smart working sono temi che toccano il CIO da vicino. Pioniere del multilinguismo aziendale, lui più di tutti sa che, soprattutto le nuove generazioni, oggi esigono di poter lavorare una parte del loro tempo senza essere obbligati a stare in ufficio l’intera settimana. Che si tratti di analisti, programmatori, tester, data scientist, esperti di GenAI o altre figure professionali che non devono presidiare l’hardware fisico, la difficoltà per un Chief Innovation Officer di trovare le risorse più adatte è fortemente condizionato dalla cultura aziendale. Se è tradizionalista e poco agile anche in termini di Worklife Balance, per un CIO sarà difficile portare avanti i progetti. Soprattutto rispetto ai dipartimenti ICT, le organizzazioni devono imparare ad avere un approccio completamente diverso, garantendo una maggiore flessibilità. Chiudo con questa riflessione: nelle aziende è fondamentale che i quadri aziendali sappiano ragionare anche in termini di leadership esperenziale, per tenere compatto il fenomeno del turn over multigenerazionale. Altrimenti il Chief Innovation Officer sa che passerà la sua vita a fare colloqui per cercare le persone che gli servono, invece che a portare avanti i progetti di innovazione».

Articoli correlati

Articolo 1 di 3